Il libro di Mario Vegetti e Francesco Ademollo – Incontro con Aristotele. Quindici Lezioni, Einaudi, Torino 2017 – è certamente una valida introduzione alla filosofia dello stagirita. D’altra parte, dopo aver letto le Quindici lezioni su Platone di Vegetti, pubblicate qualche anno prima dallo stesso editore, non si può sfuggire a una certa insoddisfazione. Tanto il primo libro è estremamente affascinante – piacevole alla lettura, al punto che si finisce con il leggerlo tutto d'un fiato – quanto il secondo è, certo, interessante, ma decisamente di più ostica lettura.
Evidentemente il secondo libro nasce di fronte al giusto successo del precedente e come avviene quasi sempre anche con i film il secondo non raggiunge mai l’eccelso livello del primo, mancando in qualche modo l’ispirazione del precedente, trattandosi generalmente di un’opera d’occasione e scritta su commissione. Senza contare che vista la piena riuscita del primo, le aspettative riguardo al secondo sono notevolmente accresciute.
Inoltre, mentre il primo è scritto da uno dei massimi interpreti contemporanei di Platone, il secondo è opera di un valido interprete e di un giovane ricercatore di buone speranze. Così la monografia di Aristotele non ha più quella compiutezza e armonia che caratterizza le lezioni su Platone, ma non può che apparire come un aggregato di parti e non come una totalità organica. Inoltre, mentre Platone è decisamente l’autore di Vegetti, il pensatore alla cui interpretazione ha dedicato per lunghi anni anima e corpo, per quanto sia comunque un più che valido interprete di Aristotele, quest’ultimo autore è molto meno naturalmente e immediatamente nelle sue corde.
Si aggiunga a ciò che Platone è certamente in sé un autore decisamente più avvincente e appassionante di Aristotele. Tanto Platone è un autore decisamente pieno di passione, con uno stile espositivo eccezionale, i cui dialoghi dal punto di vista formale sono delle vere e proprie opere d’arte, quanto Aristotele assume il freddo e analitico distacco dal suo oggetto d’indagine tipico dello scienziato. Tanto Platone è pieno di spirito dell’utopia ed è ancora pieno di fiducia ed energia per rilanciare il proprio mondo storico, rivoluzionandolo, quanto Aristotele assume un attitudine distaccata, mirando a sviluppare una rappresentazione il più possibile oggettiva della realtà. La filosofia platonica è decisamente dialogica ed è il prodotto di grandi e avvincenti discussioni che hanno avuto luogo prima nella cerchia di Socrate e poi nell’Accademia, mentre l’opera di Aristotele è essenzialmente didattica, sono materiali adoperati dal docente e dai suoi discenti come decisivi supporti a delle lezioni del primo professore di filosofia.
Inoltre, tanto in Platone vi è un legame strettissimo e indissolubile fra teoria e prassi – per cui non intende affatto limitarsi a interpretare il mondo, ma mira a rivoluzionarlo – quanto Aristotele ritiene che il filosofo debba limitarsi esclusivamente a comprendere e rappresentare il mondo così com’è. Se Platone è un pensatore decisamente idealista, utopista, pieno di ardore rivoluzionario e interessato decisamente di più al dover essere, Aristotele è decisamente un realista, immanentista, per il quale lo scienziato-filosofo deve necessariamente limitarsi a indagare il mondo così com’è, in quanto il reale è essenzialmente razionale. Mentre Platone si dimostra sempre pronto a lanciarsi in nuove spericolate azioni rivoluzionarie, nonostante i sostanziali fallimenti dei precedenti tentativi, con Aristotele si afferma la concezione dell’intellettuale dedito completamente alla vita contemplativa, che peraltro viene considerata decisamente superiore alla vita attiva. Per Platone la filosofia è essenzialmente finalizzata alla conquista del potere politico, per rivoluzionare la società, mentre Aristotele diviene il prototipo dell’intellettuale sobrio, distaccato dal contesto storico-politico, decisamente anti utopista che analizza con la stessa acribia i fenomeni meno rilevanti della natura e i prodotti più elevati della cultura e della vita politica.
Per quanto riguarda Incontro con Aristotele decisamente più significativi e avvincenti sono i capitoli iniziali, dalla premessa, all’introduzione generale “Un uomo di scuola”, al decisivo confronto-scontro con Platone “Dimenticare il maestro” e gli ultimi, in particolare quelli dedicati alle opere etiche e politiche. Molto interessanti sono anche i capitoli dedicati alla filosofia della natura di Aristotele, mentre più scolastici appaiono i capitoli dedicati alla logica formale.
Di certo l’opera ci dà uno sguardo a tutto tondo e debitamente argomentato e sfaccettato della filosofia aristotelica. Da questo punto di vista Incontro con Aristotele appare uno studio estremamente equilibrato in grado di restituire in pieno tutta l’eccezionale grandezza di questo gigante del pensiero scientifico e filosofico, evidenziandone, al contempo, tutti i suoi limiti storici.
Libertà e democrazia. La lezione degli antichi e la sua attualità di Mario Vegetti per Edizioni Casa della Cultura, Milano 2014, si basa su una lezione della “scuola di cultura politica”, promossa dalla Casa della Cultura con la Fondazione Feltrinelli per rifondare una sana dialettica fra riflessione teorica e azione politica, ovvero fra teoria e prassi. Da questo punto di vista non si poteva fare scelta migliore che invitare Vegetti a esporre la rilevanza e la grande attualità che conservano le principali filosofie del mondo classico sui due concetti al centro del dibattito politico contemporaneo: la libertà e la democrazia.
Vegetti fa innanzitutto un’analisi storica estremamente accurata su cosa significasse in particolare la democrazia nel mondo greco. Con il consueto equilibrio Vegetti mette sul piatto della bilancia la grandezza e i limiti di questa prima grande esperienza di democrazia. In particolare Vegetti si sofferma sulla critica di Platone alla degenerazione della democrazia greca, in quanto questa analisi critica rimane, purtroppo, ancora oggi particolarmente attuale. In particolare poiché con la fine della guerra fredda sono entrati sempre più in crisi quegli organismi intermedi, che erano stati decisivi per ricostruire una democrazia in grado di tenere testa alle insidiose critiche platoniche. Purtroppo, con l’odierno affermarsi dell’individualismo più sfrenato e la conseguente grave crisi degli organismi intermedi, l’analisi critica di Platone, più ancora che le discutibili soluzioni da lui progettate, conoscono una rinnovata capacità di cogliere alcuni dei principali limiti dell’attuale mondo liberal-democratico.
Filosofia e sapere della città antica di Mario Vegetti è la ristampa del primo volume della storia della filosofia curata da questo insigne storico del pensiero antico. Nonostante gli anni passati, il volume di Vegetti resta la migliore presentazione della filosofia antica per le scuole prodotta nel nostro paese. Paradossalmente sono proprio gli aspetti che avevano connotato alla sua uscita come avanguardistica la grande opera di Vegetti ad apparire oggi gli elementi più superati e meno incisivi. In particolare risulta a tratti decisamente sviante la netta bipartizione sociologica dei pensatori antichi, fra intellettuali democratici e, quindi, progressisti, e pensatori aristocratici, dunque reazionari. Pur partendo dal sacrosanto intento di introdurre la concezione materialistica della storia nell’interpretazione della filosofia antica, tale impostazione finisce per fornirne una versione molti discutibile nel suo schematico dualismo che, peraltro, dimostra come anche pensatori decisamente di sinistra come Vegetti siano stati egemonizzati dall’ideologia dominante, per cui tutti gli esperimenti politici non democratici dovrebbero essere necessariamente oligarchici, ovvero conservatori e/o reazionari.
“Un paradigma in cielo” Platone politico da Aristotele al Novecento di Mario Vegetti è indubbiamente una grande opera, che peraltro porta a compimento un più che decennale confronto del grande storico della filosofia antica con l’opera più ricca e complessa di Platone e, probabilmente di tutto il mondo premoderno: La Repubblica. In effetti Vegetti, dopo aver portato a termine un’eccezionale commentario a La Repubblica di Platone, in ben otto volumi per Bibliopolis, ha posto a corollario di essa una estremamente significativa storia delle interpretazioni e della ricezione del Platone politico che, pur analizzando le più antiche interpretazioni da Aristotele al Rinascimento, si concentra in particolare sul dibattito moderno e contemporaneo da Kant ai più attuali interpreti.
Vegetti mostra come dopo un secolo di importantissime interpretazioni essenzialmente progressiste se non radicali del Platone politico, il quadro sia radicalmente negato quando con il XX secolo e il pieno manifestarsi della crisi strutturale del modo di produzione capitalistico, l’intellighenzia borghese, egemone per oltre due secoli, abbia abbandonato le precedenti posizioni volte a valorizzare gli aspetti più avanzati del pensiero politico di Platone, per imporre una lettura che, a partire dagli elementi più storicamente caduchi de La Repubblica, ne ha favorito interpretazioni sempre più conservatrici, se non addirittura reazionarie.
La svolta si ha quando, proprio in Germania, in cui si erano sviluppate alcune delle interpretazioni più avanzate e progressive del pensiero politico platonico, ha decisamente prevalso – dopo la durissima sconfitta nella Prima guerra imperialista mondiale – una lettura sempre più conservatrice e reazionaria in linea con l’affermarsi della distruzione della ragione, della Kriegsideologie e del pensiero di Friedrich Nietzsche.
Così, dopo che si era consolidata alla fine del diciannovesimo secolo una interpretazione progressista del pensiero di Platone, cui avevano cooperato i migliori esponenti della storia della filosofia positivista, radicale inglese e neokantiana tedesca, con punti di contatto con il socialismo, nel ventesimo secolo si afferma una lettura sempre più conservatrice e reazionaria.
L’affermarsi proprio fra i più quotati filologi e antichisti tedeschi, egemoni a livello internazionale, di una lettura sempre più volta a strumentalizzare in senso prima conservatore e poi sempre più reazionario il pensiero di Platone – aprendo così la strada alla completa mistificazione della filosofia politica platonica da parte dei nazionalsocialisti – produrrà effetti catastrofici nella ricezione a livello internazionale. Così, nello stesso pensiero anglosassone – il più deciso a contrastare l’egemonia tedesca – si affermerà una interpretazione analoga di Platone, anche se con un giudizio di valore opposto. In tal modo, se nel pensiero politico platonico si ricercava una radicale alternativa, in senso conservatore, alla “liberal-democrazia” anglo-francese, nei paesi anglosassoni di procederà alla condanna di Platone in quanto capostipite di quella deriva reazionaria olistica che si veniva contrapponendo alle “società aperte”.