Snowpiercer seconda serie in 8 episodi, voto: 8,5; il primo episodio, L’epoca dei due motori, riapre il conflitto di classe non più interno – in quanto i rivoluzionari hanno conquistato il potere – ma rivolto all’esterno, dove ancora domina l’autocrazia del grande capitale. Quest’ultimo, in effetti, per conservare il proprio dominio, ha la necessità di mantenere il controllo sui tecnici-intellettuali i quali, però, sono ancora fortemente influenzati dal processo rivoluzionario e fanno in modo che i due mondi contrapposti debbano rimanere uniti per poter sopravvivere. Inizia dunque la guerra fredda, una lunga guerra di posizione, che ha inizio nel momento in cui i due campi in lotta si rendono conto che il tentativo di risolvere il conflitto con una guerra lampo di movimento non ha possibilità di aver successo. La nuova situazione di guerra di logoramento mette subito in seria difficoltà il campo rivoluzionario, in quanto la tanto agognata democrazia reale non può affermarsi, poiché lo stato di guerra impone il mantenimento dello stato di emergenza e, di conseguenza, la legge marziale. Inoltre le differenze di classe, in teoria sparite, rischiano di riprodursi con il leader della rivoluzione che è convinto dall’intellettuale tradizionale e dalla compagna a installarsi in prima classe, per poter meglio gestire il processo rivoluzionario. Inoltre, l’intellettuale tradizionale, da sempre controrivoluzionario, ha facile gioco nel convincere le masse – estenuate dopo il massacrante conflitto di classe – che sarebbe necessario un compromesso e che il padrone non sarà poi così cattivo. Inoltre vi è il sottoproletariato, anarcoide ed estremista, che cade facilmente nell’inganno del campo nemico che, per meglio fare breccia, vi comincia a diffondere il cancro della droga.
Una fiamma pronta a divampare, secondo episodio della seconda serie di Snowpiercer, si mantiene all’altezza delle aspettative. Emerge la necessità di superare la lotta di classe a livello internazionale, fra le due parti del treno, metafore del sistema capitalista e del sistema socialista, per preservare la vita sulla Terra dalla catastrofe ambientale, in modo da poter uscire dallo stato d’eccezione reso permanente, indispensabile al dominio sempre più irrazionale e ingiusto del capitale. Come si vede chiaramente, la politica di distensione viene sfruttata dal capitale per cercare di colpire al cuore il socialismo. Tanto più che l’universo socialista è infiltrato da fascisti volti a terrorizzare le classi popolari. Inoltre è ancora forte la capacità di egemonia del grande capitale non solo sui residui dell’alta borghesia ma anche nella media e piccola borghesia all’interno del mondo socialista. Un ruolo importante è svolto dagli intellettuali scienziati che si illudono, idealisticamente, che sia possibile superare le divisioni di classe sulla base del bene comune.
Una grande odissea, terzo episodio della seconda serie di Snowpiercer, si conferma all’altezza di questa valida serie. In particolare emerge la contraddizione fra i settori più radicali e disposti al sacrificio del fronte rivoluzionario e i tecnici-intellettuali con i quali è necessario stabilire un’alleanza, sebbene siano residui della vecchia classe dominante. Ciò significherà mantenerli in alcuni vitali posti direttivi, consentirgli di mantenere parte dei loro privilegi e scendere a patti con le loro posizioni necessariamente più moderate e portate al compromesso con gli intellettuali del fronte nemico. Il problema è che, una volta sacrificata l’avanguardia al necessario compromesso con i tecnici-intellettuali, mancherà la spinta propulsiva rivoluzionaria ed emergeranno sempre di più opportunisti e potenziali quinte colonne del nemico nel proprio campo.
Un solo scambio, quarto episodio alquanto interlocutorio, è costruito quasi esclusivamente sul rapporto fra il padrone – che vorrebbe ristabilire il suo potere autocratico sul treno –e la sua ex, in realtà una escort di lusso. Come di consueto, il padrone vorrebbe semplicemente rientrare nel pieno possesso della sua “proprietà”, tanto che intenderebbe costringerla al suicidio dietro suo ordine, come aveva fatto con un altro suo sottoposto. Per il resto, permane una tesissima coesistenza pacifica fra i due campi, in attesa che lo schieramento imperialista rompa la tregua e cerchi di imporre nuovamente il proprio dominio autocratico sull’intero treno, sfruttando le contraddizioni di classe presenti all’interno del campo postrivoluzionario.
Tenere viva la speranza, quinto episodio, recupera anche quanto era andato perduto nei momenti precedenti, ossia la necessità di una speranza palingenetica per tenere insieme gli oppressi nella seconda fase del processo rivoluzionario, quella più complessa, in cui occorre mantenere il potere nella lotta con l’imperialismo sul piano universale. D’altra parte emerge l’altra faccia, altrettanto necessaria ma impronunciabile, del terrore indispensabile a eliminare quella quinta colonna interna, mediante cui il giovane processo rivoluzionario può essere facilmente rovesciato. Si tratta di spazzare via, innanzitutto, il nemico interno: fascisti e malavita organizzata: non vi sono alternative. Si tratta, allo stesso modo, di infiltrare il fronte nemico, in modo di aprire le contraddizione anche dall’altra parte della barricata. C’è bisogno dei più decisi rivoluzionari che siano pronti a sacrificarsi per poter conoscere i piani del nemico. Infine è necessario saper sfruttare al servizio della rivoluzione anche personaggi infidi, ma necessari, come il sottoproletario o l’intellettuale tradizionale ultraconservatore.
Lontano dallo Snowpiercer, sesto episodio della serie, è incentrato interamente su un detour sullo scienziato che tenta da solo l’impresa di individuare una possibile ripresa del pianeta Terra dopo la catastrofe. Naturalmente, in tal modo, resta escluso l’aspetto fondamentale della lotta di classe che qui si riduce alla lotta fra il padrone e il suo ingegnere che, in modo alquanto inverosimile, prende il potere in nome del bene dell’umanità e contro le attitudini autocratiche del capitalista. Ciò non impedirà che, sotto il domino dei tecnici, non si imponga egualmente un regime classista e autoritario, tanto più che, per mantenere la direzione, i tecnici affermeranno di agire sempre alle dipendenze del “legittimo” padrone.
La nostra risposta a ogni problema è il titolo del settimo episodio che ci riporta in medias res. L’apparente terrore si rivela ben presto essere frutto di una sorta di strategia della tensione, che vede a capo non a caso il prete e residui della prima classe, per scatenare i ceti medi contro i proletari e chiedere un governo autoritario, ovvero la restaurazione neoliberista dell’autocrazia del grande capitale. I proletari si ritrovano privi di una vera guida, anche perché avevano come leader un ex poliziotto, e non sembrano in grado di reagire. La situazione si fa estremamente difficile, anche se le forze rivoluzionarie cominciano ad avere infiltrati in posizioni significative nel campo nemico e sono, comunque, riusciti a scoprire la rete che ha ideato e praticato la strategia della tensione. A questo punto tutto dipenderà dalla capacità dei due blocchi sociali opposti e inconciliabili di avere l’egemonia sui ceti intermedi.
L’eterno architetto, ottavo episodio all’altezza dei migliori, torna a essere un’ottima metafora della lotta di classe. Le forze rivoluzionarie, non volendo e forse non potendo instaurare una reale dittatura di classe, lasciano scoperto il fianco al contrattacco delle forze della reazione, che sabotano con la violenza il tentativo di costruire un mondo che mira a superare il classismo. Al contempo, si afferma egemonicamente la controrivoluzione in quanto chi fa per primo la rivoluzione deve subire i costanti attacchi delle forze controrivoluzionarie e, quindi, nell’immediato, le cose sembrano andare peggio, soprattutto per chi ha perso i propri piccoli privilegi di classe e vuole tornare a essere alleato in funzione subordinata alla grande borghesia. In tutto ciò gioca un ruolo importante il fatto che il proletariato non appare in grado di autogestire il nuovo mondo e riemerge la superiorità nelle competenze tecnico-scientifiche della vecchia classe dirigente.
Lo spettacolo deve continuare, nono episodio della serie in cui emerge nel modo più realistico il terribile terrore bianco della controrivoluzione. Domina di nuovo il servilismo, il classismo, l’autocrazia e il rapporto servo-padrone. Il sistema sempre più irrazionale e arbitrario deve impedire che si affermi il principio speranza e lo spirito dell’utopia e – a questo scopo – sfrutta nel modo migliore il disastro climatico, dal sistema stesso prodotto, sabotando ogni tentativo di porvi rimedio. Un assetto sociale così regressivo può mantenersi in piedi solo grazie a uno stato di eccezione che è reso permanente.
Nelle terre ghiacciate, decimo e ultimo episodio che, come quasi sempre accade, risulta alquanto deludente. Le forze rivoluzionarie riassumono la capacità di reagire, quando scoprono che il principio speranza in un mondo migliore è ancora vivo. Nasce così la volontà di riscatto e la determinazione a utilizzare qualsiasi mezzo necessario, anche la violenza, perché il sistema dominante prosegue eliminando tutti coloro che non sono funzionali al proprio mantenimento. Purtroppo la ripresa delle forze rivoluzionarie è piuttosto debole, inefficace e inverosimile in quanto sparisce l’aspetto centrale, dominante nel film, ovvero il ruolo determinante, nei momenti topici, dei movimenti di massa. Predomina l’impostazione americana che tende a individualizzare il conflitto per cui anche lo sfondo di classe passa del tutto in secondo piano. Tutto ciò non lascia ben sperare per la terza serie.
Don't Look Up di Adam McKay, commedia, Usa 2021, voto: 8,5. Molto efficace e divertente tragicommedia che denuncia la spaventosa crisi di civiltà della società a capitalismo avanzato, con riferimento in particolare agli Stati Uniti d’America. Molto efficace la denuncia di come non solo la classe dirigente e dominante faccia di tutto per nascondere la catastrofe in cui stanno facendo precipitare il genere umano, ma come l’egemonia sulla società civile consenta al blocco sociale dominante di non far preoccupare per l’imminente disastro l’opinione pubblica, in larghissima parte priva di coscienza di classe. Peccato che, al solito, i grandi film statunitensi come Don’t Look Up hanno l’indubbio pregio di essere realisti e il grande difetto di non essere socialisti, ovvero inquadrano bene la spaventosa crisi di civiltà che attende le società a capitalismo avanzato, ma non comprendono che l’unica alternativa reale è la transizione al socialismo. Altro difetto di questa – peraltro godibilissima dal punto di vista estetico – satira sociale è il rappresentare una crisi sociale economica di un intero modo di produzione come una catastrofe naturale. Per cui le classi dominanti e dirigenti fanno di tutto per non impedirla, volendola sfruttare per le loro piccole ambizioni, ma non sarebbero loro stesse a provocarla.
The Mauritanian di Kevin Macdonald, thriller, Gran Bretagna, Usa, 2021, voto: 8,5; film molto significativo di denuncia del livello di barbarie della principale potenza mondiale e della sua capacità di coprire i terrificanti crimini contro l’umanità compiuti grazie alla propria capacità di egemonia. In particolare nel film si mettono in evidenza i rapimenti, le terrificanti torture compiute nel carcere di Guantanamo dove oltre settecento detenuti sono stati seviziati in violazione di ogni norma del diritto internazionale. Nonostante le forme più brutali di torture cui sono stati sottoposti per anni i detenuti, gli Stati Uniti sono stati in grado di condannarne appena cinque. D’altra parte il grande coraggio e la forza morale di un avvocato – veterano della lotta contro l’aggressione imperialista del Vietnam – e di un detenuto particolarmente acculturato sono riusciti, dopo una lotta durata anni, a far emergere alcuni degli spaventosi delitti contro l’umanità compiuti dagli apparati repressivi dell’imperialismo statunitense. Interessante anche il fatto che la maggiore colpa addebitata al prigioniero, completamente disumanizzato, è di aver combattuto – con il pieno sostegno degli Stati Uniti – contro l’Armata Rossa intervenuta su richiesta del governo comunista afghano per proteggerlo dai continui attentati dei terroristi islamici, fatti convergere da tutto il mondo per intrappolare i sovietici. Interessante come, nonostante tutte le torture subite, il protagonista rivendichi l’importanza a livello globale del sogno americano, in quanto si tratterebbe di una paese che, a differenza di uno Stato del terzo mondo come la Mauritania, sarebbe caratterizzato da una polizia che difende i cittadini in nome di un una legge eguale per tutti. Emerge così come l’imperialismo occidentale e il fondamentalismo islamico sono in grado di trovare costanti intese secondo il principio che un nemico del mio nemico, le forze progressiste, può facilmente divenire un mio alleato. Così il limite maggiore del film resta quello di presentare queste assurde violazioni dei diritti umani da parte del paese che pretende di esportarli in tutto il mondo, come una sorta di eccezione che confermerebbe la regola.
The Good Lord Bird – La storia di John Brown miniserie televisiva statunitense in sette episodi creata da Ethan Hawke e Mark Richard, voto: 8+; molto bello il primo episodio che ci porta a conoscere le incredibili lotte guerrigliere condotte da John Brown contro lo schiavismo, dal punto di vista decisamente straniante di un giovane schiavo liberato. Da tale prospettiva lo spettatore può considerare in modo critico le grandiose azioni e i tratti di follia di John Brown. In lui, infatti, l’ardore della lotta armata rivoluzionaria contro lo schiavismo si univa a un integralismo religioso altrettanto estremo. La fede religiosa gli dava un incredibile coraggio, una sicurezza e la netta convinzione di essere dalla parte del giusto, ma lo rendeva al contempo avventurista, del tutto intransigente e spietato. Tutti questi aspetti contraddittori sono rappresentati in modo decisamente realistico e al contempo con una punta di ironia verso il fondamentalismo del personaggio o gli aspetti irrazionali degli uomini con cui si batte o collabora. Ironia che favorisce una lettura critica degli eventi e impedisce – insieme allo sguardo straniato del giovane afroamericano, che coglie tutti i limiti di John Brown – di non impersonarsi mai acriticamente nel protagonista, ma di comprendere in modo dialettico il mondo storico in cui si sviluppa la sua lotta.
Il secondo episodio, dove la figura centrale di John Brown scompare, è decisamente penoso. Il giovane afroamericano, che nel primo episodio aveva l’importante ruolo di consentire uno sguardo straniato sul protagonista, ora appare piuttosto portatore della prospettiva del cameriere, ovvero il punto di vista storico meno attendibile. Peraltro l’insistenza sul ruolo sanguinario della lotta per l’emancipazione degli afroamericani, cui non fanno nemmeno da contrappunto scene in cui si denuncia la brutalità dello schiavismo, è quantomeno discutibile.
Il terzo episodio lascia anche alquanto a desiderare. Il controcanto ironico, che svolgeva una funzione decisamente progressiva nel primo episodio, diviene il punto di vista dell’uomo senza qualità caro al postmodernismo, che pensa esclusivamente a mettersi in salvo, considerando coloro si battono per l’emancipazione dell’umanità come dei pericolosi mentecatti. Di John Brown emergono, così, essenzialmente gli aspetti negativi e lo stesso discorso vale per l’afroamericano che guida la lotta per l’emancipazione. Entrambi finiscono così per apparire – anche in questo caso con un procedimento caro al postmodernismo – degli antieroi, mentre va completamente perduto il pathos epico e tragico di grandi protagonisti della lotta per l’emancipazione del genere umano.
Il quarto episodio inizia nel peggiore dei modi, in quanto sembra affermarsi il punto di vista del cameriere del narratore, che pare dar credito a tutte le leggende nere per cui nel tempo dello schiavismo i caucasici non trattavano peggio gli afroamericani di come si trattavano fra di loro. Perciò sembra che John Brown sia un folle che ha portato guerra e morte e, anche, un despota nei riguardi del giovane afroamericano che ha liberato. D’altra parte non appena quest’ultimo finalmente rivendica la libertà, Brown gliela accorda subito e anzi si scusa di averlo considerato come un figlio. D’altra parte, riacquistata la libertà, il giovane finisce per impiegarla proprio seguendo la conferenza organizzata da Brown per arruolare combattenti per l’emancipazione dell’umanità. A tale scopo decisivo è l’intervento della eroina afroamericana per la liberazione dalla schiavitù, Harriet, che prontamente accorda il suo aiuto e la sua fiducia al piano di Brown. In tal modo quest’ultimo ricostruisce il suo esercito deciso a portare avanti una grande lotta di liberazione degli schiavi, che ha come modelli Spartaco, la Rivoluzione francese, la Rivoluzione haitiana e i movimenti rivoluzionari dagli anni venti al quarantotto. Il suo progetto è di condurre una guerra di guerriglia che serva da detonatore alla guerra civile che porterà, infine, all’emancipazione degli afroamericani. Finendo, infine, per convincere anche lo scettico narratore, che pare abbandonare finalmente la sua prospettiva da cameriere.
Il quinto episodio narra le difficoltà del piccolo gruppo di rivoluzionari nel portare a termine il loro imponente piano. La temerarietà della sfida ricorda quella di Che Guevara in Bolivia. Interessante anche l’osservazione che gli afroamericani, ridotti in uno stato di schiavitù, sono molto meno pronti a combattere per la loro liberazione, rispetto agli afroamericani che sono lavoratori salariati e hanno un minimo di cultura. Molto significativo è anche il rapporto che si stabilisce fra il narratore e la figlia di John Brown, un ottimo modello di giovane emancipata formatasi con un padre rivoluzionario.
Il sesto episodio è incentrato sull’azione rivoluzionaria che si rivela decisamente catastrofica, per la disorganizzazione e anche per la fede cieca nella religione che porta, in primis John Brown, a non usare la testa e ad assumere posizioni avventuriste.
L’ultimo episodio conduce a formulare un giudizio storico decisamente positivo, nonostante tutte le contraddizioni, su John Brown. In effetti, al di là del suo fondamentalismo religioso, ha dato un importante contributo alla sconfitta, su scala internazionale, della schiavitù contribuendo a innescare quella spaventosa guerra civile che solo poteva portare alla liberazione degli afroamericani nel sud degli Stati Uniti. Anche il bilancio del film è positivo, con il narratore che ha portato a termine il suo processo di formazione, riconoscendo come la lotta condotta da Brown per la liberazione degli schiavi non era un progetto folle, come poteva inizialmente apparire.
JFK Revisited: Through the Looking Glass – Tutta la verità sul complotto di Oliver Stone, documentario, Usa 2021, presentato in anteprima su Atlantide per LA7, voto: 8+. Il film offre un eccezionale approfondimento sul complotto ordito dai poteri forti per togliere di mezzo un presidente che non erano in grado di controllare completamente. A ulteriore dimostrazione di come lo Stato profondo gestisca il potere in modo molto più saldo di chi semplicemente vince le elezioni. Peccato che il documentario si perda troppo in una descrizione analitica dei particolari, atti a decostruire in modo estremamente rigoroso tutte le menzogne narrate dalla “verità” ufficiale. Altro limite del film è la considerazione troppo unilaterale e apologetica del presidente assassinato, di cui non si mostrano le molteplici contraddizioni. D’altra parte la visione così edulcorata di J.F. Kennedy è rivelatoria di quanto possa essere spostata a destra la vita politica e lo Stato profondo statunitense, tanto da far apparire quasi come un rivoluzionario un presidente meno criminale e reazionario del solito.
Perry Mason 1x8 è una serie televisiva statunitense del 2020 creata da Ron Fitzgerald e Rolin Jones, voto: 8+. La serie reinventa completamente la figura di Perry Mason, narrando la sua storia giovanile, prima di diventare l’avvocato protagonista dei diversi gialli a lui dedicati da Erle Stanley Gardner e di diversi film e serie televisive. Nata come miniserie, è ambientata a Los Angeles nel 1932, negli anni della grande depressione. Perry Mason è un giovane detective che ricorda per diversi aspetti Philip Marlowe l’investigatore privato nato dalla penna del celebre scrittore di noir Raymond Chandler. Così la serie si presenta come una ripresa dei primi grandi classici del noir. In più si aggiunge, a rendere più problematico il protagonista, un passato da militare nella Prima guerra mondiale e da allevatore messo in ginocchio dalla crisi. Nel primo episodio come tratti significativi emergono il ruolo oscuro di una setta religiosa e la corruzione della polizia.
Nel secondo capitolo-episodio della serie emerge una figura importante, il procuratore distrettuale, destinato a divenire l’antagonista di Mason quando diverrà un avvocato dedito alla difesa di innocenti che rischiano di essere ingiustamente condannati. Alla base di tale problematica vi è il sistema statunitense – che la classe dominante sta facendo di tutto per introdurre in Italia – in cui il procuratore distrettuale, del tutto disinteressato a collaborare nella scoperta della verità, cerca unicamente il sospettato “mostro” da sbattere in prima pagina. Emerge inoltre il futuro detective collaboratore del Mason avvocato, un poliziotto afroamericano che non può contribuire in pieno a far emergere la verità in quanto ingiustamente penalizzato dalle irrazionali norme razziste.
Nel terzo capitolo-episodio la serie finalmente sembra decollare. Le tematiche sostanziali che facevano da contorno vengono sempre più in primo piano. Emerge, innanzitutto, come il procuratore distrettuale mirando alla carica di sindaco cerchi di imporsi come massimo garante della legge e dell’ordine, puntando a condannare alla pena di morte ogni sospetto, grazie anche alla eco dei mezzi di comunicazione di massa. La polizia svela sempre più il suo vero volto, ossia la sua essenza oscura, che la pone ai più alti livelli della criminalità organizzata. Emerge inoltre la spaventosa discriminazione di donne e afroamericani, che non a caso rappresentano generalmente le classi più sfruttate. Significativo è anche il tentativo di tali settori di ribellarsi, stabilendo momenti di solidarietà fra di loro. Infine, emerge la strumentalizzazione del fenomeno religioso da parte di avventurieri e magnati senza scrupoli. Infine, mai come in questo episodio, la serie fonde mirabilmente un noir avvincente e significative riflessioni sostanziali sul piano sociale.
Il quarto e il quinto capitolo-episodio sono leggermente sottotono rispetto al vertice raggiunto nel terzo. Gli aspetti del noir, sempre più processuale, tendono a prendere il sopravvento sulle questioni sostanziali, sociali e razziali che tendono a passare sullo sfondo. D’altra parte si approfondisce, in relazione alle discriminazioni razziali e di classe che subiscono, lo sviluppo di posizioni radicali che criticano efficacemente le prospettive moderate.
Il sesto capitolo si mantiene sulla linea dei due precedenti, si approfondisce la questione dello stato di apartheid in cui vivevano di fatto gli afroamericani, i pregiudizi verso le donne con una loro vita sessuale, il livello spaventoso di corruzione della polizia e dei procuratori forcaioli e, infine, viene denunciato come i ricchi anziani delle sette religiose costituiscono un vero e proprio comitato d’affari per truffare i bigotti bifolchi e siano pronti a utilizzare anche i mezzi più sporchi per salvaguardare e accrescere i propri sempre più inaccettabili privilegi.
Nel settimo capitolo la serie riprende quota, mostrando come dietro la violenza criminale degli apparati di sicurezza vi sia da una parte il pubblico ministero sempre pronto a sbattere il mostro in prima pagina, per fare carriera politica, dall’altra i grandi mezzi di comunicazione – che fanno da cassa di risonanza e creano l’opinione pubblica fautrice del fanatico giustizialismo tutto legge e ordine – e, infine, vi siano i ricchi che controllano la religione e sono interessati solo al profitto. Inoltre funziona molto bene la dialettica che si riesce a costruire fra film d’azione, noir, giallo e film processuale. Resta, al solito, l’illusione che si possano risolvere i problemi dell’attuale società grazie all’impegno eroico di un pugno di individui, che non si pongono mai realmente il problema di mobilitare le masse, ma al limite di condurre nel caso specifico una lotta per l’egemonia su di esse. Certo resta l’essenziale elemento catartico per cui anche pochi individui – impegnati in prima linea, anche inconsapevolmente, nella lotta per l’emancipazione del genere umano – possono fare la differenza.
Nell’ottavo episodio si chiude, almeno per il momento, il processo divenuto il centro della serie, ma al contempo si aprono diversi nuovi enigmi atti a lanciare la prossima serie. Nella conclusione purtroppo la questione delle peggiori nefandezze compiute dai ricchi alla guida della chiesa restano troppo sullo sfondo, anche se si annunciano approfondimenti per la prossima serie. Ritornano i grandi temi della discriminazione delle donne, degli afroamericani a cui si aggiunge quella che subiscono i latinos di recenti immigrati, soprattutto se donne. Peraltro emerge che i futuri responsabili del rapimento avevano lavorato come squadristi al servizio del padronato per reprimere le lotte dei lavoratori. Riemerge – inoltre – tutto il puritanesimo caratteristico degli Stati Uniti, per cui il procuratore inquirente riesce quasi a far condannare a morte la vittima, cui è stato ucciso il figlio, in quanto colpevole di avere una relazione extraconiugale, peraltro in parte comprensibile per la completa mancanza di amore con il marito. Infine emerge la tragica condizione delle donne orientali rinchiuse in un bordello, costrette a ricorrere all’eroina per poter sopravvivere alle costanti violenze sessuali che erano costrette a subire.
Una donna promettente di Emerald Fennell, thriller, Usa 2020, voto: 8+; thriller molto efficace e decisamente ben costruito in grado di toccare una problematica sostanziale come la violenza sessuale sulle donne. Decisamente meritata la nomination a miglior film drammatico per gli Golden Globe Awards 2021. In grado di competere con gli altri due grandi film che hanno ottenuto la nomination, ovvero I sette di Chicago e Mank e decisamente migliore dell’ultra naturalistico e decisamente sopravvalutato Nomadland. La questione di come tende a essere sottovalutata la violenza sessuale sulle donne è molto ben indagata. Il film, pieno di colpi di scena, assicura un notevole godimento estetico e lascia alquanto su cui riflettere allo spettatore.
The Unforgivable di Nora Fingscheidt, drammatico, Gran Bretagna, Germania, Usa 2021, voto: 8; film bello, proletario, duro, potente e commovente, che lascia molto su cui riflettere allo spettatore sull’importanza del perdono e sulla necessità di riflettere prima di giudicare e condannare. The Unforgivable costituisce un’ottima critica della società a stelle e strisce e della sua incapacità di comprendere la drammatica condizione in cui sono costretti a sopravvivere, sotto la soglia di povertà, milioni di statunitensi. Non a caso la tragedia al centro del film nasce da uno sfratto di due sorelle rimaste orfane e non più in grado di mantenersi da sole. Significativa anche la critica della vendetta, sulla base della pura legge del taglione e del farsi giustizia da sé, di cui troppi film dell’industria culturale statunitense forniscono una interpretazione apologetica. Peccato per il finale hollywoodiano, al solito, utopistico e ideologico, in quanto pretende di risolvere delle contraddizioni reali sul piano idealistico. Anche se, a differenza di troppi film postmoderni, porta a conclusione la tragedia con una necessaria catarsi, anche se fondamentalmente irrealistica e inverosimile, che stride con l’impianto realistico del resto di The Unforgivable.
The Boys 2x8 serie televisiva statunitense pluripremiata, ideata da Eric Kripke per conto di Amazon, voto: 8; la seconda stagione riparte con un episodio al livello della prima, tanto nel bene quanto nel male. Nel bene, in quanto prosegue nella più radicale decostruzione del mito americano, facendo emergere come il fondamento del diabolico potere dell’imperialismo statunitense sia, in realtà, da ricercare nell’arruolamento dei criminali nazisti, che avevano iniziato gli esperimenti genetici sugli esseri umani nei campi di concentramento. Sono proprio loro alla base di quelle multinazionali di Big pharma, che sono ormai più potenti persino della Cia, e che possono trattare persino il leader dei supereroi come un semplice lavoratore salariato da sfruttare. In negativo manca del tutto – come di consueto nei prodotti dell’industria culturale a stelle strisce – una alternativa di massa in grado di mettere in discussione realmente i poteri forti. Si media così al pubblico l’illusione che sia possibile tenere testa al sistema – all’interno del quale sono perfettamente allineati i mezzi di disinformazione di massa – semplicemente con un supereroe che per amore, utilizzerebbe a fin di bene i suoi superpoteri, naturalmente usando dei mezzi inaccettabili.
Il secondo episodio della seconda stagione segna, come di consueto, un calo di tono. Si tendono ad aprire diverse problematiche significative, anche se in modo un po’ confusionario. Vi è la significativa denuncia dei bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile da parte del “supereroe” statunitense, che giustamente è presentato come il tipico esponente dell’imperialismo ultra sciovinista a stelle e strisce e del superuomo che si pone al di là del bene e del male.
Nel terzo e quarto episodio la serie riprende quota. In particolare perché la multinazionale, produttrice di superuomini, cerca di rifarsi un'immagine politically correct assumendo una nuova “eroina” apparentemente molto alternativa. Quest’ultima, al di là dell’apparenza di contestatrice, è in realtà altrettanto spietata, cinica e omicida degli altri. Tanto che, dopo aver a parole affermato di voler contestare la multinazionale, che peraltro sfrutta gli stessi “supereroi”, nei fatti diviene lo strumento della grande impresa per occultare lo scandalo dei suoi crimini, nello specifico l’aver prodotto i superuomini assoldando i genetisti tedeschi che avevano iniziato tali diabolici esperimenti nei campi di sterminio. Inoltre, emerge come i superterroristi siano in tutto e per tutto una invenzione della multinazionale e siano sfruttati cinicamente per istituzionalizzare i metodi da terrorismo preventivo utilizzato dai loro superuomini. A questo scopo, facendo una strage spaventosa del tutto evitabile fra la popolazione civile afroamericana proletaria, l’eroina “contestatrice” uccidendo un presunto “supercattivo” – in realtà l’ennesima vittima della diabolica spirale: aggressione imperialista e reazione terrorista – consentendo alla multinazionale di distogliere l’attenzione dalle sue malefatte. Tanto più che i mass media compiacenti stanno naturalmente tutti al gioco di addebitare i “danni collaterali” ai super terroristi, esaltando così i supereroi che li contrasterebbero. Peraltro, emerge tutto il razzismo anche delle supereroine “alternative”, che non hanno scrupoli di confessare alle proprie vittime innocenti, che il loro status di superuomini dipende proprio dal fatto che uccidono senza pietà membri delle classi-etnie subalterne. Fra i tanti altri temi significativi che vengono affrontati, occorre sottolineare la precisa denuncia del ruolo subdolo e ipocrita dei fondamentalisti religiosi cristiani, così potenti negli Stati Uniti, e l’omosessualità repressa di Patriota, alias Capitan America, che si trasforma in spietata omofobia. Mentre per quanto concernono i limiti, resta la solita visione adialettica delle forze antimperialiste straniere, che vengono senza sfumature considerate come organizzazioni terroristiche senza scrupoli, peraltro strumentalizzate dalle stesse multinazionali. Ciò è, inoltre, funzionale a giustificare i metodi terroristici della resistenza nazionale statunitense e il suo cooperare con la stessa Cia, che viene addirittura riabilitata dinanzi al male radicale della onnipotente multinazionale fabbricatrice di “supereroi”.
Nel quinto e nel sesto episodio la serie sale ulteriormente di quota con la piena congiunzione della tradizione del nazismo storico tedesco con l’imperialismo sciovinista statunitense impersonato da Patriota. La multinazionale mira a creare decine di migliaia di supereroi/superuomini, per impedire l’emancipazione delle altre “razze”. Per quest’ultime, in piena linea con la tradizione nietzschiana, le opzioni sono o il genocidio – sul modello degli amerindi del nord America – o la schiavizzazione. Per quanto avanzata possa apparire sotto diversi punti di vista la serie, restano le consuete cadute dei prodotti dell’industria culturale statunitense, con la solita apparentemente irrazionale russofobia. Per cui abbiamo, del tutto gratuitamente, una strage di russi, rappresentati al solito come dei rozzi mafiosi maschilisti.
Il settimo episodio assicura un discreto godimento estetico, è piuttosto piacevole e lascia non poco su cui riflettere allo spettatore. In particolare il duo costituito dalla super nazista e da Patriota sviluppano le parole d’ordine care alla destra così detta sovranista, da Trump, a Salvini e alla Meloni, insistendo soprattutto sulla necessità di fermare l’immigrazione, perché al suo interno possono facilmente inserirsi terroristi. Tali ripetute tesi complottistiche contro le “razze inferiori”, che rischierebbero di soffocare gli autoctoni, fanno facilmente breccia negli individui più sfigati e celebrolesi, che passano ai fatti uccidendo presunti invasori immigrati.
Nell’ultimo episodio la serie porta alle estreme conseguenze tanto i suoi aspetti positivi, quanto i suoi aspetti negativi. Vediamo così il pieno esplicitarsi del progetto nazi-imperialista, xenofobo, ovvero creare un movimento di massa intorno all’idea che le “razze” subalterne siano invidiose dei privilegi della “razza” bianca e mirino perciò al suo genocidio. Dunque ci sarebbe una guerra per la vita e per la morte, in cui i bianchi, a prescindere dalle differenze di classe, dovrebbero proteggersi vicendevolmente conducendo una guerra preventiva contro le “razze” subalterne che mirano all’emancipazione.
Tali concezioni vanno benissimo alle multinazionali che sfruttano la crisi del capitalismo, facendogli comprare le armi sempre più di distruzione di massa che producono per aggirare la crisi di sovrapproduzione. Le idee naziste, con il loro fondamento nietzschiano, hanno presa sulle masse prive di coscienza di classe e attratte dal mito reazionario dell’aristocrazia operaia. Il problema è che questa piena continuità fra le idee della destra statunitense e il loro fondamento nazista, non deve emergere, in quanto l’opinione pubblica non è pronta ad accettare un compiuto sdoganamento del nazismo. Peraltro il razzismo di quest’ultimo rischia di mettere in questione l’egemonia del neoliberismo sull’aristocrazia operaia degli afroamericani, per esempio. Infine il programma esplicitamente nazista porta gli oppressi delle diverse “razze” a cooperare fra di loro fino a sconfiggere il comune nemico. Una volta eliminato, il nazista diviene l’infiltrato da utilizzare come capro espiatorio, attribuendogli tutti gli aspetti negativi del rilancio su larga scala della politica imperialista statunitense, funzionale a salvaguardare i privilegi dei grandi capitalisti. I fondamentalisti cristiani sfruttano le contraddizioni della attuale società per rafforzare il proprio proselitismo gesuitico, cercando di imporre i propri interessi, ponendosi al servizio della classe dirigente. Mirano così, come di consueto, a essere esentati dalle tasse, sebbene operino in pieno secondo lo spirito d’impresa del capitalismo.
D’altra parte gli eroi, che hanno fatto fallire il piano nazi-imperialista, finiscono – essendo privi di coscienza di classe – per cercare una salvezza, nell’ottica piccolo borghese, in un passato idealizzato. Tornano così alle forme più arcaiche di religione, decidono di rimanere al loro posto anche negli apparati d’élite dell’imperialismo, per non lasciare campo libero al loro interno alle corrotte mele marce, si affidano agli apparati più o meno deviati della Cia che proteggerebbero il Paese dagli abusi delle multinazionali, pronte a seguire troppo pedissequamente le orme dei nazisti, pur di salvaguardare i propri profitti immediati. Infine, per riequilibrare i colpi dati al “cerchio” della destra radicale, se danno altrettanti alla “botte” della sinistra radicale, la quale in realtà, sotto mentite spoglie, porterebbe avanti, in modo ancora più subdolo, una politica anch’essa volta a salvaguardare, a qualsiasi costo, l’ala più oltranzista dell’imperialismo. In tal modo, con la scusa dell’identità degli opposti, si metterebbero sullo stesso piano sinistra e destra radicale, in nome del moderatismo centrista. Infine, si finisce – seguendo questa logica – nel qualunquismo dell’antipolitica, per cui soltanto una sporca dozzina, coperta dagli apparati deviati dei servizi segreti, potrebbe – violando costantemente ogni legge eguale per tutti – proteggere il sano imperialismo da ogni forma di eccesso autodistruttivo.
The Last Duel di Ridley Scott, drammatico, Usa 2021, distribuito da Walt Disney, voto: 8. Bello e intenso film sia dal punto di vista della forma che del contenuto, con una denuncia molto incisiva della violenza contro le donne. Ricostruzione estremamente realistica degli anni bui del medioevo, il film riprende e supera dialetticamente la prospettiva pirandelliana della molteplicità dei punti di vista mostrando che ciò non comporta necessariamente il relativismo etico-politico dei sofisti. Fra i diversi punti di vista si afferma come (relativamente) vero quello più avanzato, progressista e giusto della donna oppressa da maschilismo, patriarcato e classe dominante. Molto significativa la denuncia della funzione repressiva e reazionaria dell’ideologia dominante ecclesiastica.
No Sudden Move di Steven Soderbergh, drammatico, thriller, Usa 2021, trasmesso su Sky Cinema Uno, voto: 8; film godibile dal punto di vista estetico e che lascia al contempo non poco su cui riflette allo spettatore. Nel film si vede chiaramente come un pezzo grosso di una grande azienda capitalistica sia enormemente più colpevole rispetto ai criminali comuni da strada, cui viene lasciato il lavoro sporco con mediocri paghe ed enormi rischi. Anche perché gli apparati repressivi dello Stato hanno il pugno di ferro contro i criminali comuni, trattano e prendono tangenti dalla malavita organizzata e fanno gli interessi dei veri criminali che controllano il capitale finanziario. Questi ultimi possono inquinare l’aria per decenni, causando un vero e proprio massacro di vite umane, solo in quanto non intendono limitare i propri immensi profitti utilizzando una marmitta che limiterebbe drasticamente l’inquinamento. Per mantenere segreta tale possibilità sono disponibili a pagare anche grandi somme a criminali di ogni risma, dal momento che non intaccano minimamente i loro profitti. Anche quando lo scandalo emerge, viene subito messo a tacere e le grandi aziende monopolistiche che dominano il mercato statunitense non devono pagare nulla per questo spaventoso crimine. Il film è raccontato in modo avvincente attraverso un noir anche se, a tratti, risulta troppo intricato e troppo arduo da comprendere tanto da divenire soporifero.