Per il giovane Hegel negli di Berna – in cui persiste l’illuministico rifiuto della concezione del male radicale, ripresa dallo stesso Kant – Cristo non rappresenta ancora l’incarnazione esemplare della conciliazione tra uomo e dio, tra natura sensibile e natura intelligibile.
La soluzione extra-artistica della tragedia che inaugura la modernità: la conciliazione religiosa, non è ancora considerata da Hegel in tutta la sua portata proprio per il rifiuto, rafforzato dall’ideale greco, del dualismo che impregna di sé il dramma della sua stessa epoca storica. A questo proposito, nota con disappunto Hegel: “il cardine intorno a cui si aggira l’intera speranza della nostra beatitudine è la fede in Cristo, come colui che ha riconciliato Dio con il mondo, che ha sopportato al nostro posto le punizioni che il genere umano aveva meritato sia per la sua naturale corruzione sia perché effettivamente colpevole” [2].
Bisogna, dunque, evitare ogni interpretazione troppo legata alla lettera della Bibbia, non in grado di comprenderne in profondità lo spirito: “Cristo dice: «Chi crede», ma questo non significa affatto «chi crede in me». E che sia da intendere così o meno, gli apostoli tuttavia l’interpretarono proprio in questo senso, e lo «scibbolet» dei loro amici, il cittadino del regno di Dio non fu la virtù o la rettitudine ma Cristo, il battesimo eccetera. Cfr. Nathan: «Gran fortuna per loro che egli fosse così buono». Socrate ebbe scolari di tutt’altro genere, o piuttosto non ne ebbe affatto. Egli fu insegnante e maestro solo nel modo in cui lo è per ognuno chiunque si segnali per il proprio esempio di rettitudine e per un’intelligenza superiore” [3].
La condanna di una concezione tutta positiva della religione si acuisce nell’analisi della sua funzionalità al mantenimento di un potere dispotico, al punto che Hegel arriva a domandare provocatoriamente: “ma la religione cristiana si è opposta al dispotismo? E quanto a lungo si è opposta alla schiavitù?” [4].
Il filosofo avverte sempre vivo l’interesse per lo sviluppo di uno spirito critico nel popolo, capace di sottrarlo all’influsso del dispotismo e della corruzione del ceto sacerdotale. Scrive Hegel: “credere in ciò che ci dicono coloro che hanno la nostra fiducia o dallo stato sono stati privilegiati a che si creda loro è una cosa infinitamente più comoda che abituarsi a riflettere. (…) Rispetto alle verità storiche, il popolo è abituato a credere a quello che gli è stato raccontato fin dalla giovinezza, a non cadere mai in dubbi e a condannare l’ingolfarsi in ricerche sulla loro verità” [5]. A questo proposito, Hegel continua a richiamarsi a Nathan il saggio di Lessing: “non soltanto i cattolici, ma anche i protestanti e la chiesa anglicana hanno vasti e costosi istituti, la cui realizzazione è costata molto lavoro, molto sudore, molte fatiche e finanche sangue, per riempire con un nome e con una storia la fantasia di popoli che si erano creati da sé i loro dèi, la loro religione, conformemente ai loro bisogni” [6]. Al tragico destino del positivizzarsi, dell’istituzionalizzarsi della religione non sfugge nemmeno il protestantesimo. La stessa chiesa riformata, infatti, si costituisce come Stato nello Stato; Lutero, ben lontano dallo spirito evangelico, ha avuto di mira, a parere di Hegel, il dominio temporale e ha cercato di sottomettervi le coscienze. Ancora più netta è l’opposizione tra la religione morale e quella fondata su di una concezione personalistica della divinità: “la fede in Cristo in quanto persona storica non è fondata su un bisogno della ragione pratica ma è una fede che si basa sulla testimonianza di altri” [7]. Come nota Mirri: “insomma la stessa sostanza del cristianesimo è contraria alla purezza della religione razionale: la fede in Gesù vi si presenta infatti come il positivo surrogato della moralità, come ciò su cui viene riposta, anziché sulla moralità, la possibilità dell’eterna beatitudine” [8]. In tal modo “la virtù ne risulta come un qualcosa di imparato dall’esterno, un qualcosa di tratto dall’esistente modello, e soprattutto il fatto che l’attribuzione della divinità al Cristo ha tolto sacralità al «vero divino», alla legge morale cioè al conformarsi ad essa dell’animo umano” [9].
Dunque, gli elementi della religione cristiana, che contrastano maggiormente con la religione razionale, sono strutturalmente connessi a epoche storiche in cui è venuto meno lo stretto legame tra l’individuo e la società in cui vive. Questo spiega anche le ragioni che hanno portato un mondo come quello del tardo impero a fondare le proprie credenze religiose su di una tradizione radicalmente opposta a quella dell’antica civiltà ellenica. In altri termini, per comprendere l’“inattualità” del cristianesimo, bisogna risalire alla sua origine, situata al di fuori dell’illuminato mondo greco, nella barbarie orientale.
Si presenta dunque, sin da ora, l’opposizione – derivata dalla filosofia della religione illuminista – tra spirito ebraico e messaggio evangelico, l’unico fondato su principi universali, dunque morali e razionali. Ciò spiega la critica hegeliana al cristianesimo primitivo che, incapace di autonomizzarsi dallo spirito ebraico, avrebbe interpretato in senso statutario e sostanzialmente settario l’insegnamento del Cristo. A questo proposito, in un manoscritto composto pochi mesi dopo quelli che stiamo trattando, osservava Hegel: “il legame dei primi documenti cristiani con quelli ebraici (gli gnostici respinsero i documenti ebraici) ha forse cagionato la maggior parte delle sciagure. Nei documenti ebraici azioni e rappresentazioni immorali ed ingiuste sono addotte come comandate da Dio: e sono questi principi, che erano politici e si riferivano a una costituzione statale (e che sono contrastanti tra di loro perché sorti in una situazione del diritto del più forte), che sono stati poi fatti principi della chiesa” [10]. Come ha scritto Rosenzweig: “con la nuova impostazione del problema Hegel oltrepassava i parametri della contemporanea storiografia della chiesa, non limitandosi a rappresentare un cristianesimo di Gesù, puro alle origini, e poi rimaneggiato e intorbidito soltanto dall’esterno, ma cercando di rintracciare proprio nella religione di Gesù e nel cristianesimo delle prime comunità i punti d’avvio per il «travisamento»” [11].
Dunque, già le prime comunità cristiane portano in sé i germi del tragico destino del cristianesimo, caratterizzato dalla contrapposizione tra regno di Dio e mondo storico-fenomenico, tra fede soggettiva ed agire politico: “Cristo dice: «Il regno di Dio non si mostra con segni esteriori». Pare quindi che i suoi scolari lo abbiano frainteso, quand’egli comandò loro: «Andate per il mondo e battezzate tutte le genti», nella misura in cui ritennero questo battesimo un segno esteriore universalmente necessario; il che è tanto più dannoso perché una distinzione basata su segni esterni si trae dietro uno spirito di setta, l’estraniarsi dagli altri, e in generale la distinzione basata sulla moralità è indebolita dal fatto che ad essa è aggiunta ancora un’altra distinzione: perde per così dire qualcosa della sua luce” [12].
Netta è dunque la condanna dello spirito ebraico, premessa indispensabile alla purificazione della Bibbia dai suoi aspetti positivi, sulla via indicata da Spinoza nel Trattato teologico-politico, che Hegel sembra aver letto proprio in questi anni. A proposito dello spirito ebraico, nota Hegel: “non si possono negare i distorti e immorali concetti che gli ebrei avevano sulla collera, la partigianeria, l’odio verso gli altri popoli, l’intolleranza del loro Geova; concetti che purtroppo sono penetrati nella prassi e nella teoria della religione cristiana e che hanno prodotto tanti mali per non desiderare che essa avesse avuto la sua origine in una religione più umanitaria o li avesse assunti in minor misura. E noi dobbiamo render grazie non ai suoi preti bensì alla filosofia, che da essi è stata perciò odiata, ed alla più mite luce dei nostri tempi di aver tolto di mezzo la sua triste litigiosità, la sua intolleranza e la sua albagia” [13].
Note:
[1] Hölderlin a Hegel in Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Briefe von und an Hegel a cura di Hoffmeister, Johannes, 4 voll., Amburgo 1952 (2. ed. 1977-1981), p. 9, tr. it. parziale di Manganaro, Paolo, Epistolario I (1785-1808), Guida, Napoli 1983, p. 101.
[2] Id., Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, pp. 161-62; id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 256.
[3] Ivi, p. 118; p. 204.
[4] Ivi, p. 122; p. 208.
[5] Ivi, p. 159; p. 253.
[6] Ivi, p. 152; p. 245.
[7] Ivi, p. 157; p. 251.
[8] Mirri, Edoardo, in Hegel, G.W.F., Scritti teologici giovanili, a cura di E. Mirri, Guida, Napoli, 1972, p. 49.
[9] Ivi, p. 50.
[10] Ivi, pp. 198-99; p. 311.
[11] Rosenzweig, Franz, Hegel e lo stato [1920], ed. italiana a cura di Bodei, Remo, Il Mulino, Bologna 1976, p. 50.
[12] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 118; Scritti…, cit., p. 204.
[13] Ivi, p, 121; p. 207.