Un elenco non esaustivo dei fenomeni che caratterizzano la «crisi ambientale» è quello che si riporta qui di seguito: l'aumento della concentrazione di anidride carbonica e di altri gas serra nell’atmosfera; i mutamenti climatici; l'impoverimento della fertilità del suolo; l'inquinamento industriale; la graduale distruzione delle foreste; la diminuzione della biodiversità; l'erosione del suolo con conseguenti frane e alluvioni; la congestione delle città; le montagne di rifiuti che nessuno sa dove mettere e la contaminazione dei prodotti agricoli con pesticidi.
Per porre rimedio a tale «crisi», sono state avanzate diverse proposte. Tra le tante suggerite vi è quella dello «Sviluppo Sostenibile» (Sustainable Development). Essa dovrebbe avere come obiettivo quello di rendere compatibile lo sviluppo economico capitalistico con gli equilibri dei cicli della biosfera (litosfera, idrosfera e atmosfera), che garantiscono la vita della specie umana sul pianeta Terra [1]. Si tratta, cioè, di una linea di azione che dovrebbe realizzare, contemporaneamente, la crescita economica capitalistica (Development) e la difesa dell'ambiente (Sustainability) [2].
In questa breve nota si analizzeranno i motivi che rendono tale piano di azione «non attuabile» in modo duraturo. Detto altrimenti, si esamineranno gli argomenti che fanno ritenere che, in una economia capitalistica, la strategia dello Sviluppo Sostenibile non sia, durevolmente, praticabile. Si sosterrà, cioè, che se una strategia è sostenibile in senso ambientale, allora non può essere di sviluppo in senso capitalistico e se è di sviluppo in senso capitalistico, allora non può essere sostenibile in senso ambientale. In altri termini, si cercherà di mostrare che lo «sviluppo capitalistico» e la «sostenibilità ambientale» sono obiettivi che si negano vicendevolmente e, come tali, non sono entrambi realizzabili contemporaneamente.
Pertanto, quando è riferito all'attuale modo di produzione capitalistico, lo «Sviluppo Sostenibile» è nient'altro che un «mito», «narrato» con intenti apologetici e illusori, vale a dire è una «leggenda» che ha come scopo principale quello di falsificare i più semplici fatti economici.
Nello specifico, un dato di fatto, che l'apologetica del mito dello Sviluppo Sostenibile cerca di negare, è proprio l'incompatibilità tra la sostenibilità ambientale e il modo di produzione capitalistico. Modo di produzione che, come ricorda Marx, ha come sua unica «missione» storica quella della «produzione per la produzione», ovvero quella della «accumulazione per l'accumulazione» o dell'accumulazione senza fine o fine a se stessa. Nella «missione» del capitalismo non è, cioè, incluso il fine della salvaguardia dell'ambiente [3]. «Accumulazione per l'accumulazione...in questa formula l'economia classica ha espresso la missione storica del periodo dei borghesi».
Una concisa critica dell'apologetica che afferma la compatibilità dello sviluppo capitalistico con la sostenibilità ecologica è, dunque, l'oggetto di questa breve nota.
Durante il lungo periodo di tempo che precede la nascita e l'affermarsi del modo di produzione capitalistico, si può presumere che l'attività del sistema economico si sia mantenuta in condizione di sostanziale stazionarietà, caratterizzata da prodotto netto (plusprodotto o sovrappiù) di entità irrilevante. Anno dopo anno, in tali condizioni, il processo di produzione ha aggiunto nulla o quasi a quanto la società già possedeva nel suo insieme (mezzi di sussistenza per i lavoratori, mezzi di produzione, ecc.). Perciò, in tale arco di tempo, si può ipotizzare che l'attività produttiva non abbia superato significativamente le «soglie» che mantengono l'equilibrio dei cicli della biosfera. In altri termini, è lecito supporre che si sia realizzato un tollerabile «ricambio organico» tra l'uomo e la natura [4]. Un ricambio che ha consentito di non superare la «capacità portante» della biosfera e che ha permesso, perciò, la salvaguardia dei cicli della biosfera che garantiscono la vita dell'uomo sul pianeta Terra.
Con l'avvento del modo di produzione capitalistico e della rivoluzione industriale lo scenario è mutato radicalmente. Nel capitalismo, ogni capitalista decide in autonomia cosa produrre, come produrre e quanto produrre: l'attività produttiva è quindi anarchica (priva di un piano). All'interno di questa anarchia, l'attività di ogni capitalista è finalizzata alla crescita senza fine (ad infinitum) del plusvalore, che rappresenta il plusprodotto. Ogni capitalista, per sopravvivere in un contesto di concorrenza capitalistica, è costretto a realizzare risultati economici − misurati in termini di plusvalore − in linea o migliori di quelli dei suoi concorrenti e competitori conflittuali. Essi sono, come li definisce Marx, i «falsi fratelli che si fanno concorrenza», ma che «costituiscono tuttavia una vera massoneria nei confronti della classe operaia nel suo complesso». È il « bellum omnium contra omnes» [5].
Ogni capitalista, per non soccombere nella sfida concorrenziale, è obbligato, perciò, ad investire in continuazione in nuove tecnologie sempre più sofisticate per estrarre plusvalore oltre ogni limite. Questo è il significato economico di quella che Marx chiama «l'accumulazione per l'accumulazione, la produzione per la produzione». Ogni capitalista è costretto, cioè, a realizzare il «profitto per il profitto», ovvero, il profitto fine a se stesso [6]. Evidentemente, nello spazio concesso in una breve nota, come questa, non si può approfondire, adeguatamente, tali tematiche. Si può dire, tuttavia, che queste sono, in sintesi, le formule che scatenano la «rivoluzione capitalistica continua».
Come sottolineano Marx ed Engels, «La borghesia ha giocato nella storia un ruolo altamente rivoluzionario ... Nel suo dominio di classe che dura appena da un secolo, la borghesia ha creato forze produttive più ingenti e più colossali di quanto abbiano fatto insieme tutte le generazioni passate. Assoggettamento delle forze naturali, macchine, applicazione della chimica all'industria e all'agricoltura, navigazione a vapore, ferrovie, telegrafi elettrici, dissodamento di interi continenti, fiumi resi navigabili… quale dei secoli passati avrebbe mai immaginato che tali forze produttive sonnecchiassero nel grembo del lavoro sociale?» [7].
Alla base di questa rivoluzione epocale vi è, come è noto, il ciclo economico che caratterizza il modo di produzione capitalistico, ovvero la sequenza:
{denaro (D) − merci (M) ⇒ [produzione (P)] ⇒ merci (M*) − denaro (D*)}, |
dove di necessità, vale la condizione: D < D*( produzione di plusvalore).
Ogni capitalista con la somma di denaro D acquista le merci M (forza-lavoro, materie prime, mezzi di produzione, ecc.). Quindi, mette in funzione il processo produttivo P per ottenere le merci M*, che vende in cambio del denaro D*, dove: D* = D + ΔD, con ΔD = plusvalore.
Occorre tenere presente che il vincolo D < D* è necessario per l'accumulazione. Difatti, le condizioni D = D* e D*< D, rappresentano rispettivamente la “stagnazione” (D = D*) e la “recessione” (D > D*), ovvero descrivono, in sintesi, la crisi e l'arresto dell'accumulazione capitalistica.
Alcune considerazioni sono necessarie per chiarire la differenza essenziale tra i cicli naturali della biosfera e quelli economici del sistema produttivo capitalistico.
a) Un sistema economico in condizioni di stazionarietà (D = D*) − che sarebbe compatibile con la stazionarietà (assenza di crescita) dei cicli della biosfera − non è economicamente percorribile, ovvero è, propriamente, incompatibile con il modo di produzione capitalistico. La produzione capitalistica, per sua natura, richiede la produzione di un plusvalore, che rappresenta il plusprodotto. Richiede anche che una parte o tutto il plusvalore sia investito per ottenere un nuovo plusvalore e così via. Un capitalista che non investe il suo capitale per ottenere un nuovo plusvalore, che non innova e che non rivoluziona di continuo il processo produttivo è, come prima osservato, destinato a soccombere nella lotta fratricida dei fratelli nemici (lotta concorrenziale, anarchica e conflittuale). Perciò, il ciclo della produzione capitalistica, per definizione, non può essere stazionario. Difatti, è:
D < D*< D**... ad infinitum.
È questa la condizione di crescita continua, ovvero la condizione di non stazionarietà. Detto altrimenti, il fine di ogni capitalista (la sua missione) è il bisogno illimitato di plusvalore (voracità di pluslavoro capitalistico), ovvero è il moto incessante del guadagnare. Come è evidente, nella «missione» del capitalismo, non è incluso il fine della salvaguardia dell'ambiente. Ciò non è un caso, poiché una pluralità di fini vanificherebbe il fine del profitto per il profitto (profitto fine a se stesso).
b) La crescita continua del plusvalore, cioè a dire il bisogno di uno sfruttamento umano senza fine, spinge il capitalista alla adozione delle macchine e l'uso massiccio delle macchine comporta l'impiego di energia liberata dalla combustione dei materiali fossili (carbone, petrolio, gas, ecc.). Il vapore che muove il telaio ha bisogno del carbone. Dal bisogno di crescita illimitata dello sfruttamento umano deriva, perciò, lo sfruttamento, oltre ogni limite, delle risorse naturali non rinnovabili e di quelle fossili, in primo luogo. La ricerca e messa a punto di energie alternative (eolica, solare, idrica) è il tentativo di mitigare soltanto l’impatto ambientale di quelle fossili, mentre l’impiego del nucleare pone altri enormi rischi per l’ambiente e la vita, di cui si sono già avute tragiche irreversibili esperienze.
È ovvio, perciò, che per annullare lo «sfruttamento» della natura − delle fonti energetiche fossili, ad esempio − occorre prioritariamente eliminare lo sfruttamento capitalistico del lavoro umano associato al plusvalore. Occorre, cioè, superare il modo di produzione capitalistico.
Con il passaggio dal modo di produzione pre-capitalistico a quello capitalistico l'uomo si comporta come un «dominatore dell'orbe terracqueo», un predatore che abbandona ogni vincolo del ricambio organico equilibrato con la natura. Marx, per illustrare la modifica del ricambio organico uomo-natura, indotta dall'introduzione del modo di produzione capitalistico in agricoltura, osserva: «Nell'agricoltura come nella manifattura la trasformazione capitalistica del processo di produzione si presenta insieme come martirologio dei produttori… E ogni progresso dell'agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell'arte di rapinare l'operaio, ma anche nell'arte di rapinare il suolo» [8].
L'affermarsi del capitalismo nell'agricoltura trasforma il contadino in operaio ed estende lo sfruttamento anche al processo di produzione agricolo, con una doppia forma di sfruttamento: quello dell'operaio e quello del suolo. Lo sfruttamento del suolo è una conseguenza dello sfruttamento dell'operaio agricolo. Si ha un doppio sfruttamento che mina «al contempo le fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l'operaio» [9].
Inoltre, anche lo sfruttamento dell'operaio agricolo richiede l'uso massiccio di macchine (trattori, falciatrici, mietitrici, ecc.). Ciò comporta, come nell'uso delle macchine nell'industria, l'impiego di energia liberata dalla combustione dei materiali fossili. Viene cioè rinforzato il processo di avvelenamento dell'aria tramite le emissioni di anidride carbonica in grande quantità. Ha inizio, perciò, «l'assalto al pianeta» [10]. L'effetto finale di tutto ciò è che il processo economico capitalistico disarticola i cicli naturali della biosfera e con ciò minaccia, a lungo andare, la salvaguardia della vita umana.
Ma questo dominio dell'uomo sulla natura, che turba il loro ricambio organico, è solo una vittoria di Pirro. Il dono della Téchne (il fuoco), dato da Prometeo all'uomo è un dono avvelenato, poiché conferisce all'uomo potere sulla natura, ma alla fine ciò provoca la rovina della natura e dell'uomo. Come sottolinea ancora Marx, «Ogni progresso nell'accrescimento della sua fertilità (del suolo) per un dato periodo di tempo, costituisce insieme un progresso nella rovina delle fonti durevoli di questa fertilità… Quanto più un paese… parte dalla grande industria come sfondo del proprio sviluppo tanto più rapido è questo processo di distruzione» [11].
Questa è la vendetta della natura nei confronti dell'uomo nel lungo periodo, derivante dall'assenza di un bilanciato ricambio organico tra uomo e natura. La rapina non può durare per sempre. Ad esempio, l'uso di un fertilizzante chimico o di un pesticida per aumentare la resa del lavoro per ettaro di terra non può durare a lungo. Oltre un certo punto, inizia la rovina della qualità della terra (inquinamento) e, quindi, la rovina della sua fertilità in senso economico: la terra che non è più un valore d'uso non è più nemmeno un valore in senso economico.
A questo proposito, Engels osserva: «Ad ogni passo ci viene ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato… il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di impiegarle nel modo appropriato» [12].
In conclusione, se lo sviluppo economico capitalistico (Development) e la sostenibilità ecologica (Sustainability) sono inconciliabili, allora bisogna rinuncia o all'uno o all'altro. E siccome la biosfera non può essere modificata, ma solo distrutta, resta − come unica via percorribile, per salvaguardare effettivamente, la vita sul pianeta Terra − quella di superare il modo di produzione capitalistico [13]. Questa è, difatti, l'unica strada che resta aperta per il recupero di un rapporto razionale tra l'uomo e la natura e, quindi, per il mantenimento della vita sul pianeta Terra. L'uscita dal capitalismo «si impone come condizione senza la quale è impossibile procedere nella lotta per il raggiungimento di un tollerabile ricambio organico tra società umana e natura esterna. Ciò non vuol dire certo che basti, di per sé, un qualsivoglia superamento del modo di produzione capitalistico: ben altro occorre, socialmente, culturalmente e tecnologicamente, per far maturare tutte le condizioni e i tempi necessari per cominciare a pianificare coscientemente quell'obiettivo» [14].
Ben altro occorre − soprattutto sul piano culturale − per scongiurare il pericolo che di fronte alla possibilità concreta di una catastrofe ambientale, si invochi a gran voce il «benevolo terrore di un totalitarismo ecologico». [15]-[16]
Note:
[1] La biosfera può essere immaginata come una “pellicola” dello spessore di circa 20 Km che circonda la superficie terrestre. Più precisamente, la biosfera è un sistema biologico che comprende tutti gli ecosistemi della Terra che possono ospitare forme di vita.
[2] Pignatti S., Trezza B.(2000), Assalto al Pianeta, Bollati Boringhieri, Torino
[3] Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo, Tomo 3, cap.22, Editori Riuniti, Roma, p.40
[4] Sulla nozione di "ricambio organico" cfr. Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo, Tomo 1, cap. 5, Editori Riuniti,Roma, p.202
[5] Per maggiori dettagli, sul processo concorrenziale,vedi Marx, Il Capitale, Libro III,Tomo1, Cap. 10, p. 247.
[6] Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo, Tomo 1, cap.4, , Editori Riuniti, Roma, p.168
[7] Marx, K, Engels, F.,(1999), Manifesto del partito comunista, Laterza, Bari, p.9
[8] Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Secondo, Tomo 1, cap.1, , Editori Riuniti, Roma.
[9] Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo, Tomo 2, cap.13-esimo, , Editori Riuniti, Roma. p.219
[10] Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo, Tomo 2, cap.13-esimo, , Editori Riuniti, Roma, p.220
[11] Pignatti S., Trezza B.(2000), Assalto al Pianeta, Bollati Boringhieri, Torino
[12] Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo, Tomo 2, cap.13-esimo, Editori Riuniti, p.220
[13] Engels, F.,(1974), La dialettica della natura, in K. Marx – F. Engels, Opere, XXV. Editori Riuniti Roma, p.468.
[14] Pignatti S., Trezza B.(2000), Assalto al Pianeta, Bollati Boringhieri, Torino
[6] Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo,Tomo 3, cap.22-esimo, Editori Riuniti, Roma
Marx K.,(1973), Il Capitale, Libro Primo,Tomo 3, cap.22-esimo, Editori Riuniti, Roma p.40.
[15] Pala, G. (2019), L'ombra senza corpo, La Città del Sole, Napoli, p. 191.
[16] Jonas, H.(1993), Il principio di responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino.
[17] Hösle,V.(1992), Filosofia della crisi ecologica, Einaudi, Torino