Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi
segue da Fenomenologia dello spirito
Dalla storia della coscienza individuale alla storia dello spirito collettivo dei popoli che sono stati protagonisti delle decisive tappe dello sviluppo della civiltà umana
Le prime tre stazioni attraversate dalla coscienza nel suo processo di formazione, che deve condurla a una visione scientifica del mondo, sono, dunque, percorse da una coscienza ancora individuale e, quindi, consentono nel loro insieme a Hegel di tracciare una vera e propria storia della coscienza, che il filosofo riprenderà per sommi capi nella sua esposizione del sistema delle scienze filosofiche, quando tratterà nell’Enciclopedia lo spirito soggettivo. Le seguenti tre stazioni, che occupano gli ultimi tre capitoli dell’opera, sono invece attraversate da un soggetto divenuto ormai collettivo, ossia dallo spirito umano nel corso del suo sviluppo storico, passato attraverso le diverse civiltà che lo hanno, l’una dopo l’altra, caratterizzato sino allo stadio raggiunto nell’epoca presente.
Prefazione e introduzione
Il passaggio da una figura alla successiva assunta dalla coscienza nel corso della sua autoformazione – che scandisce l’attraversamento dei diversi momenti di sviluppo del percorso fenomenologico – è dovuto a una necessità interna che la spinge inesorabilmente a superare ciò che sino ad allora aveva preso per vero. Perciò, la trattazione del percorso esemplare della coscienza umana non può che essere sistematica, dal momento che la piena verità si raggiunge per Hegel solo nella visione d’insieme della realtà che si conquista grazie al sistema scientifico che ne riproduce la logica di fondo.
Dunque, per Hegel, non può più, come consideravano i romantici e lo stesso Schelling, essere ritenuto vero il mero risultato, ma la verità, in quanto totalità organica, ricomprende in sé anche il processo che necessariamente produce quel determinato risultato. In quanto, come abbiamo più volte sottolineato, Hegel mostra come vero possa essere considerato solo l’intero nella sua totalità e non una singola parte, un singolo aspetto, un determinato punto di vista. Il risultato da raggiungere in questo processo esemplare di formazione della coscienza umana sino a raggiungere la moderna visione scientifica del mondo è definito da Hegel il sapere assoluto, ossia un sapere non più relativo, soggettivo, determinato (da altro, dall’altro da sé), apparente, ma un sapere in grado di divenire autonomo e indipendente in quanto ricomprende in sé il percorso che lo ha necessariamente prodotto, altrimenti non potrebbe a rigore essere definito assoluto.
La critica alle filosofie romantiche
Hegel, per fondare scientificamente la sua nuova concezione della filosofia, muove necessariamente da una rigorosa critica dei limiti delle filosofie immediatamente precedenti la sua e che diverranno l’ideologia dominante nell’epoca della Restaurazione. In particolare rivolge la sua acribia critica, per fondare il suo peculiare sviluppo della storia della filosofia, alle diverse filosofie romantiche dei vari F. Schlegel, Jacobi e Schleiermacher che, pur nella loro diversità, sono tutti e tre fautori di una (pretesa) comprensione immediata dell’assoluto, mediante l’intuizione e/o il sentimento, contrapposti all’intelletto analitico cui tendeva a ridursi la ragione illuminista. In tal modo, queste filosofie romantiche non sono, come mostra Hegel, in grado di comprendere concettualmente, ossia scientificamente il mondo nel suo complesso e, più nello specifico, la propria epoca, per divenire così il solido fondamento di una nuova azione storica creatrice e razionalizzatrice, ma tendono, al contrario, a rifuggire dalla storia – in quanto tali intellettuali si sentono traditi dalla fiducia che hanno riposto in essa ai tempi della Rivoluzione francese e nelle prime fasi dell’epoca napoleonica – in nome di una pura edificazione morale-religiosa. Quest’ultima diverrà non a caso l’ideologia dominante dopo il Congresso di Vienna – producendo, osserva maliziosamente Hegel, concetti certo sublimi, edificanti ma privi di contenuto reale e incapaci, dunque, di una conoscenza scientifica del mondo, all’altezza della complessità che ha conseguito la realtà nell’epoca moderna.
La decisiva presa di distanza critica dalla filosofia di Schelling e la netta e rimarcata rottura con la sua scuola
Liberatosi con relativa facilità delle filosofie romantiche, di cui ha colto acutamente i limiti storici, Hegel passa al confronto ben più complesso con lo stadio più avanzato sino ad allora raggiunto dalla pensiero di Schelling, ovvero con la sua filosofia dell’identità, in cui l’assoluto – superando infine il dualismo che aveva caratterizzato, con le parziali eccezioni di Spinoza e Fichte, tutta la filosofia moderna, ossia post-cartesiana – era stato riconosciuto nell’assoluta indifferenza di soggetto e oggetto, ovvero nella loro compiuta unificazione e identificazione.
Tale traguardo, per quanto ambizioso, non può che lasciare con l’amaro in bocca Hegel, che reinterpreta il sapere filosofico come conoscenza scientifica della propria epoca storica, in quanto nella sua assoluta identità l’assoluto di Schelling è sostanzialmente vuoto, poiché puramente formale e privo di contenuto reale, è una mera tautologia che rischia di divenire nei già numerosi epigoni della scuola di Schelling, da cui Hegel intende ora prendere le distanze nel modo più netto (essendo per troppo tempo stato considerato poco più che un certo valido collaboratore di Schelling). Al punto che Hegel arriva a definire tale indifferente identità dell’assoluto schellinghiano – da cui prendono le mosse i suoi discepoli, sempre più distanti dall’attitudine hegeliana di fare della filosofia una scienza e sempre più, al contrario, attratti dalla svolta in senso mistico e religioso del romanticismo – come la notte in cui, calando il buio, tutte le differenti vacche tendono a identificarsi, in quanto appaiono tutte nere, poiché viene meno proprio il tratto specifico che permette di distinguerle. In altri termini, si tratta di una tendenza della filosofia che per Hegel segue un binario che non potrà che rivelarsi morto, in quanto le filosofie fondate sulla mera unità delle differenze non sono poi in grado di spiegare l’articolazione del reale in tutta la sua multiforme, complessa e anche contraddittoria razionalità.
La negazione determinata, ovvero il processo dialettico del superare tesaurizzando (Aufhebung in tedesco)
Di contro, per Hegel – piuttosto che pretendere di fondare le proprie libere speculazioni filosofiche su un assoluto vuoto, in quanto puramente formale, proprio perché rappresenta unicamente il risultato dello sviluppo dell’intero pensiero filosofico moderno che, però, Schelling non ha inteso, né compreso la necessità di ricomprendere al suo interno – occorre innanzitutto ripercorrere pazientemente, senza saltare nessun passaggio, le necessarie tappe decisive che hanno portato la coscienza umana da una visione del mondo naturalmente a-scientifica, attraverso lo sviluppo necessario e progressivo prima della coscienza individuale e poi dello spirito umano nel suo corso storico, come appunto fa nella Fenomenologia, per poter così infine conseguire una visione scientifica e non più mitologico-religiosa del mondo.
Ogni tappa-figura attraversata dalla coscienza e poi dai diversi spiriti delle differenti civiltà storiche è necessaria, ma per il suo limite interno tende a superarsi dialetticamente nel momento successivo che tesaurizza il contenuto veritativo dei momenti precedenti, abbandonandone gli aspetti caduchi, unilaterali, ossia i limiti storici. La negazione sempre rigorosamente determinata (Aufhebung) e mai assoluta, astratta, della posizione precedente pone in relazione le figure assunte dalla coscienza umana nel corso del suo sviluppo storico con i diversi momenti dell’altrettanto necessario e corrispondente sviluppo della storia della filosofia, il cui motore è proprio la negazione determinata o dialettica.
Secondo l’esempio utilizzato dallo stesso Hegel: il frutto pare negare in modo assoluto il fiore e sembra a sua volta essere del tutto negato dal seme, mentre in realtà, a ben vedere, sono tutti e tre momenti egualmente necessari dello sviluppo della pianta, all’interno del quale soltanto i suoi singoli momenti divengono pienamente comprensibili, mentre presi per sé, isolatamente, conducono facilmente in errore. Hegel, dunque, si pronuncia contro la negazione assoluta dello scettico che si limita a distruggere ciò che critica e, proprio per questo, se costituisce un momento essenziale per lo sviluppo del pensiero filosofico, non essendo in grado di andare al di là dell’astratta negazione assoluta, non è poi in grado di percorrerlo, ma è destinato a rimanere fermo a presiedere il suo mero luogo di origine, considerando a torto ogni successivo sviluppo un tradimento del puro spirito originario.
Coscienza, autocoscienza e ragione
I primi tre momenti, esposti nei primi tre capitoli della Fenomenologia dello spirito, sono: la coscienza, che considera la verità un dato meramente oggettivo; l’autocoscienza, che ritiene la verità sempre fondata sulla soggettività, sull’autocoscienza riflessiva appunto; la ragione che, in quanto terzo momento, sintetizza la tesi e l’antitesi dei due momenti precedenti, ricomprendendoli in sé. Per cui, dal punto di vista più avanzato della ragione, la verità è sempre il prodotto della necessaria interazione fra il soggetto conoscitivo razionale e l’oggetto conosciuto reale, ovvero la verità è sempre il prodotto del rapporto dialettico fra Ie facoltà conoscitive su cui si fonda l’azione dell’Io e il mondo esterno con cui la soggettività necessariamente interagisce.
La coscienza
La coscienza in senso stretto, intesa quindi come primo momento della Fenomenologia, è destinata a rimanere nel dualismo, ovvero nella netta separazione fra il soggetto conoscitivo e l’oggetto conosciuto, tanto che, come abbiamo visto, ritiene la verità qualcosa di puramente oggettivo, di dato, di presente al di fuori del soggetto e da esso indipendente.
La certezza sensibile
La prima figura, con cui si apre il percorso fenomenologico e, più nello specifico il processo formativo della coscienza, è la certezza sensibile. Quest’ultima appare, a prima vista, nella prospettiva del senso comune la forma di conoscenza più ricca, stabile e sicura. Ma in realtà, ben presto la coscienza farà la prima tragica esperienza della vacuità della propria certezza, ovvero dell’errore che si cela in ciò che considerava indubitabilmente come vero, anzi come il vero, ossia l’oggetto immediato della certezza sensibile. Quest’ultimo, infatti, appena lo si analizza con maggiore attenzione, si dimostra essere in realtà solamente la forma più povera, primitiva, vacua e ingenua di conoscenza. Una conoscenza, dunque, decisamente più apparente che reale come possiamo capire facendo un semplice esempio.
Ora mi trovo su una sedia e ho davanti a me una scrivania e a sinistra una finestra. Non mi pare di poter conoscere nulla di più certo di questi oggetti che mi sono davanti, ossia di questa sedia, questa scrivania, questa finestra. Ma tale conoscenza non è immediata come sembra, ma è al contrario resa possibile dal medium del linguaggio altrimenti io non potrei conoscere né la sedia, la scrivania e la finestra, ma questo, quello e quell’altro, che per altro, per poterli esprimere, debbo comunque ricorrere al mezzo che universalizza del linguaggio. Io, in effetti, non conosco mai la sedia, la scrivania e la finestra attraverso la certezza sensibile. in quanto si tratta di universali che divengono comprensibili solo mediante il mio intelletto.