Film e serie mediocri dell’anno

 Brevi e caustiche recensioni di #classe ai #film e alle serie televisive mediocri del 2022, visti in sala o in rete.


Film e serie mediocri dell’anno

Mondocane di Alessandro Celli, drammatico, Italia 2021, candidato miglior regista esordiente ai Nastri d’argento, voto: 6-; film di confine fra l’intollerabile gusto postmoderno di rovistare nel torbido e la denuncia di una società sempre più polarizzata dal punto di vista economico, sociale e culturale. Peccato che il futuro è sempre rappresentato in modo distopico, con il proletariato ridotto a sottoproletariato e la classe dominante che non si fonda più sullo sfruttamento del lavoro salariato, senza parlare del ruolo positivo riconosciuto agli apparati repressivi dello Stato. Il pregio del film è che lo squallore non è fine a se stesso, ma è giustificato dal taglio distopico dell’opera, che tende a estremizzare aspetti realistici dell’attuale società. 

Pleasure di Ninja Thyberg, drammatico, Svezia, Paesi Bassi, Francia 2021, distribuito su Apple Tv, voto 6-; il film mostra il vero e proprio calvario nel più becero maschilismo e sessismo che una giovane donna deve subire nella speranza di divenire una porno star. Dal film emerge tutta la brutalità del mondo legato ai film porno, anche se in Pleasure sembra mancare del tutto un’attitudine critica, un’analisi più approfondita e una prospettiva di superamento della tragedia rappresentata. Si resta a una riproduzione naturalistica che, dopo un po’, diviene pesante ai limiti dell’intollerabile

La cena perfetta, regia di Davide Minella, Italia 2022, nomination miglior commedia, voto: 5,5; commediola italiana certamente godibile, ma che lascia troppo poco da riflettere allo spettatore. Fra gli aspetti positivi, che lasciano ben sperare, non vi sono cadute postmoderne o nel cattivo gusto del grottesco. Restano come tipici aspetti negativi dei prodotti dell’industria culturale e delle merci culinarie, la passione smodata per il materialismo rozzo e il rifiuto del conflitto sociale. Si conferma così il livello davvero mediocre del cinema italiano, se un filmetto come questo può essere candidato a miglior commedia.

A casa tutti bene di Gabriele Muccino, Italia 2022, serie tv, distribuita su Sky Serie e in streaming su Now, voto: 5,5; davvero viviamo in tempi oscuri, si dovrebbe dire parafrasando Brecht, dal momento che ci siamo ridotti a prestare attenzione all’opera di un regista sostanzialmente integrato nell’industria culturale, peraltro di scarsissima qualità come quella italiana. La serie, che riprende un film privo di fatto di spessore, ha qualche spunto lodevole nella critica sociale di una famiglia di parvenu. D’altra parte fermandosi a metà strada fra una serie brillante e una drammatica finisce con il non brillare in nessuno dei due generi. Nel secondo episodio A casa tutti bene perde verve e diviene alquanto noiosa anche perché, sostanzialmente, male interpretata. Inoltre il materiale del film da cui è tratta non era certo sufficiente per poter sviluppare un'intera serie. Si assiste così, di fatto, a una ripresa “all’amatriciana” della decisamente più brillante ed efficace serie statunitense Succession. Nel terzo episodio compare uno sfondo giallo che rianima la vicenda, insieme al confronto-scontro fra il ramo ricco e il ramo povero della famiglia. Naturalmente è del tutto assente un qualche personaggio positivo che dia un respiro più ampio a una vicenda piuttosto asfittica. Nel quarto e quinto episodio il tono drammatico diviene prevalente, anche se non ci sono sorprese e colpi di scena e i personaggi sono piuttosto stereotipati, schematici e poco sfaccettati. La serie è abbastanza godibile anche se prevalgono gli aspetti culinari e A casa tutti bene lascia poco su cui riflettere allo spettatore. Piuttosto inaccettabili i personaggi femminili, in massima parte subalterni agli uomini, e che sembrano avere come massima aspirazione quella di farsi sposare o di preservare a ogni costo il rapporto di coppia. Nel sesto e settimo episodio la serie finalmente decolla e diviene avvincente ed emozionante. Le contraddizioni e gli elementi di critica sociale emergono in modo sempre più deciso. In questo quadro a tinte fosche pare non esserci modo di arrivare al necessario superamento dialettico dell’esistente. Anche perché il mondo del lavoro e il conflitto sociale e di classe restano quasi completamente estranei alle vicende narrate. L’ottavo e conclusivo episodio delude le aspettative che si erano sviluppate nelle ultime puntate, anche perché gli autori sembrano essere maggiormente interessati a lanciare una possibile seconda stagione, piuttosto che giungere a una catarsi soddisfacente. Peraltro, ripensandoci a serie conclusa, si comprende che le aspettative sorte negli episodi precedenti, se avevano contribuito a rendere la serie interessante, erano in realtà prive di un contenuto effettivamente significativo. Certo, resta valida la brillante trovata metaforica del cadavere sepolto in giardino, mentre la dinamica dell’omicidio resta alquanto inverosimile e autoassolutoria.

Irma Vep - La vita imita l'arte, è una miniserie televisiva statunitense e francese del 2022, scritta e diretta da Olivier Assayas, basata sul suo omonimo film del 1996, voto: 5+. Il sottotitolo formalista è una infelice trovata della produzione italiana. La serie, remake di un film che a sua volta è un remake di una delle prime serie della storia del cinema, è interessante e in parte affascinante per i diversi piani di film nel film che si intersecano. Ha degli spunti da commedia sofisticata ma, come spesso avviene, si allunga troppo e inutilmente il brodo e si ha poco di sostanziale da comunicare finendo, inevitabilmente, con l’annoiare il pubblico

American Crime Story, serie televisiva giunta alla terza stagione, ognuna indipendente dalle altre, è intitolata Impeachment e composta da dieci episodi. In Italia la stagione è andata in onda in prima visione sul canale satellitare Fox, voto: 5. Interessante serie che denuncia il livello infimo dal punto di vista culturale della popolazione statunitense, l’attitudine da predatore sessuale del presidente Clinton e come la destra repubblicana abbia strumentalizzato il caso Lewinsky per portare acqua al mulino della propria politica reazionaria. Ancora una volta dobbiamo purtroppo constatare come il nostro paese e, più in generale, il continente europeo, siano indietro rispetto agli Stati Uniti d’America per quanto riguarda una rappresentazione critica della realtà da parte degli audiovisivi. In Italia sarebbe letteralmente impensabile una serie del genere. La serie sviluppa una significativa indagine psicologica e sociologica da cui emergono i grandi limiti, l’ipocrisia e il moralismo della società statunitense. Più la serie va avanti e più perde di mordente, in quanto ben dieci episodi incentrati esclusivamente su questa vicenda sono davvero troppi, anche perché non si allarga l’analisi critica sulle colpe di fondo dei Clinton e dei loro accusatori repubblicani, o sul personaggio di estrema destra che strumentalizza Monica Lewinsky. Inoltre la serie è troppo incentrata su quest’ultima figura e sull’interpretazione adialettica e apologetica che se ne dà. Gli ultimi episodi sono del tutto superflui, utili solo per allungare in modo tafazziano il brodo. La serie finisce così con il divenire sempre più noiosa, in quanto i dieci episodi dovevano essere ridotti a un massimo di quattro. Peraltro diviene sempre più chiaro che la pretesa dei repubblicani di fare la storia con l’impeachment a Clinton era solo una distopia. Interessante come la sorte dei principali protagonisti di questa tragicommedia abbiano dei destini del tutto conformi alla posizione che occupano nella piramide sociale. I più deboli, anche se principalmente vittime, finiscono rovinati, i più ricchi e potenti anche se decisamente più colpevoli fanno carriera. Emerge infine tutto l’assurdo puritanesimo degli statunitensi, che fa il gioco, con la sua ipocrisia, dell’imperialismo americano e dei falchi repubblicani, in quanto lo scandalo sessuale svia dalle gravissime colpe reali della presidenza Clinton e rafforza l’opposizione di destra che, anche sulla questione femminile, ha posizioni decisamente più reazionarie dei democratici

Barry, serie tv brillante statunitense ideata da Alec Berg e Bill Hader, distribuita in Italia nel 2021 da Sky, in otto episodi, voto: 5. La serie è stata acclamata dalla critica e ha vinto 10 premi su 39 candidature. Tale successo della serie resta davvero un mistero. Per quanto generalmente di basso livello le serie brillanti difficilmente appaiono così poco significative persino nell’episodio pilota. Come generalmente accade la serie non fa ridere, almeno un pubblico italiano, e non tocca nessun aspetto significativo della realtà. Interessante che il killer depresso protagonista della serie sia un ex marine reduce da aggressioni imperialiste. Negativo è invece il fatto che la professione di killer, per quanto significativamente posta su un piano analogo a quella dei marine all’estero, viene in qualche modo normalizzata. Infine il male assoluto è rappresentato dalla solita banda della criminalità organizzata straniera, con una piccola variante, in quanto i consueti russi sono sostituiti da ceceni. Nell’episodio tre e quattro la serie diviene certamente più godibile, giocata tutto sullo scontro-incontro fra le due “Americhe” quella dei marine e quella di una scuola per attori di Los Angeles. La satira sociale investe in maniera abbastanza efficace entrambi i gruppi e coinvolge anche il mondo della malavita organizzata. Interessante come il killer ex marine risulti del tutto impacciato e insicuro nel mondo per lui alieno della scuola di recitazione. D’altra parte questo mondo, per quanto incomparabilmente migliore del mondo da cui proviene l’ex marine, non può rappresentare una verosimile alternativa per la parte consistente di statunitensi conservatori, reazionari e liberisti impiegati nell’apparato militare industriale. Nell’episodio cinque la serie si stabilizza, confermandosi piacevole, ma sostanzialmente priva di contenuti sostanziali. Inoltre la caratterizzazione della malavita, naturalmente straniera e proveniente dalla Federazione Russa appare decisamente razzista, mentre la completa assenza di straniamento porta il pubblico a solidarizzare con il protagonista, nonostante si tratti di un pericoloso e sanguinario criminale. La serie delinea bene la connotazione sociale tipica dei marine, cioè il loro essere espressione di un sottoproletariato privo di coscienza di classe, violento, privo di morale ed eticità e dipendente dalle droghe e dalla pornografia. Interessante anche come lo stesso ceto medio riflessivo statunitense abbia posizioni radicalmente filoimperialiste in politica estera, tanto da considerare i marines come eroi che si sacrificano al loro posto in conflitti giusti e necessari. In questo caso violenza e morte diverrebbero necessarie e socialmente utili. Infine anche nell’individuazione dei nemici – che sono sempre i cattivi che è bene uccidere con ogni mezzo necessario, anche se a farlo sono dei mercenari al servizio di altri criminali – si seguono pedissequamente le direttive dell’imperialismo a stelle e strisce. Così la poliziotta, non appena sente un uomo parlare con un accento russo, estrae immediatamente la pistola, dal momento che non potrebbe che trattarsi di un pericoloso criminale. Peraltro sembrerebbe accettabile anche collaborare con la malavita cecena se si tratta di colpire gli odiati boliviani, che sembrerebbero aver sostituito i fidi alleati colombiani nel traffico della droga. La prima serie si conclude con l’esplodere della contraddizione fra il protagonista, che si vuole ritagliare una nuova vita come attore, e il vecchio marine – divenuto a tutti gli effetti un assassino – con cui il protagonista non riesce a chiudere, anche perché non risulta possibile occultare il proprio passato. La seconda stagione si conferma, come di consueto, meno verosimile e incisiva della prima, anche perché non ha più molto di significativo di nuovo da aggiungere se non delle continue variazioni su temi già collaudati. Si confermano anche gli aspetti più deteriori, come l’assumere come rappresentanti del male assoluto degli stranieri, scelti sempre fra i maggiori nemici dell’imperialismo anche se, nel caso di Barry, la scelta è più sofisticata dal momento che sono individuati nei boliviani al posto dei cubani, nella mafia cecena al posto della russa e nei birmani al posto dei cinesi. Si conferma, altresì, la nota più positiva, cioè la demitizzazione dei contingenti imperialisti all’estero, mostrati per quello che realmente sono: delle belve umane assetate di sangue e pronte a esaltare chi uccide piè sospetti nemici. Colpisce la presumibilmente non voluta autoironia per cui il killer statunitense è così superiore da dover istruire i membri della mafia ceceni, che appaiono nei suoi confronti dei poveri sprovveduti. Interessante anche come il protagonista affermi di aver recuperato la propria identità e il sentimento di appartenenza a una comunità dopo aver assassinato un afghano nel paese che ha invaso, solo in quanto colpevole di un movimento sospetto. La commedia diviene, finalmente, a tratti esilarante. Emerge in modo più chiaro ed evidente la natura criminale del protagonista, già al tempo in cui era arruolato nei marine. Emerge ancora di più l’attitudine criminale delle truppe d’occupazione imperialiste. Peccato che la satira della malavita organizzata in primo luogo e del mondo degli attori in secondo non siano minimamente all’altezza di una serie così di successo. Ciò rende anche la seconda stagione decisamente sopravvalutata

America Latina di Damiano D’Innocenzo e Fabio D’Innocenzo, con Elio Germano, thriller, Italia 2021, candidato a miglior fotografia, attore protagonista e colonna sonora ai premi David di Donatello, voto: 5; film che – pur amando rimestare nel torbido e dipingere tutto con il monocolore di ordinanza del peggiore cinema italiano: il grottesco – fa comunque emergere il lato oscuro, criminale e sempre potenzialmente nazista del benpensante borghese

Tick, tick…boom! di Lin-Manuel Miranda, biografico, drammatico e musicale, USA 2021, distribuito su netflix, nomination a miglior film commedia ai Golden Globe, nomination miglior attore protagonista e montaggio ai premi Oscar, voto: 5. Film piuttosto soporifero che narra un frammento della vita di un artista che ha avuto, dopo una morte prematura, un grande successo postumo con un suo musical a Broadway. Nel film si ricostruiscono i suoi primi e non fortunati musical e la vita dell’artista prima della sua affermazione. Perciò si tratta di un film privo di elementi significativi e nemmeno gradevole visto il livello molto commerciale, anche dal punto di vista musicale, dei primi lavori del protagonista. 

Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli di Destin Daniel Cretton, azione, avventura, fantasy, Usa 2021, distribuito da Walt Disney, nomination ai premi oscar per i migliori effetti speciali, voto: 5-. Film meramente gastronomico e pura merce della più pericolosa industria culturale statunitense, volto esclusivamente all’evasione dello spettatore dai problemi reali, risulta nonostante tutto piacevole, anche se indubbiamente non bello. Si tratta del primo film Marvel con un supereroe asiatico, con degli indubbiamente notevoli effetti speciali. 

Billie Eilish: The World’s a Little Blurry di R.J. Cutler, Usa 2021, candidato ai premi Oscar come miglior documentario, voto: 5-. Il film sarà pure ben confezionato, ma è davvero troppo lungo nella sua narrazione naturalistica di una vicenda biografica, peraltro limitata a un arco temporale molto limitato, priva di qualsiasi interesse sostanziale. Davvero poco comprensibile la candidatura ai premi Oscar come miglior documentario. 

The Morning Show, seconda stagione della serie tv in dieci episodi, distribuita sul servizio di streaming Apple tv+, voto: 5-. La serie mostra in modo estremamente critico il mondo televisivo in una società a capitalismo avanzato. The morning show denuncia efficacemente il cinismo da cretino assolutamente dominante nella società statunitense e inconsapevolmente ne fa emergere il fascismo quotidiano. Peccato che al solito la morale è sostanzialmente “così fan tutti” e, di conseguenza, la critica sociale tende a divenire inoffensiva naturalizzandosi. La serie è sicuramente una merce abbastanza raffinata dell’industria culturale, anche se di tanto in tanto tende a divenire soporifera per la appena sufficiente presenza di contenuti sostanziali. Il terzo episodio procede sulla falsariga dei due precedenti, con la protagonista della prima serie che appare sempre più integrata nel contesto anestetizzante della televisione di successo e sempre meno sanamente fuori dagli schemi. Si presenta, infine, un personaggio diverso e almeno in parte positivo nel giornalista afroamericano che cerca, invano, di portare l’attenzione del grande network “informativo” nel quale lavora sui pericoli della diffusione del nuovo virus SARS-CoV-2, scontrandosi con un muro di gomma, in quanto la notizia della diffusione della pandemia nella lontana Cina non farebbe crescere il numero dei telespettatori, che sarebbero interessati esclusivamente alle vicende del proprio paese. Nel quarto e nel quinto episodio prosegue la denuncia di quanto siano marci in particolare i vertici delle grandi industrie culturali e di come tale marciume finisca per contaminare anche i piani più bassi. Peccato che manchi quasi del tutto un’analisi critica dei contenuti mediati dalle grandi fabbriche del falso. Prosegue inoltre la riflessione sui problemi relativi alla inclusione delle minoranze etniche e al movimento per l’emancipazione delle donne. Anche se spesso si finisce per dare troppa importanza al politically correct piuttosto che indagare sulle cause reali – economiche e sociali – delle discriminazioni etniche, sessuali e sessiste così profondamente radicate negli Stati Uniti. La seconda stagione purtroppo non decolla e finisce con l’apparire sostanzialmente inutile. Si dimostra sempre più una merce – per quanto piuttosto bene confezionata – dell’industria culturale, tanto che alla fine finisce con l’annoiare. L’unico aspetto significativo del sesto e settimo episodio è il far emergere quanto il mondo sia cambiato grazie al movimento Me Too e come la società patriarcale sia stata finalmente costretta ad arretrare. Gli episodi sette e otto, pur mantenendo un sano naturalismo – rispetto all’ideologia postmoderna – si focalizzano troppo sulle vicende particolari dei propri personaggi che hanno il grande difetto di non essere sufficientemente tipici. Mentre i grandi eventi come la diffusione del Covid-19 e il tragico fatto che i paesi capitalisti occidentali non abbiano fatto nulla per prevenirla – con la completa complicità dei grandi mezzi di comunicazione di massa – passano del tutto in secondo piano. Resta soltanto un accenno significativo su come l’epidemia di Ebola si fosse diffusa negli Stati Uniti e, ciò nonostante, questo dramma sia stato completamente occultato dall’ideologia dominante. Resta il dubbio se senza la puntuale denuncia della Repubblica Popolare Cinese anche la diffusione del Covid sarebbe stata ancora di più, di quanto è avvenuto, nascosta dalle autorità dei paesi capitalisti occidentali. L’ultima puntata è al solito più movimentata e appassionante delle precedenti. Vi è il confronto con la malattia, il diffondersi della pandemia e i personaggi principali sono umanizzati e resi più complessi. Anche il pericoloso moralismo, che strumentalizza il movimento per l’emancipazione delle donne, viene a ragione criticato. Peccato che, come già osservato, le tematiche socio-economiche e politiche vengono estromesse e anche la significativa critica alla televisione viene, almeno in parte, attenuata. 

Leonora Addio di Paolo Taviani, drammatico, Italia 2022, voto: 5-; film che ha vinto il premio Fipresci al festival di Berlino, ha vinto il Nastro d’argento per la migliore colonna sonora di Nicola Piovani ed è stato candidato ai medesimi premi per la miglior regia e la migliore fotografia. Il film è banalmente postmoderno dal punto di vista del contenuto, perciò del tutto fine a se stesso, noioso e irrazionalista. Mentre è solidamente classico dal punto di vista della forma, tanto che la nomination alla migliore fotografia è meritata e avrebbe meritato anche una menzione il montaggio del maestro Perpignani. Se si potesse giudicare la regia da un punto di vista meramente formale, anche questa nomination sarebbe, tutto sommato, meritata.

Parigi, 13Arr. di Jacques Audiard, drammatico, Francia 2021, Il film ha ottenuto 5 candidature a Cesar, 3 candidature a Lumiere Awards, voto: 5-; film decisamente sopravvalutato anche dalla sinistra radical. In realtà si tratta di una mediocre storia di amore con i soliti stereotipi oggi di moda, decisamente irrealistica, poco o nulla di tipico, inoltre il film taglia colpevolmente fuori tutto il mondo storico, sociale e politico. Non solo non lascia nulla su cui riflettere allo spettatore, come esperienza estetica è decisamente mediocre, ma non risulta, per la scarsa verosimiglianza, neanche gradevole. Si tratta di una merce di discreta qualità dell’industria culturale francese. 

Corro da te di Riccardo Milani, commedia, Italia 2022, con Pierfrancesco Favino, Miriam Leone, nastro d’argento per la migliore commedia, voto: 5-; se questa è la migliore commedia, allora il cinema italiano è messo veramente male. La commedia, a tratti divertente e ben curata nel montaggio, non ha nulla di significativo da comunicare e si limita a sfiorare il tema dell’inclusione, ma con un lieto fine sostanzialmente scontato sin dall’inizio. D’altra parte quantomeno evita le cadute nel postmodernismo. Dark Winds è una miniserie televisiva statunitense del 2022 creata da Graham Roland, in 6 episodi, disponibile sul Web con sottotitoli italiani, voto: 5-; la serie, pur contenendo dei significativi aspetti di denuncia del genocidio dei nativi nordamericani, portata avanti fino agli anni più recenti negli Stati uniti d’America, è tutta volta a criminalizzare, in modo del tutto irrealistico, le frange più estreme, dedite alla lotta armata per l’emancipazione degli amerindi. Così, se ancora pochi decenni fa le donne native venivano rese sterili contro la loro volontà dopo il primo parto, e i bambini nativi erano rinchiusi in scuola cristiane volte a cancellare la loro cultura, il problema principale sembrerebbe costituito da degli estremisti avventuristi guerriglieri, che si macchierebbero di crimini del tutto inverosimili. Al contrario a difendere gli interessi dei nativi, visto che il governo federale sostanzialmente se ne disinteressa, sarebbero i corpi di polizia autoctona.

27/01/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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