Classifiche dei film per ragazzi, documentari e classici

Inauguriamo il consueto bilancio di fine anno con le #classifiche dei #film per ragazzi, dei documentari e dei classici del cinema riproposti in versione restaurata nelle sale, in streaming o in retrospettive in italiano, più significativi o più sopravvalutati dell’anno 2022.


Classifiche dei film per ragazzi, documentari e classici

Film per ragazzi distribuiti nelle sale o in streaming in italiano nel 2022

I segni del cuore di Sian Heder, drammatico, Usa, Francia 2021, premiatissimo ha vinto tra gli altri il riconoscimento per miglior film ai premi Oscar 2022, distribuito nelle sale, voto: 7+. Il film è indubbiamente emozionante, commovente e lascia alquanto da riflettere sulle problematiche quanto mai attuali delle persone disabili. Pur essendo un remake I segni del cuore è, contrariamente al solito, decisamente migliore dell’originale. Il fatto che abbia conseguito così tanti premi importanti è, però, indizio del fatto che il 2022 è stato un anno piuttosto da dimenticare anche dal punto di vista cinematografico. Anche le critiche generalmente troppo negative ricevute in Italia sono indizio della crisi che non risparmia nemmeno questo settore.

Una famiglia vincente – King Richard, sportivo e biografico, Usa 2021, distribuito da Warner Bros Italia, voto: 7-; rispetto ai candidati ai più importanti premi Oscar, Una famiglia vincente è certamente da annoverare fra i meno peggio. A differenza della maggioranza degli altri candidati ha in effetti qualcosa di significativo da comunicare. Si tratta dell’impresa di una famiglia relativamente povera e afroamericana che è riuscita a formare e imporre le prime due campionesse di tennis afro discendenti. Emergono così le barriere razziste che rendono così arduo l’emergere degli afroamericani in particolare in uno sport individualista e per ricchi come il tennis. Anche i valori che il padre e la madre cercano di trasmettere alle figlie sono di un certo rilievo. Peccato che il film tenda un po’ a scadere nell’agiografico non rappresentando in modo realistico e verosimile i personaggi.

Raya e l’ultimo drago di Don Hall e Carlos López Estrada, animazione, avventura, commedia, Usa 2021, distribuito su Disney+, nomination agli Oscar come miglior film di animazione, voto: 6,5. Certamente il meno peggio tra i film di animazione, non particolarmente brillanti, candidati ai premi Oscar. Decisamente migliore del premiato Encanto, sicuramente il peggiore, sebbene siano entrambi prodotti e distribuiti dalla Disney. Nonostante ciò Raya e l’ultimo drago non solo è molto ben confezionato dal punto di vista formale, ma si fa portatore inaspettatamente di un contenuto significativo, in particolare ai nostri giorni sempre più infestati dalla devastante logica mortifera della guerra. Emerge, infatti, il grande ideale di una umanità finalmente pacificata e pronta a collaborare in modo solidale, quale unica reale alternativa non solo a guerre fratricide, ma alla stessa devastazione dell’ambiente indispensabile alla sopravvivenza della vita umana. Molto significativo l’accento posto sulla necessità di superare i preconcetti per ristabilire rapporti di cooperazione fra paesi storicamente in conflitto. Da questo punto di vista si sottolinea giustamente l’indispensabile necessità di ristabilire rapporti di fiducia reciproca, contro ogni guerra infinita o di civiltà e ogni forma di disumanizzazione degli avversari.

I Mitchell contro le macchine di Michael Rianda e Jeff Rowe, animazione, Usa 2021, distribuito da Netflix, nomination agli Oscar come miglior film d’animazione e vincitore nella stessa categoria dei Critics Choice Award, voto: 6+; I Mitchell contro le macchine ha ottenuto diversi riconoscimenti ed è risultato tra i film di animazione più premiati dell’anno. Dal punto di vista formale niente da ridire, il film è certamente molto ben costruito, innovativo, godibile e a tratti geniale. Rovescia i luoghi comuni prendendo come protagonista una famiglia di antieroi particolarmente “sfigata”. Se significativa appare anche l’indagine psicologica all’interno della famiglia, per il resto il contento lascia al quanto a desiderare in quanto abbiamo la solita esaltazione sostanzialmente reazionaria della comunità etica della famiglia e la consueta critica altrettanto reazionaria della tecnologia con – allo stesso tempo – una sua altrettanto irrazionale sopravvalutazione. In ultima istanza anche l’esaltazione della famiglia sfigata statunitense contiene alcuni aspetti populisti e demagogici che, nel contesto statunitense, potrebbero rinviare al trumpismo, anche perché la famiglia modello che gli viene contrapposta si presenta, di fatto, in stile Obama.

Lupin (Netflix) 1x10, Francia 2021, candidata come miglior serie drammatica ai Golden globe, voto: 6+; sullo sfondo delle avventure di un ladro “gentiluomo” che segue le orme di Lupin, si staglia la significativa denuncia della storia di discriminazione di una famiglia emigrata nel mondo occidentale dall’Africa. La falsa e pretestuosa accusa che colpisce il padre condiziona pesantemente la vita del figlio ed è anche responsabile della sua scelta di seguirne, almeno apparentemente, le orme. Significativa la denuncia dei pregiudizi che portano a condannare i più umili e deboli, sebbene per il resto la serie, nei primi due episodi, appare carente di contenuti sostanziali e, quindi, non sembra in grado di suscitare reale interesse e godimento estetico nello spettatore.

Nel terzo e quarto episodio finalmente la serie decolla, emerge in primo piano la corruzione e la collusione dei “poteri forti”, dai dirigenti degli apparati repressivi dello Stato, ai “grandi” imprenditori, in realtà dei perniciosissimi parassiti sociali. Appare evidente come gli esponenti del grande capitale vivano alle spalle dei lavoratori subordinati, sfruttando a loro vantaggio il razzismo che contribuiscono a diffondere. Valida è anche la volontà di rivalsa dei subalterni e di chi ha subito discriminazioni razziali, peccato che la sacrosanta lotta di classe dal basso è portata avanti in modo individualistico e sostanzialmente inverosimile da un singolo. Si tratta, naturalmente, di una soluzione in fin dei conti impraticabile, irrealistica e, in ultima istanza, sostanzialmente scarsamente in grado di incidere.

Nel quarto e quinto episodio, invece, le questioni sostanziali passano in secondo piano e finiscono così con il rimanere troppo sullo sfondo. In tal modo la serie diviene noiosa e soporifera.

Negli episodi successivi Lupin torna a essere una serie godibile e lascia, inoltre, meritoriamente emerge l’importanza di presentare come eroi positivi i figli di emigrati africani. Emergono anche i profondi e nefasti legami fra mondo del capitale finanziario, classe politica dirigente e apparati repressivi dello Stato, pronti a non indagare sui gravissimi delitti dei colletti bianchi e a perseguitare a sino all’ultimo, senza pietà, reati che hanno una evidente giustificazione economica e sociale nelle tragiche condizioni di vita dei ceti subalterni. Restano, inoltre, tutti i dubbi già prima evidenziati, sulla prospettiva e la praticabilità di una emancipazione individualista come quella promossa dalla serie.

Nell’episodio finale ritroviamo, nel bene e nel male, le principali caratteristiche dell’intera serie. Quest’ultima si conferma godibile e approfondisce la critica della classe dominante e degli apparati repressivi dello Stato supportati anche da nazisti. Valida la figura del protagonista ribelle al sistema, anche se la sua capacità di incidere come singolo resta necessariamente limitata a una vendetta sostanzialmente personale.

Luca di Enrico Casarosa, animazione e avventura, Usa 2021, Pixar distribuito sulla piattaforma di streaming Disney+, voto: 6. Il film ha avuto una nomination a miglior film d’animazione ai premi Oscar. Realizzato dalla Pixar è certamente meno peggio dell’insostenibile Encanto della Disney. Anche in questo caso c’è la trovata di una ambientazione “esotica”, nel caso specifico in Liguria. Il film è certamente formalmente ben orchestrato e assicura un certo godimento estetico. Anche il contenuto incentrato sull’importanza di riconoscere l’altro, il diverso, contro ogni guerra di civiltà, è di un certo rilievo. Peccato che rimangano le tipiche impostazioni antidialettiche della Disney, per quanto limitate ai personaggi principali con un super cattivo e due eroi un po’ troppo astrattamente buoni.

Cip e Ciop - Agenti Speciali di Akiva Schaffer, animazione, avventura, azione, Usa 2022,  disponibile su Disney +, voto 6-; premiato come miglior film tv agli Emmy del 2022, il film è certamente una merce ben confezionata dell’industria culturale, in grado di risultare gradevole da un punto di vista culinario per adulti e bambini, anche se, in fin dei conti, non lascia molto su cui riflettere allo spettatore.

Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli di Destin Daniel Cretton, azione, avventura, fantasy, Usa 2021, distribuito da Walt Disney, nomination ai premi oscar per i migliori effetti speciali, voto: 5-. Film meramente gastronomico e pura merce della più pericolosa industria culturale statunitense, volto esclusivamente all’evasione dello spettatore dai problemi reali, risulta nonostante tutto piacevole, anche se indubbiamente non bello. Si tratta del primo film Marvel con un supereroe asiatico, con degli indubbiamente notevoli effetti speciali.

Encanto di Jared Bush, Charise Castro Smith e Byron Howard, animazione, avventura e commedia, Usa 2021, distribuzione Walt Disney, voto: 4+. Nonostante il vergognoso premio oscar al miglior film di animazione si tratta di un mediocrissimo prodotto della Disney, la più anestetizzante industria culturale a stelle e strisce. Come di consueto il film comunica un modello di armonia sociale, senza mettere in discussione le gerarchie, in quanto pretende di far scomparire, ideologicamente, le contraddizioni reali. Inoltre l’intera trama si fonda sulla superstizione oscurantista del miracolo e sul mito della famiglia quale forma più elevata di vita etica.

The Batman di Matt Reeves, azione, drammatico, Usa 2022, campione di incassi, voto: 4-. Merce ben confezionata dell’industria culturale a stelle e strisce trasmette un contenuto, a conti fatti, agghiacciante. In una società moderna sempre più corrotta, con gruppi di esclusi sempre più ampi, per impedire il risentimento esclusivamente distruttivo (dell’ordine costituito) da parte della “nuova plebe”, l’unica alternativa sarebbe un governo oligarchico e autoritario con sinistri aspetti bonapartisi e fascistoidi.

Spider-Man: No Way Home di Jon Watts, azione, Usa 2021, nomination per gli effetti speciali ai premi Oscar, voto: 4-. Il binomio Disney-Marvel è divenuto il più tossico dell’intera industria culturale. Vengono prodotti film insostenibili come questo e riescono, nonostante tutto, ad anestetizzare il grande pubblico. Nonostante si cerchi di attutire la pesantezza dei super eroi mediante l’ironia e attraverso il mettere in evidenza gli aspetti umani ed esistenziali dei protagonisti, il film è tutto incentrato su una trovata iniziale e diviene, ben presto, assolutamente soporifero anche per la durata davvero eccessiva e controproducente.

Documentari distribuiti nelle sale, in streaming o in rassegne e retrospettive in italiano nel 2022

Let’s Kiss. Franco Grillini storia di una rivoluzione gentile, di Filippo Vendemmiati, documentario Italia 2021, voto: 7+. Bel documentario narrato dalla voce di un grande esponente della straordinaria lotta per l’emancipazione del movimento Lgbtq. Il documentario è godibile e certamente molto importante dal punto di vista didattico. Peccato che il movimento e il suo protagonista hanno cominciato a realizzare questa “rivoluzione gentile”, proprio in concomitanza con la sconfitta del grande movimento di lotta degli anni sessanta e settanta e con l’affermarsi del riflusso, che hanno portato anche significativi dirigenti della sinistra radicale ad abbandonare completamente le grandi ambizioni di cambiare radicalmente il mondo, per assumere una prospettiva, in ultima istanza, corporativa. Così la rivoluzione sessuale e la lotta per i diritti civili ha finito per perdere qualsiasi legame con il movimento politico e sociale. Naturalmente questi significativi e tragici eventi non sono per niente affrontati da un film che sposa, acriticamente, la posizione opportunista dell’attivista al centro di questa drammatica vicenda. In tal modo, non si mette minimamente in luce come la essenziale lotta per la rivoluzione sessuale e per i diritti civili sia ancora oggi strumentalizzata dall’imperialismo per dei fini che contrastano con la più universale lotta per l’emancipazione del genere umano.

Bella Ciao – Per la libertà di Giulia Giapponesi, documentario, Italia 2022, voto: 7+; film quanto mai attuale che rivendica l’importanza della lotta a ogni forma di fascismo, una lotta comune portata avanti e declinata in forme diverse, ma con gli stessi valori di fondo in tutto il mondo. Il film è interessante, emozionante, valido dal punto di vista didattico ed esteticamente godibile. I limiti sono più o meno gli stessi della canzone, del suo successo e dell’indistinta lotta per la libertà tematizzata sin dal titolo, per cui si finisce per prendere come icone dei personaggi anche piuttosto discutibili. La prospettiva sostanzialmente apologetica del film finisce per prendere in considerazione solo le critiche da destra a Bella ciao, senza prendere minimamente in considerazione le ben più significative critiche da sinistra, cioè il carattere di guerra di popolo e di classe che ha avuto la resistenza.

The Rescue - Il salvataggio dei ragazzi, regia di Elizabeth Chai Vasarhelyi, Jimmy Chin, John Battsek e P. J. van Sandwijk, candidato agli Oscar come miglior documentario, voto: 7; ottimo documentario avvincente, interessante e perfettamente confezionato. Significativo lo scavo psicologico di un gruppo di dilettanti un po’ “sfigati” che riescono a risolvere una situazione su cui si era concentrata l’attenzione internazionale e che appariva irrisolvibile. Colpisce anche l’attitudine davvero stoica dei ragazzi rimasti intrappolati nella grotta. Peccato che la storia in sé non sia così significativa, che non si consideri in nessun modo criticamente il governo dittatoriale thailandese e reazionari marines statunitensi, mentre si occulta il ruolo significativo svolto nella vicenda dalla Repubblica popolare cinese.

Ennio di Giuseppe Tornatore, documentario, Italia, Belgio, Cina e Giappone 2021, 6 candidature ai David di Donatello, tra cui miglior film e miglior regia, voto: 7; il meno quotato ma presumibilmente il più meritevole alla vittoria del premio non solo per la miglior regia, ma per il miglior film italiano. Del resto si tratta, indubbiamente, di uno fra i migliori  film italiani dell’anno. Il film riesce a essere interessante, emozionante, ottimamente orchestrato e a lasciare anche qualcosa di significativo su cui riflettere lo spettatore. Anche perché intelligentemente ci si concentra e si documenta più l’opera che il suo artefice. In tal modo anche i non addetti ai lavori ampliano la loro conoscenza musicale e la capacità di godimento estetico. Il film porta inoltre a ragionare sulla necessità di trovare il giusto equilibrio fra l’esigenza per l’intellettuale di mantenere una connessione sentimentale con il proprio popolo, la necessità per chi non è ricco di famiglia di mantenersi con il proprio lavoro e l’esigenza di non svendere e ridurre a merce l’arte, introducendo a tutti i livelli elementi di complessità nelle composizioni anche le più mercificate. D’altra parte, purtroppo, non si analizza adeguatamente in Ennio come questo valido compromesso, che ha reso grande l’opera di Morricone, derivi anche da un certo opportunismo e da una capacità camaleontica di tenere insieme il diavolo e l’acqua santa, tipica del democristiano del tempo che – naturalmente – non era né realmente democratico e, tantomeno, effettivamente cristiano.

Camp Confidential: nazisti in America di Mor Loushy e Daniel Sivan, documentario, Usa 2021, distribuito da Netflix, voto 7-; ben girato e interessante documentario su un campo di concentramento-reclutamento per ufficiali tedeschi e scienziati nazisti. Nel caso dei militari si ricorrono anche ai mezzi più sporchi per estorcerli informazioni, mentre con gli scienziati della Germania hitleriana si fa di tutto per costringerli/convincerli a lavorare per gli Stati Uniti in funzione anticomunista in vista della guerra fredda da scatenare, appena possibile, vista la superiorità militare ed economica dell’imperialismo. Così, di lì a poco, espulsi gli scienziati internazionalisti che avevano prodotto la bomba atomica in funzione antinazista, accusati di aver passato il segreto ai sovietici, vengono sostituiti dai fidatissimi scienziati filonazisti. Ben 1600 scienziati nazisti furono assoldati dagli statunitensi nella guerra fredda, senza che nessuno di loro dovesse in nessun modo scontare le colpe di aver precedentemente lavorato alle dipendenze e a favore dei nazisti. Ancora più drammatica la vicenda degli ebrei europei, arruolati nell’esercito statunitense in quanto volenterosi di combattere i nazisti, e costretti invece ad adularli per conquistarli alla causa della guerra fredda.

Il saluto. La storia che nessuno ha mai raccontato, di Matt Norman, documentario Usa e Australia 2008, voto: 7-. Il film narra lo storico gesto di protesta di due grandi atleti statunitensi giunti primo e terzo nei 200 metri ai giochi olimpici di Città del Messico del 1968, anno della grande rivolta contro il conservatorismo e la reazione, narrata dal punto di vista del secondo classificato, un grande velocista australiano. Per narrare tale vicenda occorre contestualizzare gli eventi, dalle lotte antirazziste degli afroamericani, al movimento del sessantotto, alla spaventosa repressione del governo messicano della rivolta giovanile. Significativo come il clima di lotta e protesta abbia scosso persino il mondo del tutto disimpegnato dei grandi atleti. Interessante la durissima repressione subita dai due atleti statunitensi e dal velocista australiano, completamente tagliati fuori dal mondo dello sport professionista per il coraggio dimostrato in occasione della premiazione. La repressione ha effetti ancora più pesanti nel caso dell’atleta australiano proveniente da un mondo ancora più gretto e razzista degli stessi Stati uniti. Peccato che il materiale per il film, valido per un corto o al massimo per un medio metraggio, sia davvero insufficiente per un lungometraggio e peccato che naturalmente il film, prodotto di nicchia dell’industria culturale, tagli fuori completamente gli aspetti più significativi del gesto di protesta reso immortale da una celeberrima foto. Da un lato scompare completamente il richiamo al grande Movimento (rivoluzionario) delle Pantere nere, dall’altro è censurato il significativo dibattito, che aveva portato gli atleti afroamericani più avanzati a boicottare la partecipazione ai giochi, in quanto sarebbero stati presentati come rappresentanti di una nazione in realtà imperialista, razzista e segregazionista. I meno politicizzati, come gli atleti dei 200 metri parteciparono e scelsero il momento di attenzione mediatica durante la premiazione per testimoniare la loro solidarietà con il movimento di emancipazione afroamericano, in grado di egemonizzare un giovane atleta australiano, nato in un ghetto afroamericano con i genitori nell’Esercito della salvezza. Paradossale è che gli autori del film cerchino di utilizzare proprio quest’ultimo particolare per spiegare la coraggiosa presa di posizione del velocista australiano. Al contrario significativo è come in anni di grande avanzamento del movimento rivoluzionario, anche un subalterno che ha fatto carriera nello sport, del tutto spoliticizzato, si schieri, pur venendo da un paese spaventosamente razzista, dalla parte degli afro discendenti che si battevano per la propria emancipazione.

Flee di Jonas Poher Rasmussen, documentario, animazione, biografico, Danimarca, Francia, Svezia e Norvegia 2021, candidato a miglior film internazionale, di animazione e documentario, voto: 6+. Per essere il primo film candidato a questi tre ambiziosi titoli Flee non convince del tutto. Per quanto sia ben costruito e architettato la trama incentrata su una figura molto particolare e poco tipica non suscita grande interesse e partecipazione finendo con l’essere piuttosto soporifero. Certo si denunciano il fondamentalismo religioso afghano armato dagli Stati uniti, la condizione dei profughi in particolare nella tragica situazione che si è venuta a creare in Russia dopo il crollo dell’Unione sovietica e la tragica condizione degli omosessuali perseguitati dagli integralisti, ma non si approfondiscono più di tanto le problematiche storiche, politiche, economiche e sociali.

Luigi Proietti detto Gigi di Edoardo Leo, documentario, Italia 2021, voto: 6+; documentario godibile che coglie alcuni aspetti decisamente significativi, in grado di spiegare il grande successo di questo attore e regista, in particolare la sua capacità di coniugare la cultura alta alla cultura popolare avvicinandosi, nei momenti più alti della sua produzione, a opere nazionali-popolari nel senso gramsciano del termine. D’altra parte la solita impostazione pregiudizialmente agiografica impedisce di cogliere e approfondire le contraddizioni reali, in particolare nei casi in cui il popolare attore scade nel populismo, si svende all’industria culturale ed è corresponsabile della diffusione di opere meramente gastronomiche e di evasione, etc.

Essere Giorgio Strehler di Simona Rosi, documentario, Italia 2021, voto: 6; grande occasione mancata per narrare la vicenda di un eminente regista del teatro pubblico italiano. Pur avendo a disposizione aspetti molto significativi della vicenda storico-biografica del grande regista – dalla partecipazione alla resistenza, alla militanza nel Partito Socialista, all’aver portato in Italia l’eccezionale teatro di Bertolt Brecht – il documentario, privo di qualsiasi spina dorsale e taglio interpretativo, mette insieme testimonianze di mediocrissimo interesse sugli avi del regista e interviste scarsamente significative fatte negli ultimissimi anni della vita di Strehler, quando ormai non aveva più nulla di veramente significativo da comunicare. Anche la questione, potenzialmente molto interessante, del controverso rapporto con il movimento del sessantotto viene appena accennata nel documentario.

l nostro Eduardo di Didi Gnocchi e Michele Mally, documentario, Italia 2020, voto: 6; un film di mediocre qualità che parte nel modo peggiore parlando dei nipoti, alcuni dei quali non hanno nemmeno mai conosciuto Eduardo De Filippo, e che, soprattutto, non si sono mai occupati di teatro. Se si riesce a superare questa introduzione assolutamente insostenibile, la grandezza del personaggio la cui parabola ricostruisce il documentario, lo rende comunque meritevole di essere visto, alquanto godibile e, a tratti, persino emozionante.

Billie Eilish: The World’s a Little Blurry di R.J. Cutler, Usa 2021, candidato ai premi Oscar come miglior documentario, voto: 5-. Il film sarà pure ben confezionato, ma è davvero troppo lungo nella sua narrazione naturalistica di una vicenda biografica, peraltro limitata a un arco temporale molto limitato, priva di qualsiasi interesse sostanziale. Davvero poco comprensibile la candidatura ai premi Oscar come miglior documentario.

Senza fine di Elisa Fuksas, documentario, Italia 2022, voto: 1-; film assolutamente insostenibile, tutto incentrato sulla esposizione sfacciata del corpo attuale di Ornella Vanoni la quale ricorda, naturalmente in modo acritico, alcuni aspetti inessenziali del suo passato. La trovata di paragonare costantemente la cantante oggi con i suoi successi giovanili poteva essere utile come introduzione al documentario, ma alla lunga non può che divenire insopportabile. Già il genere film biografico è molto discutibile, ma diviene del tutto da evitare se si parla della vita privata di un personaggio che ha inciso, per quanto marginalmente, nella vita pubblica nel passato. Abbiamo così esclusivamente la documentazione della vanità e dell’egocentrismo spropositato non solo della cantante, ma ancora di più della regista

Classici del cinema riproposti in versione restaurata nelle sale o in retrospettive nel 2022

Il servo di Joseph Losey, drammatico, Gran Bretagna 1963, voto: 7,5; grande classico del cinema ripresentato in versione restaurata in prima visione, non tradisce le aspettative. Il film è dal punto di vista formale decisamente impeccabile. Il contenuto anche è significativo, anche se nella società capitalista il rapporto fra servo e signore ha perduto la centralità che svolgeva nelle società precedenti. Così, più che un superamento del servo nei confronti del signore, abbiamo piuttosto la messinscena della reciproca rovina delle classi in lotta. Al solito, nel cinema dei grandi registi borghesi abbiamo una significativa critica sociale, ma una scarsa prospettiva di superamento dialettico della società esistente, che rende tali opere prive di catarsi e, quindi, delle tragedie insoddisfacenti, che lasciano con l’amaro in bocca lo spettatore.

I soliti ignoti di Mario Monicelli, commedia, Italia 1958, con Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Totò e Claudia Cardinale: voto: 7+; capolavoro del genere commedia, il film è una gustosissima rappresentazione del sottoproletariato con tutte le sue contraddizioni. I soliti ignoti, con degli eccezionali interpreti, offre anche una conclusione catartica, con un superamento dialettico per cui il sottoproletario si vede più o meno costretto ad andare a lavorare divenendo un proletario. Molto significativa la profonda differenza con i giorni nostri, in quanto all’epoca del film (la fine degli anni Cinquanta), nonostante la guerra fredda, anche i film più popolari e di genere riuscivano a divertire dall’inizio alla fine, facendo anche ragionare lo spettatore.

Il sorpasso di Dino Risi, con Vittorio Gassman, Jean-Louise Trintignant, Catherine Spaak, commedia, Italia 1962, voto: 7; capolavoro nel suo genere, cioè della commedia all’italiana. Il film resta godibilissimo ed è brillante, divertente e lascia molto su cui riflettere allo spettatore, senza contare i due protagonisti maschili, interpreti davvero d’eccezione. D’altra parte il film resta una pellicola di genere e tutto sommato minore, che non può certo essere spacciata, come pretende l’odierno rovescismo, per un capolavoro assoluto.

Grandi magazzini, di Mario Camerini, con Vittorio De Sica, commedia, Italia 1939, voto: 7-; classica commedia all’italiana, uno dei più significativi film del ventennio fascista. Il film riesce a trovare un significativo equilibrio fra il godimento estetico assicurato da una ben congegnata commedia – con un interprete davvero d’eccezione quale Vittorio De Sica – e il lasciare qualcosa su cui riflettere allo spettatore. Il film tocca anche un aspetto del conflitto sociale mettendo in luce le contraddizioni fra il manager tanto inflessibile dirigente del personale, quanto corrotto, e due lavoratori proletari. Quello che inevitabilmente manca negli anni neri della dittatura fascista è la possibilità di individuare una soluzione reale alle problematiche del conflitto sociale attraverso una mobilitazione collettiva di massa, possibilmente egemonizzata da una direzione consapevole, in grado di individuare una dialettica avanzata con lo spontaneismo.

Come te nessuno mai di Gabriele Muccino, commedia, con Anna Galiena e Luca De Filippo, Italia 1999, voto: 6+; film che ha il merito di ricostruire, in modo relativamente naturalistico, il fenomeno delle occupazioni scolastiche, dandone un giudizio storico positivo. Il limite principale è che la prospettiva del film è tutto sommato reazionaria in quanto idealizza il riflusso nel privato e in un amore romantico ormai davvero fuori tempo massimo.

Quando eravamo re di Leon Gast, documentario, Usa 1996, distribuito da Cineteca di Bologna, voto: 6; documentario ben realizzato – con un’ottima colonna sonora – a tratti interessante, godibile e avvincente. Dal film emerge tutta la subalternità ideologica della componente moderata del movimento di liberazione degli afroamericani, ben impersonato dall’eccezionale atleta Mohamed Ali. Quest’ultimo ha certamente assunto una posizione decisamente rivoluzionaria ed eroica, quando si è rifiutato di andare a combattere le forze antimperialiste in Vietnam, sostenendo che i reali nemici degli afroamericani sono i razzisti e filoimperialisti del loro stesso paese. In tal modo, pur giunto all’apice di una eccezionale carriera, il pugile ha affrontato con coraggio la condanna al carcere e il dover rinunciare al lavoro proprio nel momento in cui aveva conseguito la piena maturità. Proprio al contrario, in Quando eravamo re, Mohamed Ali finisce per farsi strumentalizzare dal peggior tiranno criminale filoimperialista d’Africa, il generale fellone Mubuto, colpevole del tradimento e del barbaro assassinio di Lumumba, simbolo vivente della lotta di liberazione antimperialista dell’Africa e del suo, a oggi essenzialmente abortito, processo di unificazione. Peraltro, nonostante l’amicizia con Malcom X, Mohamed Ali continua a far parte dei Fratelli musulmani sebbene fossero stati proprio loro a perpetrare l’assassinio del grande rivoluzionario afroamericano. Oltre a tutte queste ambiguità ideologiche – di cui gli autori del film appaiono del tutto inconsapevoli – il documentario essendo tutto incentrato su un incontro di boxe per quanto epico, finisce per essere ripetitivo e anche un po’ noioso. Anche la presentazione adialettica, apologetica e, dunque, acritica di questo grande campione sportivo finisce per essere, alla lunga, un po’ stucchevole. Resta l’eccezionale classe e la grande intelligenza tattica di un eccezionale boxeur che riesce a vincere una sfida impossibile.

A casa tutti bene di Gabriele Muccino, drammatico, commedia, Italia 2018, voto: 6-; dopo aver visto la serie recentemente uscita, può valere la pena rivedere il film, anche perché si è ora in grado di comprenderne meglio e più a fondo le dinamiche e di apprezzarne meglio pregi e difetti. Fra i pregi, oltre alla indubbia capacità di sintesi, vi è una prova decisamente superiore degli interpreti e anche dei personaggi meglio costruiti, più contraddittori e dialettici, mentre nella serie tendono a cristallizzarsi in delle maschere. Ciò che invece emerge, anche a paragone con la serie, come maggiore e più significativo difetto del film è la mancanza di contenuto sostanziale dal momento che A casa tutti bene non si occupa praticamente per niente delle problematiche storiche, politiche, filosofiche e sociali e dimentica, in particolare, i conflitti sociali, vero motore della Storia. Da questo punto di vista il film è ancora più carente della serie che, con tutti i suoi limiti, sviluppa comunque una critica decisa alla classe dominante borghese.

I due Foscari (1844) di Giuseppe Verdi, orchestra e coro del Teatro regio di Parma, dove è andato in scena nel 2009 per la regia di Joseph Franconi Lee, voto: 5+; opera ben interpretata, cantata e recitata, con una valida regia, buoni costumi scenici e scenografie che, purtroppo, non decolla per delle carenze strutturali del libretto di Francesco Maria Piave. Gli ingredienti per una messa in scena tragica ci sono tutti, ma la realizzazione lascia molto a desiderare, con il protagonista principale che appare umano, ma davvero troppo umano, quasi esclusivamente intento a piangersi addosso e che, quindi, appare retorico quando loda l’amata e il padre giunti a portargli conforto. La protagonista femminile è animata da un amore sconfinato (decisamente da operetta tardoromantica) tanto da apparire sostanzialmente irrazionale, irrealistica e inverosimile.

Venga a prendere il caffè… da noi, di Roberto Lattuada, con Ugo Tognazzi, Italia 1970, voto: 3+; film insostenibile, a maggior ragione per essere stato prodotto durante il secondo biennio rosso. Il film dimostra bene la natura reazionaria della critica cinefila che è riuscita a rivalutare persino Lattuada quando si è prestato a realizzare delle davvero pessime pellicole erotiche, volte a stravolgere completamente la rivoluzione sessuale in atto. Non si capisce come un film del genere possa essere stato selezionato per una retrospettiva volta a celebrare l’attore Ugo Tognazzi che, troppe volte – come dimostra in modo esemplare questo film – si è prestato a lavorare da protagonista in pellicole decisamente reazionarie e di scarsissima qualità. Colpisce, inoltre, come tanti aspetti negativi dell’attuale cinema italiano fossero presenti in nuce già in questo film, come il rimestare nel torbido e la sfacciata passione per il grottesco. Colpisce, infine, come in anni in cui i rapporti di forza nel conflitto sociale erano maggiormente favorevoli al proletariato persino pellicole reazionarie e squallide come questa dovessero contenere una spietata satira sociale nei riguardi di esponenti, in qualche modo tipici, della classe dominante.

23/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

L'Autore

Renato Caputo

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: