Anche se già nell’antichità non mancarono riflessioni sull’attività umana volta a produrre e riprodurre la società, come per esempio con Aristotele che tese a distinguere fra economia e crematistica, quest’ultima intesa come accumulazione di ricchezza misurata in denaro e considerata attività innaturale, Marx aveva ben chiaro che si può parlare di economia politica come scienza autonoma solo con l’affermarsi del modo di produzione capitalistico. Nelle società precedenti, infatti, la riproduzione sociale era governata da regole fisse, i rapporti di dipendenza erano rapporti personali stabiliti per legge o per volontà divina e inderogabili e lo sfruttamento era ben visibile, senza la necessità di dotarsi di una scienza:
“La corvée si misura col tempo, proprio come il lavoro produttore di merci, ma ogni servo della gleba sa che quel che egli aliena al servizio del suo padrone è una quantità determinata della sua forza-lavoro personale. La decima che si deve fornire al prete è più evidente della benedizione del prete” [1].
Con l’affermarsi del modo capitalistico di produzione, i rapporti sociali perdono la caratterizzazione di rapporti di dipendenza personale, gli uomini sono tutti liberi e uguali di fronte alla legge e occorre la scienza per indagare come, sotto la superficie di rapporti paritari nel mercato, sussista la dipendenza di carattere economico e lo sfruttamento. Per questo motivo gli albori dell’economia politica coincidono con l’affermazione di questo modo di produzione.
La fisiocrazia, dalle parole greche physis (natura) e krátos (potere), fece la sua comparsa in Francia nella seconda metà del XVIII secolo, cioè alle soglie della rivoluzione francese. L’agricoltura era ancora in quel paese il settore trainante ed era, per l’epoca, estremamente produttiva, tanto che le esportazioni di prodotti agricoli erano molto fiorenti. Anche in campo agricolo si andavano affermando le imprese a conduzione capitalistica e gli investimenti di capitale per migliorare la produttività. Gli esponenti di questa scuola, non potrebbe essere altrimenti, avevano una visione che risentiva di questa struttura economica e individuarono nel lavoro agricolo (e in quello delle miniere a esso assimilabile), l’unico lavoro produttivo. Un evidente limite che occorrerà attendere lo sviluppo dell’industria per veder superare.
I fisiocratici sostenevano che lo Stato non dovesse intervenire nelle questioni economiche. Per esempio non avrebbe dovuto imporre tasse troppo elevate ai produttori agricoli in modo da consentire loro di essere competitivi negli scambi con l’estero, né intervenire con dazi per contenere le importazioni. Il sistema di libero mercato avrebbe di più motivato la modernizzazione delle aziende.
I fisiocratici si opponevano pertanto alla corrente del mercantilismo, comparsa alcuni decenni prima, la quale invece sosteneva che la ricchezza di un paese si identifica con la quantità di moneta posseduta (oro e argento), e quindi esortava ad attuare una politica protezionistica da parte dello stato nei confronti delle importazioni e incentivante nei confronti delle esportazioni.
L’esponente più importante della scuola fisiocratica fu François Quesnay (1694-1774), che fu anche medico di corte di Luigi XV.
Il più importante contributo di Quesnay alla teoria economica fu il famoso Tableau économique. Il medico francese prese spunto dal sistema di circolazione del sangue per schematizzare il movimento circolare dell’economia il cui fine ultimo sarebbe quello di creare un surplus da investire per aumentare la produttività della terra.
Le classi sociali venivano distinte sulla base della funzione che svolgevano all’interno di questo ciclo. La classe produttiva era costituita da coloro che investivano il capitale produttivo (i proprietari fondiari) e dai lavoratori agricoli che, coltivando la terra, creano la ricchezza. Gli artigiani e i lavoratori alle loro dipendenze, che trasformavano i beni provenienti dall’agricoltura, costituivano la classe sterile, al pari dei mercanti.
Politicamente, questa teoria si traduceva in un assist ai proprietari terrieri, i quali erano considerati gli unici a cui fosse appropriato attribuire diritti politici.
La circolazione avveniva in modo tale da permettere la riproduzione sociale. Quesnay, in uno schema semplificato dalla consapevole soppressione del capitale fisso, che pure aveva presente, suppose che gli agricoltori producessero merci per un importo indicato, a titolo esemplificativo, in cinque miliardi e pagassero ai proprietari la rendita dei terreni per un valore, sempre a titolo esemplificativo, di due miliardi. La classe sterile trasformava il prodotto per un pari importo di due miliardi. Anche il denaro esistente ammontava a due miliardi ed era inizialmente in possesso degli agricoltori. A partire da questi dati la circolazione sarebbe avvenuta nel modo seguente:
- gli agricoltori pagavano ai proprietari la rendita annua che ammonta a due miliardi;
- i proprietari spendevano un miliardo per acquistare dagli agricoltori i loro alimenti per l’anno successivo e l’altro miliardo per acquistare dalla classe sterile i beni e servizi da essi offerti, sempre per l’anno successivo;
- la classe sterile acquistava dagli agricoltori gli alimenti per la sussistenza per il valore di un miliardo e le materie prime da impiegare per la produzione dell’anno successivo, sempre per un miliardo;
- gli agricoltori acquistavano presso la classe sterile beni e servizi da utilizzare l’anno successivo per un miliardo.
Schema del Tableau Économique di Quesnay
(Riproduzione totale 5 miliardi)
Alla fine del ciclo i tre miliardi che gli agricoltori pagavano rispettivamente per la rendita (due miliardi) e per i beni e servizi produttivi (un miliardo) ritornavano loro sotto forma di acquisti dei proprietari (un miliardo) e della classe sterile (un miliardo per le sussistenze e uno per le materie prime). Quindi ritornavano in possesso del denaro speso. Avendo prodotto beni per cinque miliardi e venduto beni per tre, rimanevano loro due miliardi di prodotti che servivano per reintegrare i beni da essi consumati sia per la sussistenza sia per la produzione (sementi, concimi naturali, bestiame ecc.), in modo che fossero in grado l’anno successivo di produrre ancora cinque miliardi di beni.
La classe sterile vendeva due miliardi di beni da essa trasformati (uno ai contadini e uno ai proprietari) e ne acquistava due dai contadini per il proprio consumo e per le materie prime. Ugualmente, con l’acquisto delle materie prime era in condizione di ripetere la produzione di due miliardi di beni e servizi.
I proprietari avevano ricevuto i due miliardi di rendita che spendevano presso gli agricoltori (un miliardo) e la classe sterile (un miliardo) essendo così in grado di soddisfare i propri consumi.
In questo modo erano soddisfatte le condizioni perché la riproduzione si ripetesse sulla medesima scala l’anno successivo.
Bastavano pochissime complicazioni per costruire uno schema in cui la riproduzione avvenisse su scala allargata: presupporre una quantità di prodotto superiore a parità di prodotto impiegato; prevedere che il surplus andasse ai proprietari terrieri per i miglioramenti fondiari o agli agricoltori per dotarsi di strumenti (fossero pure i cavalli al posto dei buoi) in grado di incrementare la produttività e/o per dotarsi di maggiori sementi ecc. Alternativamente sarebbe bastato supporre che i due miliardi di consumi dei proprietari fondiari fossero almeno in parte consumi produttivi, cioè investimenti in sementi, animali da lavoro, concimi, terreni, per estendere la scala della produzione.
Marx, come vedremo, apprezzerà molto questo schema e ne trarrà ispirazione per elaborare i suoi schemi di riproduzione.
Il pregiudizio che esista una sola classe produttiva derivava dal fatto che gli agricoltori, anticipando due miliardi di sementi ecc., producevano cinque miliardi di mezzi di sussistenza e materie prime. Anche includendo il miliardo di beni acquistati dalla classe sterile (che Quesnay qui trascura) si ha un’eccedenza di due miliardi di prodotto. Si noti che ciò corrisponde alla rendita pagata ai proprietari e che quindi nella riproduzione semplice il cosiddetto “sovrappiù” è l’esclusiva fonte di reddito dei possessori delle condizioni della produzione, come in effetti sarà con il plusvalore di Marx. Ma questo lo noterà Marx e non Quesnay. La classe sterile invece non fa che riprodurre le proprie condizioni di produzione e consumo (due miliardi), senza nessuna eccedenza. Per Quesnay essi si limitano a “trasformare” in manufatti equivalenti due miliardi di prodotti agricoli. In tal modo il prodotto sociale lordo consiste solo nei cinque miliardi provenienti dall’agricoltura.
Si noti che l’origine del profitto era ignota e alcuni seguaci di questa scuola lo avrebbero spiegato come conseguenza di una maggiorazione dei prezzi dei prodotti trasformati. Quindi era auspicabile la massima concorrenza per contenere queste maggiorazioni che avrebbero gravato sulla classe produttiva.
Ideologicamente i fisiocratici anticiparono la visione liberale del sistema economico, auspicando che lo Stato limitasse il più possibile il suo intervento nell’economia la quale doveva procedere secondo “leggi di natura”. Vedremo che questa concezione del modo di produzione come dato naturale e non risultato di precisi rapporti sociali storicamente determinati in ciascuna epoca sarà una sorta di “peccato originale” che l’economia politica deve scontare anche al giorno d’oggi.
Pur con questi limiti, siamo di fronte a importanti acquisizioni teoriche: la definizione delle classi sociali sulla base del loro ruolo nel sistema economico, il concetto di prodotto nazionale, le condizioni della produzione date dalla sussistenza dei lavoratori e dai mezzi di produzione che a loro volta devono essere (ri)prodotti, la circolazione monetaria come momento della circolazione complessiva delle merci, il rapporto fra consumo produttivo e consumo finale, l’idea della circolarità del processo riproduttivo sociale, la possibilità di schematizzare questo processo secondo un modello formale.
“Tutto questo in un tableau che in realtà non consiste che di cinque linee che uniscono sei punti di partenza e di ritorno [...] Fu indubbiamente una delle idee più geniali di cui si sia resa finora colpevole l’economia politica” [2].
Si comprende quindi come per Marx, contrariamente all’opinione prevalente, fosse Quesnay e non lo scozzese Adam Smith, il padre dell’economia politica.
Note:
[1] K. Marx, Il Capitale, Libro I, Editori Riuniti, 1989, p. 109.
[2] K. Marx, Storia delle teorie economiche, Vol. I, Giulio Einaudi editore, 1954, p. 92