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1. Il rinnovamento della società italiana: gli anni Settanta
La volontà di lottare per un profondo rinnovamento dell’Italia, sorto nel 1968 nelle università, in corrispondenza alla ripresa di un ampio movimento dei lavoratori, che ha il suo apice nel 1969, si diffonde in tutta la società italiana a partire dalle scuole, in cui gli studenti iniziano a battersi per far pesare la loro volontà e far rispettare i propri diritti e lo stesso fanno gli insegnanti, trovando punti di contatto con le mobilitazioni degli studenti. Mutano i mezzi di comunicazione, che da organi di propaganda al servizio della classe dominante, divengono almeno in parte critici delle ingiustizie e degli abusi di potere. Persino la magistratura, uno degli organi più conservatori della società, comincia a interpretare la legge non solo come salvaguardia dell’ordine costituito, ma tenendo in maggiore considerazione lo sfondo sociale dei reati. Anche l’ordinamento dello Stato ne risente, i moderati sono costretti infine a varare le regioni previste dalla costituzione, che favoriscono lo sviluppo delle autonomie locali, mettendo almeno in parte in discussione il centralismo burocratico.
Lo Statuto dei lavoratori e il referendum sul divorzio
Nel 1970, per frenare le lotte operaie, è varato lo Statuto dei lavoratori, che proibisce ai padroni di licenziare i lavoratori senza giusta causa, salvaguardando dal ricatto del licenziamento i diritti minimi della forza lavoro nei luoghi della produzione. A livello sociale tale spirito di rinnovamento trova espressione nel referendum che tende invano a rendere illegale la possibilità di divorziare recentemente conquistata, favorendo l’emancipazione della donna, spesso oppressa dal marito, e limitando il potere della chiesa sulla società civile. Mediante queste profonde trasformazioni la società italiana diviene più moderna, libera, democratica e progressista che mai, ma tali mutamenti non sono indolori: si affermano solo al prezzo di una dura lotta con le forze conservatrici e reazionarie, che in seguito riprenderanno progressivamente il controllo della situazione con lo scemare della mobilitazione popolare.
2. La strategia della tensione
Abbiamo già osservato come i settori più conservatori dello Stato italiano, con sovente la complicità dei servizi segreti e di settori delle forze armate e degli apparati repressivi, sfruttando la manovalanza dell’estrema destra, abbiano soffiato sul fuoco del conflitto sociale con una serie di attentati volti a terrorizzare la popolazione civile, facendo crescere il sostegno al partito dell’ordine e aprendo la strada anche alla possibilità di colpi di Stato sul modello soft francese o sul modello hard greco o cileno.
Dalla strage di Brescia alla strage di Bologna al ruolo della P2
La scia crescente di morti e distruzioni del terrorismo nero o di Stato, come viene definito dal movimento studentesco, raggiunge il suo apice nel 1980 con la strage alla stazione di Bologna, quando una bomba fa quasi cento vittime, ma stragi analoghe negli anni precedenti oltre a treni, banche e monumenti avevano colpito manifestazioni dei lavoratori, ad esempio a Brescia nel 1974. Ancora oggi di queste stragi sono stati indagati e raramente condannati gli esecutori, generalmente legati all’eversione di destra, ma ancora più di rado si è voluto risalire ai mandanti, anche perché gli indizi indicavano spesso in direzione delle alte sfere dello Stato o, addirittura, indicano la complicità della Nato. Nonostante la palese complicità di settori delle forze dell’ordine, della magistratura inquirente e giudicante, e l’eliminazione anche fisica dei poliziotti e magistrati che intendono indagare sui mandanti, emerge ed è denunciato il ruolo eversivo di una loggia massonica segreta, la P2, cui fanno capo uomini politici, imprenditori, vertici militari, dei servizi, importanti giornalisti, magistrati ecc. su posizioni reazionarie, che hanno cercato in ogni modo di destabilizzare il regime democratico per sostituirlo con un potere autoritario, ben visto da diversi settori del mondo economico e politico occidentale che temevano un’ascesa in Italia dei comunisti.
3. Il terrorismo di sinistra
Le provocazioni delle forze reazionarie determinano la reazione dei settori più estremistici del movimento operaio e studentesco che accettano, in modo avventuristicamente suicida, il confronto sul piano militare con lo Stato borghese, favorendo la strategia della tensione con la decisione di rispondere sullo stesso piano al terrorismo di destra.
Il rapimento di Aldo Moro
Taluni settori intendono farsi trovare preparati sul piano militare a un possibile colpo di Stato di destra, altri paradossalmente fanno di tutto per provocarlo, credendo che ciò avrebbe favorito una risposta sul piano rivoluzionario. Il terrorismo rosso raggiunge il proprio apice con il rapimento e l’uccisione del segretario della Dc Aldo Moro, che ha nel frattempo aperto a un governo di compromesso storico fra i grandi partiti di massa italiani: Dc, Psi e Pci. Così nel 1978 le Br, la più grande delle formazioni terroristiche di sinistra, lo rapisce sperando di far saltare la coesistenza pacifica in Italia rilanciando la precedente situazione di guerra fredda. I piani dei terroristi di sinistra falliscono miseramente. Offrono, infatti, la possibilità allo Stato di reagire varando con l’appoggio di tutti i grandi partiti, Pci compreso, una legislazione speciale, che ha dato enormi poteri agli apparati repressivi dello Stato, sospendendo diverse garanzie costituzionali. Ciò ha consentito non solo di eliminare le formazioni terroristiche, ma di decapitare l’ala più radicale del movimento studentesco e proletario, accusato più torto che a ragione di simpatizzare con il terrorismo.
Il pentapartito e il craxismo
I governi di Dc, Psi e alleati minori, pur spostandosi sempre più a destra, hanno dapprima l’appoggio esterno del Pci, che teme di essere assimilato ai gruppi sovversivi e non sopporta più i costanti attacchi dell’estrema sinistra, e poi fronteggiano un’opposizione sempre più blanda. Si viene così a creare una situazione statica di mera conservazione dell’esistente, che ha chiuso la fase di rinnovamento della società italiana e ha aperto la strada alla successiva reazione. La Dc ha conservato la sua centralità politica, nonostante abbia dovuto cedere il posto di capo del governo agli alleati laici, prima i Repubblicani con Spadolini, poi ai Socialisti con Craxi. Venendo progressivamente meno la possibilità di una reale alternativa politico-sociale, il sistema italiano è stato definito una democrazia bloccata, governata sempre dagli stessi uomini politici, in rappresentanza degli stessi interessi sociali. Ciò ha fatto sì che le masse popolari si siano progressivamente disinteressate della politica, tornando a delegarla ai notabili, anche a causa dell’opposizione sempre meno decisa e radicale del Pci, tanto che si è arrivati a parlare di consociativismo.
La crisi economica
Il passaggio da una fase progressista, dagli anni Sessanta alla metà dei settanta, a una fase conservatrice – dalla metà degli anni Settanta agli Ottanta – è al solito dovuto anche a ragioni economiche. La crisi di sovrapproduzione, che ha colpito gli Stati Uniti verso la fine degli anni Sessanta, ha sconvolto l’Italia dal 1973, ponendo fine a un decennio di rapido sviluppo e incremento del benessere.
Le cause della crisi economica in Italia
Del resto, le due principali ragioni del miracolo economico italiano sono venute meno. Dal 1969 i lavoratori con le lotte hanno imposto condizioni di lavoro e di retribuzione pari ai lavoratori dell’Europa occidentale. Allo stesso tempo il prezzo delle materie prime, in particolare del decisivo petrolio assente in Italia, si è impennato nel 1973, per la politica dei grandi produttori arabi volti a contrastare il predomino sionista in Medio Oriente. In tal modo le merci italiane prima poco care e, dunque, appetibili anche all’estero aumentano di prezzo. Inoltre con l’aumento del petrolio due settori industriali particolarmente importanti sono entrati in crisi: l’automobilistico e il chimico, produttore di derivati dal petrolio. Ciò mette in crisi tutto l’indotto di tali settori, comprese le industrie di base come la siderurgica e la meccanica. Tali difficoltà specifiche sono amplificate dalla crisi di sovrapproduzione di tutto il mondo occidentale che restringe gli spazi di mercato. Così l’Italia comincia a indebitarsi, importando merci a un costo complessivo superiore di quelle che esporta. Il debito diviene esplosivo quando la Banca d’Italia, nel 1981, viene autonomizzata e non acquista più i titoli di Stato non venduti sui mercati.
La ripresa economica degli anni Ottanta
L’economia italiana riprende a crescere in modo significativo negli anni Ottanta, dopo il netto calo del prezzo del petrolio, che allevia anche la crisi di sovrapproduzione su scala mondiale. Il calo del petrolio è dovuto alla frattura del fronte dell’Opec in seguito al conflitto Iran e Iraq, alla scoperta del petrolio nel Mare del nord, al risparmio energetico dopo la crisi del 1973, allo sfruttamento di fonti energetiche alternative (centrali elettriche, nucleari, metano ecc).
I motivi dell’effimero secondo boom economico italiano
L’Italia arriva a essere la sesta o settima potenza industriale a livello mondiale. Ciò è dovuto, in particolare, al boom della piccola e media industria, reso possibile dall’evasione fiscale e dalle scarse tutele sindacali, ovvero dall’alto livello di sfruttamento che rende le merci a buon mercato. Tale nanismo produttivo, se nel breve periodo avrebbe fatto la fortuna dell’Italia e in particolare del Nordest del paese, alla lunga sarà fonte della crisi attuale, vista l’incapacità di molte imprese italiane di competere con i trust internazionali. Il rilancio dell’economia italiana è dovuto anche al rovesciamento dei rapporti di forza a livello socio-politico, all’offensiva dei salariati negli anni Sessanta e inizio settanta ha fatto seguito una controffensiva padronale che, dalla metà degli anni Settanta, arriva ai giorni nostri.
Le ragioni della sconfitta dei salariati dall’occupazione della Fiat alla scala mobile
I diritti sociali e gli avanzamenti economici conquistati dai salariati vanno progressivamente perduti, anche perché con la crisi economica è di nuovo aumentato l’esercito industriale di riserva e, quindi, la capacità di ricatto sugli occupati. Il cambiamento dei rapporti di forza fra le classi sociali è emblematicamente segnato dalla sconfitta dei lavoratori della Fiat, che hanno occupato la fabbrica in seguito a licenziamenti di massa. Così la ripresa dell’economia italiana è pagata essenzialmente dai lavoratori con il blocco dei salari, l’aumento degli straordinari e dei ritmi di lavoro. Anche la scala mobile, che difende almeno in parte i salari dell’inflazione, riportandoli al livello dell’aumento delle merci, è sacrificata all’esigenza di aumentare i profitti e rilanciare gli investimenti.