L’articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019 [1].
Oggi, come ai tempi di Marx, la fabbrica capitalistica è una organizzazione autocratica e dispotica necessaria per l’estrazione del plusvalore e, quindi, per lo sfruttamento del lavoro umano. L'autocrazia della fabbrica potrà, perciò, essere superata solo con la rimozione della produzione orientata al plusvalore (sfruttamento). Ciò potrà avvenire solo quando i lavoratori, oltre alla proprietà dei mezzi di produzione, avranno anche il controllo dell’operare dei manager della direzione tecnico-organizzativa della fabbrica. In tal caso, la fabbrica potrà avere una struttura organizzativa gerarchica, ma non autocratica.
Il compito dei dirigenti della fabbrica gerarchica non autocratica − che sono al vertice della organizzazione − non è quello di estrarre plusvalore oltre ogni limite. Il loro fine sarà quello di trovare le soluzioni tecnico-organizzative per il miglior coordinamento del lavoro diviso. Ogni manager sarà, cioè, una "autorità non dispotica", vale a dire sarà un’autorità che potrà essere sempre rimossa dai lavoratori che la controllano. Marx paragona, perciò, il manager con autorità gerarchica ad un “direttore di orchestra”. In altri termini, quando il nucleo operativo (lavoratori) ha la proprietà della fabbrica e quando ha il controllo del manager, la fabbrica non è più capitalistica. Osserva Marx in proposito: "Sono a conoscenza di un caso in cui dopo la crisi del 1868, un fabbricante fallito divenne salariato dei suoi ex operai. Dopo il fallimento, la fabbrica venne gestita da una cooperativa e l'ex proprietario fu impiegato come direttore" [2]. Questo esempio mostra che il capitalista non è necessario per l’esistenza della organizzazione di fabbrica.
Naturalmente, come ogni “direttore di orchestra”, il manager è all'apice della organizzazione della fabbrica, vale a dire egli è investito di "autorità gerarchica" e, in tale ruolo, come già detto, cercherà le migliori soluzioni tecniche organizzative e gestionali nell'interesse dei lavoratori. Ad esempio, cercherà le soluzioni organizzative che coordinano il lavoro diviso in modo tale da poter realizzare incrementi di produttività del lavoro sociale al fine di ridurre la giornata lavorativa.
Dunque, la lotta dei lavoratori non deve essere rivolta all'organizzazione del lavoro gerarchica in quanto tale, ma alla gerarchia dispotica (autocrazia), finalizzata allo sfruttamento del lavoro salariato. La gerarchia (autorità gerarchica) può essere difatti, usata in due modi diversi. Esiste un uso non capitalistico e un uso capitalistico dell'autorità gerarchica. Come sopra osservato, i lavoratori salariati devono finalizzare la loro lotta contro l'uso capitalistico della gerarchia e non contro l'uso della gerarchia in quanto tale. La gerarchia in quanto tale, come strumento di coordinamento del lavoro diviso, è necessaria in tutte le epoche storiche nelle quali c’è lavoro diviso, mentre la gerarchia dispotica, come strumento di controllo dell'antagonismo di classe per la produzione del plusvalore, è storicamente determinata. Si riferisce specificatamente al solo modo di produzione capitalistico.
Questa ultima osservazione consente di approfondire alcuni ulteriori aspetti del pensiero di Marx sull'organizzazione della fabbrica, che possono essere di qualche utilità per il lettore.
Un primo punto, ha come oggetto lo scontro tra Marx ed Engels, da un lato, e Bakunin e gli altri socialisti anarchici (come Proudhon), dall'altro lato. La polemica ha come oggetto il significato del "principio di autorità", che caratterizza ogni struttura relazionale gerarchica (famiglia, esercito, chiesa, fabbrica, Stato, ecc.). Questo scontro teorico-politico fu di portata tale da generare la crisi della Prima Internazionale e, quindi, il suo scioglimento.
Secondo l’utopismo di Bakunin, nella società futura non deve esistere nessuna autorità perché ogni forma di autorità è un male assoluto [3]. La, replica Marx è: "Forse che nella fabbrica cesserà ogni divisione del lavoro?" [4]. Ma ciò non è possibile e, quindi, ci sarà necessità di un’autorità coordinatrice del lavoro diviso. Servirà un direttore di fabbrica che "orchestri" le attività dei singoli lavoratori. La produzione industriale di fabbrica richiede che ci sia un’organizzazione. Ma chi dice “organizzazione” dice anche "non anarchia". mentre “il signor Bakunin ha soltanto tradotto l'anarchia proudhoniana e stirneriana in un selvaggio dialetto tartaro" [4].
Il punto di vista di Bakunin, di Proudhon e di altri socialisti anarchici non è, perciò, logicamente sostenibile. Essi confondono l'uso capitalistico della "gerarchia" (l'autocrazia) con l'uso non capitalistico della gerarchia (gerarchia in quanto tale). Bakunin, che si batte contro ogni forma di "autorità" a favore dell'anarchia, è contrario anche al coordinamento del lavoro mediante direzione gerarchica democratica. Si potrebbe pensare che "anarchia" significhi, per Bakunin, "autogoverno o eterarchia". Ma questa interpretazione non può essere accettata. L’anarchia è assenza di organizzazione, ovvero assenza di tessuto relazionale. L’eterarchia (autogoverno) è, invece, una forma di organizzazione il cui comando esiste ed è distribuito equamente tra tutti i membri dell’organizzazione (gruppo di pari). L’anarchia non può essere interpretata nemmeno come organizzazione “rizomatica”, vale a dire come un tipo di auto-organizzazione senza punti di entrata o uscita ben definiti e senza gerarchie interne. Difatti, una tale struttura relazionale rizomatica è pur sempre un’organizzazione e non un’anarchia.
Dal punto di vista della logica organizzativa i socialisti anarchici (Bakunin e Proudhon, ad esempio) commettono una confusione simile a quello dei "luddisti". I socialisti anarchici confondono la gerarchia in quanto tale con la gerarchia usata in modo capitalistico (gerarchia dispotica). Analogamente, i luddisti confondono − secondo Marx − l'uso non capitalistico della macchina (macchina in quanto tale) con il suo uso capitalistico (uso della macchina finalizzato allo sfruttamento del lavoro umano).
L'esame di questa confusione è un secondo punto che merita un approfondimento, per comprendere meglio il pensiero organizzativo di Marx. Il movimento dei luddisti si sviluppa in Inghilterra qualche anno prima della nascita di Marx. Si tratta di un movimento di lotta spontanea di tipo essenzialmente anarchico semi-insurrezionalista [5]. La lotta dei luddisti è caratterizzata da sabotaggi e distruzione delle macchine. Lo scenario di lotta e quello delle regioni tessili della campagna inglese (Nottinghamshire, Yorkshire e Lancashire). La lotta copre il periodo che va da marzo 1811 a gennaio 1813, con una replica a giugno del 1816; e si conclude con l'invio nelle contee luddiste di un esercito di dodicimila soldati (più di quanti hanno preso parte alla guerra contro Napoleone). I luddisti furono sconfitti. Ci furono centinaia di arresti e molti processi che si conclusero con diciassette condanne capitali.
Quale è, dunque, la tragica confusione concettuale operata dai luddisti? Marx osserva innanzitutto che con l'introduzione della macchina la lotta tra capitalista e operaio salariato assume una forma nuova. "L'operaio combatte la macchina che è il modo materiale di esistenza del capitale” [6]. Questo tragico qui pro quo deriva dalla confusione (mancata distinzione) tra uso capitalistico della macchina e il suo uso non capitalistico. Il luddista infatti combatte la macchina in quanto tale e non l'uso capitalistico della macchina. La macchina in quanto tale, sviluppando la forza produttiva del lavoro sociale, potrà essere strumento per ridurre l'orario di lavoro e la disoccupazione, e per accrescere la ricchezza materiale dei lavoratori. La macchina usata, invece, capitalisticamente produce di necessità più sfruttamento e più disoccupazione.
Evidentemente, la distruzione della macchina o la distruzione dell'uso capitalistico della macchina sono due strategie di lotta completamente differenti. Per questo Marx ed Engels contrastavano l’uso capitalistico della macchina e non la macchina in quanto tale. La distruzione della macchina in quanto tale farebbe piombare la società nella “produzione dell'età della pietra”, come dice Engels farebbe ritornare la produzione tessile all'epoca della "conocchia" (arnese antico della tessitura a mano), con ripercussioni notevoli in termini di miseria e povertà dei lavoratori. La distruzione della macchina in quanto tale sarebbe, cioè, la strada che conduce al “socialismo della miseria della decrescita economica”. La distruzione dell'uso capitalistico della macchina non ha tali inconvenienti, poiché non implica la distruzione della macchina. Essa comporta solo la eliminazione dell'uso della macchina a fini di sfruttamento del lavoro umano e della Natura. La distruzione dell'uso capitalistico della macchina implica, cioè, il superamento del modo di produzione capitalistico, vale a dire implica il superamento della forma sociale dell'impiego della macchina. Marx osserva, a questo proposito, che "ci vuole molto tempo ed esperienza affinché l'operaio apprenda a distinguere le macchine dal loro uso capitalistico e quindi a trasferire i suoi attacchi dal mezzo materiale di produzione stesso alla forma sociale di sfruttamento di esso" [7].
È ovvio che queste critiche di Marx a Ludd non trasformano Marx né in un "vibrante apologeta del capitalismo e della classe borghese", né in un adoratore del "Mito della tecnologia liberatrice", come sostengono alcuni critici di Marx, appartenenti ai movimenti “neo-luddisti” [8]. Marx è, difatti, un autore che rivolge la sua riflessione critica sia al capitalismo, sia al Mito dello Sviluppo Sostenibile.
Il neo-luddismo, specie quello ecologico, è un tema di una certa vastità e complessità che non può essere affrontato in questo articolo. Facciamo solo osservare che, secondo Julian Young [9], anche Martin Heidegger era un luddista nella fase iniziale della sua indagine filosofica. Per Heidegger un processo tecnologico che ricava energia da un fiume finisce per ridurre gli esseri umani in non-esseri, genera cioè l'abbandono dell'essere e quindi la perdita di ogni senso di stupore e di meraviglia. Trasforma, in altri termini, una meraviglia della natura (una cascata naturale) in una centrale idroelettrica.
Per concludere, si può affermare che tutti i movimenti che si oppongono alla introduzione delle macchine e delle nuove tecnologie possono essere ricondotti nell'alveo del luddismo. Oggi il neo-luddismo si spinge a sostenere che l'uso delle nuove tecnologie è portatore di effetti disastrosi che mettono in pericolo la permanenza della specie umana. Il principale sostenitore delle tesi neo-luddiste-ambientaliste è Kirkpatric Sale, autore del best-seller "Ribelli al Futuro".
Kirkpatrick Sale, tra l'altro, afferma: "sarà necessario, per i sopravvissuti, avere una visione del mondo che li ispiri a vivere in armonia con l'ambiente e a forgiare le tecnologie entro i limiti e gli obblighi imposti dalla natura, cercando non di conquistare, dominare e controllare le specie e i sistemi del mondo naturale − perché il fallimento dell'industrialismo avrà dimostrato ormai la sua follia− ma di comprendere, obbedire e amare la natura e di incorporarla nel proprio animo e nei propri strumenti. È compito dei neo-luddisti, ora forti dell'esperienza passata, preparare e preservare quel complesso di conoscenze, quella ispirazione, per tutte le generazioni future" [10]. Tesi neo-luddiste sono sostenute anche da diversi movimenti ambientalisti, tra i quali quello dell'"ambientalismo radicale" o "Deep Ecology", o dai seguaci del mito della “Decrescita Felice”.
La filosofia antitetica al neo-luddismo è il "transumanesimo", che vede con entusiasmo e favore il superamento dei limiti della condizione umana (stupidità), grazie alla simbiosi tra uomo e macchina, realizzata mediante l’Intelligenza artificiale, le nanotecnologie, l'ingegneria genetica, le biotecnologie, la robotica, ecc. Uno dei principali sostenitori delle tesi del transumanesimo è Ray Kurzweil, autore del celebre libro "La singolarità è vicina" [11]. La singolarità è un punto oltre il quale si ha un balzo tecnologico verso la natura transumana dell'uomo. Un punto oltre il quale finisce, cioè, quello che il fondatore della cibernetica N. Wiener chiamava “l’uso umano degli esseri umani” (The Human Use of Human Beings) [12].
Bibliografia e note
[1] Il materiale didattico del seminario è scaricabile qui.
[2] Marx, K. (1973), Il Capitale, Libro III (Vol.2), p. 64, Editori Riuniti, Roma.
[3] Bakunin, M. (1968), Stato e Anarchia, Feltrinelli, Milano.
[4] Marx, K. (1875), Appunti sul libro di Bakunin “Stato e anarchia”.
[5] Thompson, E. P. (2011), Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Il Saggiatore, Milano.
[6] Marx, K. (1973), Il Capitale, Libro I (Vol.2), p.134, Editori Riuniti, Roma.
[7] Marx, K. (1973), Il Capitale, Libro I (Vol.2), p.136, Editori Riuniti, Roma.
[8] Ad esempio: Barillon M. (2016), Sguardi incrociati sui luddisti ed altri distruttori di macchine.
[9] Young, J. (2002) Heidegger's Later Philosophy, Cambridge University Press.
[10] Sale, K. (2005), Ribelli al futuro, p. 254, Arianna Editrice, Bologna.
[11] Kurzweil, R.,(2013), La singolarità è vicina, Apogeo, Milano.
[12] Wiener, N. (1950), The Human Use of Human Being, Houghton Mifflin Company, Boston.