Classifica delle serie tv 2023

Brevi e critiche recensioni di classe alle migliori serie televisive del 2023 e alle maggiormente deludenti e/o sopravvalutate.


Classifica delle serie tv 2023

Daily Alaskan (Alaska Daily) è una serie televisiva statunitense creata da Tom McCarthy, disponibile su Disney+; voto: 9,5. La serie, che ha come protagonista Hilary Swank, affronta una questione sostanziale: la strage di donne native sulla quale non indagano gli apparati repressivi dello Stato. La miniserie, dopo i primi episodi introduttivi, diviene estremamente appassionate, avvincente e interessante.

Nei primi due episodi vengono evidenziati i rischi e il rigore necessario al giornalismo d’inchiesta. La protagonista inizia indagando su un generale statunitense che sta per essere nominato segretario di Stato nonostante che, come la giornalista scopre, aveva compiuto crimini contro l’umanità. Subito si attiva contro di lei la macchina del fango, che ha buon gioco nel diffamarla quando scopre che la fonte della giornalista può esser considerata inaffidabile.

In seguito il team di giornalisti indaga su un piccolo ristorante che sembra sia stato fatto chiudere da una grande multinazionale di hamburger, ma poi si viene a sapere che è stata la piccola proprietaria a creare il caso. Infine, i giornalisti indagano sul più potente capitalista del posto che ha utilizzato fondi pubblici per fini privati, per pagare la casa in cui nascondere l’amante omosessuale, salvo poi farlo sgomberare dalla polizia quando si viene a trovare in difficoltà finanziarie. Il facoltoso uomo avvisa la giornalista che il suo scoop avrebbe rovinato la vita della sua famiglia, la reporter è convinta dalla collega ad andare avanti, ma l’incriminato si suicida. Si intende offrire, così, una rigorosa deontologia professionale del giornalista d’inchiesta che deve mirare a far conoscere la realtà, mantenendo sempre il beneficio del dubbio e un’attitudine garantista. 

Un’altra inchiesta consente di denunciare le malefatte degli apparati repressivi dello Stato, il greenwashing dei democratici e l’ecoterrorismo. In questo caso, però, si denunciano a ragione alcuni rischi dell’ecologismo, senza però mostrare l’importanza che ha la lotta per la difesa dell’ambiente.

Nel quinto e sesto episodio la serie diviene sempre più interessante e avvincente. Non solo tocca moltissimi temi sostanziali in modo intelligente, ma è molto realistica e dialettica nella rappresentazione dei personaggi e mira sempre ad andare a fondo alle cose, superando i pregiudizi e le apparenze. Detto questo resta ferma la denuncia del sistema nel suo complesso, della classe dirigente e dominante, alle quali si contrappone un’alternativa possibile offerta, in primo luogo, da una redazione giornalistica che, nonostante tutte le difficoltà, fa onestamente il suo mestiere e, in secondo luogo, dalle comunità dei nativi che svolgono un’importante funzione sociale. Molto significativa la denuncia della disparità di trattamento dei media e delle istituzioni, per cui la morte in diretta di una caucasica crea un dispiegamento sconsiderato di mezzi e risorse, anche quando non ci sono speranze di salvare una vita, mentre quando scompare l’ennesima nativa non si fa assolutamente nulla.

Nel sesto e settimo episodio la serie diviene ancora più complessa, dialettica e avvincente. Particolarmente significativa è l’analisi del tipico terrorista bianco proletario di estrema destra. Per quanto le sue azioni siano criminali egli è anche una vittima degli intellettuali di destra che lo fomentano e del sistema che ha prodotto il suo immeritato licenziamento. Inoltre, dal momento che le imprese utilizzano la questione ambientale per giustificare i licenziamenti, diversi estremisti di destra ignoranti, che hanno perduto il lavoro, danno credito alle concezioni negazioniste. Altrettanto significativa è la denuncia dei terribili danni che provoca la libertà della religione negli Stati uniti, con sette di criminali e sadici che commettono i peggiori abusi sugli ignari fedeli.

Nell’ottavo e nono episodio la serie diviene ancora più notevole, nella critica del potere politico ed economico costituito, degli apparati repressivi dello Stato, dell’ideologia dominante, del razzismo e del machismo. In particolare emerge come i grandi capitalisti fanno affari attraverso la corruzione del potere politico. Inoltre, la cultura patriarcale dominante protegge, di fatto, gli uomini che fanno violenze sulle donne. Infine l’impunità diviene, di fatto, assoluta quando la violenza colpisce le donne native. Ci sono migliaia di casi e, nella sola capitale dell'Alaska, una nativa scompare ogni settimana. In ultimo, emergono tutti i limiti del sistema giudiziario che o non indaga quando si tratta di crimini ai danni dei più deboli o, anche quando è costretto a intervenire, incolpa ingiustamente gli umiliati e offesi che, difesi da un avvocato d’ufficio, si trovano costretti a patteggiare delle pene detentive, sebbene innocenti. Anche perché nel momento in cui il sistema è costretto a intervenire, agisce sbattendo in prima pagina il mostro, cioè il diseredato.

Negli ultimi due episodi la serie diviene quasi perfetta, denunciando come la violenza verso le donne più deboli potrebbe essere facilmente contrastata, se solo ci fosse la volontà politica. Peraltro i servizi sociali essenziali di fatto non funzionano se non consentono la massimizzazione dei profitti privati, anche se quest’ultimissimo aspetto non è sufficientemente approfondito. Emerge, invece, come la ristrutturazione dell’informazione gestita dal capitale privato porti a licenziamenti e ad assumere direttori della destra radicale populista. Piuttosto discutibile è la conclusione con il capitalista buono che finanzia un giornale che non fa sconti al potere, in contrapposizione al capitalista cattivo. Dall’altra parte, nella società capitalista i giornali sono tutti privati e, quasi tutti, controllati da capitalisti.

Questo mondo non mi renderà cattivo è una serie animata italiana del 2023 scritta e diretta da Zerocalcare per la piattaforma di streaming Netflix, voto: 9. La serie è divertente e lascia anche riflettere lo spettatore su tematiche sostanziali e tabù per la cultura italiana mainstream. Da questo punto di vista quello di Zerocalcare è un contributo indubbiamente prezioso. Resta il limite della sinistra radicale italiana di rischiare di scadere nel minoritarismo.

Come spesso avviene il secondo episodio è di livello decisamente inferiore al primo. Gli aspetti più significativi passano in secondo piano ed emergono gli elementi più discutibili, di un discorso che rischia di essere troppo criptico e autoreferenziale.

Con il terzo e quarto episodio la serie decolla anche perché viene messo al centro un tema davvero sostanziale, cioè come la destra populista e demagogica speculi sui disagi dei quartieri proletari per fomentare la guerra fra poveri. Davvero illuminante la rappresentazione delle tre forze principali politiche parlamentari italiane, la destra, la pseudosinistra e i qualunquisti 5 Stelle. Molto significative anche le riflessioni autocritiche del protagonista. La quinta e sesta puntata restano a un livello molto elevato e dimostrano lo stile militante di Zerocalcare, più unico che raro. La serie riesce così a essere al contempo molto istruttiva, divertente e godibile esteticamente.

The Dropout miniserie drammatica televisiva statunitense del 2022, creata da Elizabeth Meriwether, ha ottenuto 2 candidature fra cui miglior miniserie e film per la tv e vinto un premio ai Golden Globes, ha vinto 2 Critics Choice Award fra cui miglior miniserie, ha ricevuto 1 candidatura a SAG Awards, 1 candidatura a Writers Guild Awards, ha vinto un premio ai Producers Guild per il miglior produttore in una miniserie, è disponibile nella piattaforma streaming Disney+, come “Star Original”, voto: 8+. Tratta, per quanto incredibilmente, da una storia vera, la miniserie smaschera il sogno americano di divenire miliardari partendo dal basso. La protagonista della scalata sociale è assolutamente priva di scrupoli, di morale e arrivista. L’unica cosa che conta per lei è fare profitti nel minor tempo possibile. Al solito manca un personaggio positivo, da contrapporre alla protagonista e manca l’effetto di straniamento per cui, per quanto controvoglia, lo spettatore tende almeno in parte a parteggiare con la criminale al centro della vicenda.

La serie si conferma avvincente e in grado di toccare questioni sostanziali come il funzionamento attuale sempre più marcio del modo di produzione capitalistico nella sua fase di putrefazione. Da un lato vediamo come si inasprisca in modi sempre più totalitari la schiavitù dei lavoratori salariati, dall’altro constatiamo come il meccanismo della concorrenza porti, necessariamente, chi vuole avere successo – in un sistema come quello imperialista in putrefazione – a utilizzare i mezzi più sporchi e truffaldini. Il principale rischio della serie è che il caso trattato potrebbe essere considerato l’eccezione mentre, in realtà, per chi conosce in modo un minimo critico il mondo delle imprese private, rappresenta, piuttosto, la regola.

Finalmente, andando avanti nella serie, appaiono dei personaggi positivi che, pur con tutte le loro contraddizioni, rappresentano una sana antitesi alla hybris del potere e della ricchezza rappresentata dalla protagonista. Quest’ultima è una figura molto interessante – ben interpretata e dialetticamente rappresentata – in quanto incarna in pieno tutte le mistificazioni del sogno americano. Si tratta, piuttosto, dell’incubo del profitto a ogni costo, che porta l’individuo che lo vive a eliminare ogni sentimento, compassione, grandi ambizioni, interessi, hobby e, persino, a rinunciare a godersi la vita in quanto tutto deve essere sacrificato alla ricerca del profitto immediato e privato. La protagonista mostra nel modo migliore come le destre sfruttino, nel senso della rivoluzione passiva, le lotte per l’emancipazione, in questo caso degli emarginati e delle donne. Le destre offrono una emancipazione illusoria, in cui gli esclusi per venire accettati devono schierarsi dalla parte e al servizio di chi si batte per la disemancipazione del genere umano. Saggiamente la serie offre un personaggio femminile, di una emarginata, da contrapporre al pessimo modello offerto dalla protagonista, in quanto al contrario di quest’ultima riesce ad affermarsi proprio non sacrificando il valore etico fondamentale che consiste nel contribuire alla reale lotta per l’emancipazione del genere umano, una liberazione che non può che venire dal basso e non attraverso la cooptazione all’interno della classe dirigente e dominante. Molto ben rappresentata è la figura del politico statunitense, considerato protagonista della vittoria nella guerra fredda, che oltre a essere un completo idiota privo di ogni morale, sostiene la diabolica arrivista contro il proprio stesso nipote, per ripulirsi l’immonda coscienza. Un altro aspetto significativo è che l’impresa truffaldina della protagonista sia stata acriticamente sostenuta e occultata da importanti uomini del mondo economico e politico statunitense come Bill Clinton e Kissinger. Interessante anche la figura del nipote del boss della destra repubblicana, che mostra come l’uomo sia sempre libero e, quindi, responsabile delle proprie scelte. Infine, risulta incredibile che tale vicenda e questa significativa serie non sia mai stata presa in considerazione dall’unico giornale che si definisce comunista in Italia, i cui critici cinematografici, esemplari della rovinosa deriva a destra dell’intellighenzia di sinistra del paese, passano il tempo a esaltare gli aspetti più reazionari dell’industria culturale imperialista non dando, paradossalmente, nessuno spazio agli intellettuali statunitensi che, al contrario degli italiani e degli europei, sono in grado di assumere un’attitudine critica verso il sistema.

Nella serie emerge come alcuni dei massimi uomini politici statunitensi, sia repubblicani che democratici, fra i quali Biden e Obama, oltre ad alcuni dei più grandi imprenditori, a partire da Murdoch, che controlla buona parte dei mezzi di comunicazione di massa, abbiano investito, sostenuto e coperto l’enorme truffa denunciata dalla serie. Peccato che presumibilmente, per motivi cronologici, non appaia che molti esponenti di punta dell’amministrazione Trump erano parte integrante, sebbene in modo indiretto, di questa spaventosa e criminale truffa, che colpiva i più deboli, i malati. Anche perché diversi esponenti del governo Trump venivano proprio dal mondo delle grandi imprese che aveva investito in questa spaventosa truffa che, peraltro, era stata più o meno inconsapevolmente coperta anche da alti esponenti dell’apparato militare. 

Nella serie si presenta la protagonista come una tipica espressione del sogno americano, una persona che si è fatta da sé grazie alla sua determinazione e alla sua forza di volontà, una outsider, mentre in realtà era figlia e nipote di “grandi” imprenditori e di persone legate al potere politico. Non si tratta di un particolare secondario, in quanto la protagonista e i suoi sostenitori erano in parte giustificati dalla serie in quanto venivano presentati come degli outsider. Mentre emerge molto chiaramente come la truffatrice protagonista della serie e diversi suoi sostenitori utilizzassero, nel modo più spregiudicato, il tema dell’emancipazione della donna, bollando tutti i critici come misogini. Infine emerge con chiarezza come tali personaggi negativi, nonostante il loro temporaneo successo, non fanno proprio nulla per favorire, pur essendo donne, l’emancipazione femminile. Il ruolo deleterio che hanno, anche da questo punto di vista, personaggi del genere, emerge chiaramente dalla emblematica parabola di questa prima donna che, dirigendo in età molto giovane una grande azienda, viene denunciata e condannata come truffatrice, al punto che si vede costretta a ritirarsi dal mondo degli affari e, per rimanere a galla, si riduce a sposare un grande ereditiere. Tutto ciò non può che favorire le forze che si battono per la disemancipazione della donna.

Perry Mason è una serie televisiva statunitense del 2020 creata da Ron Fitzgerald e Rolin Jones, distribuita su Sky Atlantic, voto: 8. La seconda stagione della serie parte in sordina. Non si introduce nulla di sostanziale da giustificare la prosecuzione della prima stagione, pensata inizialmente come una miniserie.

Il secondo episodio è decisamente superiore al precedente. Si introducono tematiche sostanziali, a partire dai danni che provoca la separazione delle carriere dei magistrati, che porta i pubblici ministeri a cercare di sbattere il prima possibile il mostro in prima pagina per fare carriera, sfruttando gli istinti più bassi del volgo. In tal modo, non solo personaggi che compiono violazioni minori della legge, ma anche coloro che aiutano i più deboli della comunità, con metodi illegali, vengono perseguitati. Gli immigrati – costretti a sopravvivere nelle baraccopoli, dopo essere stati sgomberati dalle proprie abitazioni, per far posto alla speculazione edilizia – sebbene innocenti, rischiano di essere condannati in modo sbrigativo alla pena di morte, anche perché non hanno soldi per pagarsi un valido avvocato. Tanto più che indagando appena un po’ viene fuori che il ricco molto popolare che è stato ucciso era in realtà un criminale e truffatore, implicato in vicende criminali. Nel film sono anche presenti, sebbene non in primo piano, le discriminazioni cui sono soggetti gli afroamericani.

Il terzo e quarto episodio finiscono per rendere la vicenda troppo intricata e difficile da seguire. Restano degli aspetti, anche se più marginali, significativi, come la figura dell’antagonista ricco petroliere e in grado di controllare l’opinione pubblica per i suoi corrotti e criminali interessi privatistici.

Il quinto e sesto episodio divengono molto avvincenti e anche interessanti. Per quanto le più significative questioni sostanziali tendano a rimanere un po’ sullo sfondo, l’impostazione di fondo resta molto significativa. Particolarmente interessante la caratterizzazione del figlio del grande petroliere e criminale che, per le sue sconsiderate azioni estremiste di destra, mette in difficoltà i grandi affari loschi del padre. Significativa anche la denuncia del consigliere politico implicato nella corruzione con il grande capitale a spese delle classi sociali subalterne.

Gli ultimi due episodi sono interessanti, ben congeniati e lasciano emergere questioni sostanziali. Il crimine vero va ricercato ai piani più alti, nonostante le apparenze di raffinata cultura che si danno questi raffinati criminali. Subito dopo nella scala del crimine si piazza il capitalista finanziario di estrema destra. Quest’ultimo è in loschi e illegali affari con l’apparente nemico, il benpensante dei piani alti, anche perché il militarismo, l’attitudine filo imperialista e ultranazionalista fanno del primo un alleato “naturale” del secondo. Poi viene, ancora nella scala del crimine, il potere arbitrario del fascista, protetto dai poteri forti solo sino a che non diviene un peso ingombrante da scaricare. Abbiamo, infine, last but not least, lo stesso “sistema”, cioè un tipico “democratico” stato di polizia, con le autorità impegnate a punire solo i pesci piccolissimi, proteggendo di fatto i grandi. Abbiamo, inoltre, i politicanti che fanno affari con i pescecani, usando gli apparati repressivi dello Stato contro i poveri. La cattiveria di questi ultimi, che ha il fondamento nelle loro terribili condizioni di vita, resta l’ultimo tassello del mosaico. Per questi ultimi, per i dannati della terra, il sistema liberale prevede il carcere duro, da cui non si esce.

Painkiller di Peter Berg, Dan Skene, serie tv drammatica, Usa 2023, in sei episodi, disponibile su netflix, voto: 8. Molto godibile, ben girata, decisamente interessante, avvincente e di denuncia, la miniserie mostra nei primi due episodi, in modo adeguato, tutti gli aspetti spaventosamente classisti degli Usa. Le puntate dalle tre alla quattro sono certamente valide, ma finiscono con l’essere troppo complesse e difficili da seguire. Le ultime due puntate si confermano di buon livello anche formale, con un montaggio significativo. Tuttavia emerge il limite principale della serie che presenta la lotta contro l’azienda spacciatrice di oppiacei, responsabile di tale spaventosa strage dei più deboli, come una battaglia condotta da una generosa ma, necessariamente, limitata impiegata dello Stato, senza affrontare la questione dell’importanza di una mobilitazione collettiva, l’unica realmente efficace.

1923 è una serie televisiva statunitense drammatica e western del 2022, creata da Taylor Sheridan, con Harrison Ford, in 8 episodi, ha ricevuto la nomination a miglior serie drammatica e a miglior attrice in una serie televisiva drammatica per Helen Mirren a Golden Globes 2024, vincitrice quest’ultima categoria a Critics Choice Super Awards 2023, disponibile su Paramount, voto: 8-. Formalmente la serie non convince del tutto, in quanto appare a tratti troppo caricata e violenta, ma dal punto di vista del contenuto è più unica che rara, come denuncia della reale storia statunitense e dello sfondo storico dell’epopea della conquista del West. Si denuncia realisticamente il genocidio dei nativi e le scuole-lager cattoliche in cui venivano rinchiusi e dove subivano ogni sorta di soprusi gli amerindi stappati con la violenza alle famiglie. Si denuncia lo spaventoso razzismo che penalizza anche i caucasici che subiscono violenze perché hanno sposato donne di altre etnie. Emerge bene il ruolo criminale dei proprietari di banche, molto più raffinato e pericoloso di chi le svaligia. Si mettono in luce, anche se con alcune ambiguità, gli aspetti contraddittori dei coloni lanciati alla conquista del West, in cui convivono lo spirito democratico che si oppone alle oligarchie, ma anche aspetti profondamente fascisti fondati sulla Herrenvolk democracy (democrazia per il popolo dei signori). Emerge il profondo classismo e il costitutivo conflitto di interessi alla base dell’apparato giuridico statunitense, oltre che il radicato fascismo degli apparati repressivi dello Stato.

We Own This City – Potere e corruzione è una miniserie televisiva statunitense del 2022, diretta da Reinaldo Marcus Green e scritta da George Pelecanos e David Simon, trasmessa su Sky Atlantic, voto: 7,5. La serie è apparentemente molto significativa in quanto si basa sue eventi reali e denuncia la spaventosa violenza, il razzismo e la corruzione degli apparati repressivi dello Stato negli Usa. Peccato che la vicenda narrata appare troppo intricata, difficile da seguire e peccato per la consueta attitudine troppo ambigua dell’industria culturale statunitense nei confronti delle forze dell’ordine costituito borghese.

Il secondo episodio elimina gli aspetti potenzialmente ambigui del primo, in quanto la condanna della polizia diviene netta, d’altra parte la vicenda è rappresentata in una forma in cui resta troppo complicato orientarsi.

La serie finisce con l’essere una denuncia molto significativa dei continui abusi classisti e razzisti degli apparati repressivi degli Stati Uniti, nei confronti, in primo luogo, degli afroamericani. Peccato che la forma troppo sofisticata, con continui flashback incrociati, tende a rendere troppo impegnativa la visione per chi non è particolarmente interessato al tema e disponibile a fare un significativo sforzo di comprensione. Peccato anche che l’opposizione a tale perverso sistema non è rappresentata nella sua forma più incisiva, popolare e dal basso, insistendo quasi esclusivamente sull’indagine federale sugli abusi della polizia locale, quasi si trattasse della mela marcia da isolare. Certo nella serie si mostra anche come l’indagine federale è di fatto un paliativo, perché porta alla condanna di alcuni troppo solerti esecutori senza mettere in discussione un sistema classista e razzista. Peccato che questo tema fondamentale non è adeguatamente sviluppato. D’altra parte è anche evidente che per realizzare una denuncia del genere negli Stati uniti è necessario fare tutta una serie di concessioni all’ideologia dominante, per poter avere una ampia diffusione.

Pachinko – La moglie coreana è una serie televisiva drammatica, Corea del sud, Usa, Canada 2022, distribuita dal 25 marzo 2022 su Apple TV+, migliore serie televisiva straniera a Critics Choice Award 2023, miglior cast in una nuova serie tv a Independent Spirit Awards 2023, programma televisivo dell'anno AFI - American Film Institute Awards 2023, distribuita da Apple TV+. voto: 7,5. Serie fondata su una questione sostanziale: la dominazione imperialista giapponese sulla Corea e la difficilissima situazione di una donna e, più nello specifico, di una donna madre coreana costretta a emigrare in Giappone. Significativo il montaggio incrociato che mette a confronto la storia del rapporto dei coreani con il Giappone attraverso quattro generazioni. Peccato che la resistenza coreana ci viene presentata come avventurista, velleitaria e, di fatto, inutile se non, addirittura, controproducente.

Nelle puntate centrali della serie resta sullo sfondo il tema dell’oppressione imperialista dei coreani e la contraddittorietà dell’emancipazione delle più giovani generazioni che rischiano di uniformarsi alle attitudini imperialiste dominanti. La serie è ben interpretata, avvincente e melodrammatica.

Procedendo verso la conclusione la serie diviene sempre più complessa e tutto lascia prevedere la necessità di una seconda stagione. Gli episodi si confermano avvincenti, interessanti e con uno sfondo storico e sociale sostanziale e molto significativo. Peccato che la resistenza viene presentata come autosacrificio essenzialmente di singoli e vi sono troppe concessioni al pretismo.

Nell’ultima puntata le questioni in parte più discutibili delle puntate precedenti, da noi messe in evidenza, vengono in parte risolte. Resta il problema che la stagione è priva di finale, in quanto si aprono troppe prospettive che richiedono necessariamente almeno una seconda stagione. 

The Good Mothers serie televisiva drammatica italiana 2023, regia di Julian Jarrold (ep. 1,2,3), Elisa Amoruso (ep. 4,5,6), con Gaia Girace, ha vinto la prima edizione del Berlinale Series Award e ha ottenuto un riconoscimento ai Nastri d’argento, disponibile su Disney+, voto: 7,5. Finalmente una serie italiana godibile, ben fatta e abbastanza interessante. Ricostruisce bene, in modo realistico, il mondo della malavita organizzata, senza mitizzarla come fa Il padrino. Finalmente il pubblico non è portato a identificarsi con il criminale, ma con donne che subiscono violenza pur appartenendo a questo mondo distorto.

Il terzo e il quarto episodio si confermano di buon livello. Emerge come lo Stato non abbia offerto una valida protezione a forse la prima pentita di ndrangheta, causandone indirettamente la morte. Si denuncia anche l’attitudine quantomeno lassista del principale dirigente preposto a contrastare la malavita organizzata. D’altra parte, per quanto per certi aspetti è comprensibile, il fatto che i personaggi positivi della serie siano delle pentite della criminalità organizzata ed esponenti degli apparati repressivi dello Stato imperialista è una scelta quantomeno discutibile.

Gli ultimi due episodi si mantengono all’altezza delle aspettative su di un livello medio-alto da tutti i punti di vista. Peccato che non venga approfondito e sia messo in evidenza solo di sfuggita, come la tragedia dei pentiti della criminalità organizzata sia anche dovuta al fatto che la società capitalista è così individualista e priva di cuore che si può arrivare a rimpiangere anche la barbara eticità del clan mafioso. Soprattutto se lo Stato offre, al massimo, un luogo sicuro ai pentiti, ma nessun sostegno etico e morale.

Compagni di viaggio (Fellow Travelers) miniserie televisiva drammatica statunitense del 2023 in 8 episodi ideata da Ron Nyswaner, nomination miglior attore miniserie o film tv a Matt Bomer, nomination miglior miniserie o film per la televisione a Golden globes 2024 e Critics Choice Awards 2024 in cui ottiene la nomination a miglior attore secondario miniserie o film tv a Jonathan Bailey, disponibile su Paramount+, voto 7+. Serie decisamente significativa attraversa una parte importante della storia degli Stati uniti. Avvincente, ben interpretata, tocca aspetti interessanti come, in particolare, la caccia alle streghe guidata da McCarthy. Emerge bene come tale persecuzione sia stata arbitraria e unicamente improntata alla volontà di potenza. Emerge anche come la terribile persecuzione non colpisse soltanto gli esponenti della sinistra, ma anche gli omosessuali. Significativa anche la denuncia della ipocrisia di chi ha guidato tali terribili purghe: cattolici a parole, integralisti e, nei fatti, predatori omosessuali ed ebrei che sfruttano l’antisemitismo. Peccato che il film si concentri esclusivamente sulla lotta per l’emancipazione degli omosessuali, mentre finisce, in qualche modo, per giustificare la caccia al “comunista”.

Inventing Anna è una miniserie televisiva statunitense del 2022 in 9 episodi, distribuita su Netflix, ha ricevuto diverse candidature per la migliore attrice protagonista a Julia Garner, voto: 7. Serie ben confezionata, godibile e avvincente, si basa su una storia vera. Nella serie spiccano le spaventose piccole ambizioni al successo individuale di diversi statunitensi e immigrati che si richiamano al mito del sogno americano. Peccato che, al solito, vedendo tutti personaggi espressione degli spiriti animali della società capitalista, si finisca per naturalizzare questo modo di essere, al punto che cinismo e spietatezza divengono quasi delle doti.

La serie è molto interessante perché fa una critica molto significativa della classe dominante nelle società a capitalismo avanzato, facendo emergere come il sistema si regga essenzialmente su una serie di truffe, che finiscono per avere ricadute negative esclusivamente sui pesci piccoli, che sono ancora nella fase dell’accumulazione primitiva, in particolare se si tratta di donne straniere. Colpisce come queste persone spendano enormi energie per seguire le proprie piccole ambizioni, individualiste ed egoiste, e non siano minimamente sensibili alle grandi ambizioni, ossia a prendere parte attivamente a favore delle forze che si battono per l’emancipazione del genere umano. Il problema è che anche chi produce e realizza queste merci dell’industria culturale è mosso esclusivamente da piccole ambizioni, per cui realizzano anche dei prodotti ben confezionati come questo, ma sono del tutto incapaci di indicare una prospettiva di superamento dell’esistente.

La serie negli ultimi episodi comincia ad allungare inutilmente il brodo, narrando la vicenda dal punto di vista di personaggi secondari, di cui analizza il modo di essere. Tali detour non comportano nessun approfondimento della questione sostanziale al centro della vicenda. In effetti, la serie non ha moltissimo da aggiungere a ciò che appariva già abbastanza chiaro dalle prime puntate.

Al solito allucinante è la rappresentazione del mondo del lavoro, in cui al posto della lotta di classe si vedono lavoratori pronti a sacrificare, del tutto gratuitamente, ogni cosa, persino la propria prima figlia, pur di farsi sfruttare fino all’ultimo respiro. In tale completa dedizione al successo, alla carriera, la truffatrice ultra arrivista si differenzia solo quantitativamente dagli altri personaggi.

Nell’ultimo episodio emergono aspetti interessanti, inconsapevolmente in linea con l’osservazione di Brecht che è più criminale fondare una banca piuttosto che rapinarla. Abbiamo così la piccola truffatrice, che riesce a ingannare anche le grandi banche, punita con una pena superiore a quella che ha colpito i grandi speculatori del capitale finanziario che opprimono il mondo intero. Senza contare che le banche si sono fatte o meglio hanno rischiato di farsi truffare, in quanto la caduta del tasso di profitto rende sempre più truffaldine le speculazioni finanziarie. Infine, la vicenda dimostra come più che un sogno quello americano sia un incubo, in quanto una giovane con spirito imprenditoriale può farsi spazio solo se fa credere di essere una ricchissima ereditiera.

Vatican GirlLa scomparsa di Emanuela Orlandi di Mark Lewis, serie documentaria britannica del 2002 in quattro episodi trasmessa da Netflix, voto 7-. Nel primo episodio emerge, in modo significativo, che il Vaticano ha cercato di depistare le indagini, indicando la falsa pista del terrorismo internazionale, per far ricadere la colpa sui comunisti, che starebbero dietro l’attentato del papa, anche se a compierlo è stato, senza ombra di dubbio, un terrorista di estrema destra turco. Tutto lascia intendere che il Vaticano fosse interessato a occultare i reali autori del crimine. Interessante anche come il “Corriere della Sera”, di fatto, costringa a occuparsi d’altro il suo giornalista che si occupava del caso nel momento in cui smentisce, anche grazie a una fonte nei servizi segreti, la falsa pista del terrorismo internazionale e denuncia il ruolo nel rapimento della criminalità comune con un movente di tipo economico.

Il secondo episodio fa un enorme salto di qualità, facendo emergere, in modo inequivocabile, le responsabilità della Chiesa cattolica che appare realmente implicata nel terrorismo internazionale, cioè nel finanziare la controrivoluzione di Solidarnosc in Polonia, scambiata come una forza rivoluzionaria dalla sinistra radical dei Paesi a capitalismo avanzato. Inoltre, denuncia come per finanziare meglio i controrivoluzionari e restaurare un capitalismo di estrema destra, il Vaticano abbia utilizzato i soldi sporchi della mafia che ripuliva e riceveva attraverso la Banda della Magliana, con la quale collaborava strettamente. Per cui Emanuela Orlandi era stata incarcerata dalla Banda della Magliana per conto del Vaticano. Elementi molto significativi per dimostrare, ancora una volta, l’assurdità dell’ideologia dominante che riconosce un alto valore etico a una monarchia assoluta di estrema destra, con stretti legami con i peggiori criminali e nemica giurata del comunismo. Naturalmente, in primis, in tale crociata vi era Giovanni Paolo II, il famoso “santo subito”, canonizzato in tempi da record.

Il terzo episodio è, invece, estremamente deludente, tutto incentrato su un mitomane, assolutamente improbabile, che cerca di sviare le indagini, assolvendo tanto il Vaticano quanto la Banda della Magliana. Non si capisce proprio perché dedicare un intero episodio a un goffo e gaglioffo tentativo di depistaggio. Magari sarebbe stato interessante indagare chi ha favorito o, addirittura, ordito tale depistaggio.

Nella quarta puntata emergono elementi nuovi che provano senza ombra di dubbio il coinvolgimento del Vaticano nella tragica vicenda di Emanuela Orlandi e la storica omertà della sedicente “Santa Sede". Allo stesso tempo, emergono continui tentativi di depistare le indagini, che in buona parte fanno riferimento allo stesso Vaticano. Anche il documentario inglese e il giornalista al centro del documentario contribuiscono, magari involontariamente, a depistare le indagini. La posizione della Chiesa viene edulcorata, la colpa si limiterebbe al fatto che qualcuno al suo interno non avrebbe parlato. In più, ci sarebbe la questione che un’alta personalità del Vaticano avrebbe molestato sessualmente Emanuela Orlandi. Negli scenari che si tracciano alla fine la Chiesa passa quasi come vittima e si arriva addirittura a riaccreditare, fra le altre, persino il depistaggio più rozzo e ideologico, per cui dietro a tutto ci sarebbe l’Unione Sovietica visto che l’attentatore fascista turco, fra le tante dichiarazioni assurde e provocatorie, aveva affermato, senza uno straccio di prova, di essere stato addestrato dal Kgb. Per cui l’assurda tesi, che la serie e il giornalista del “Corriere della Sera”, dimostrando tutta la subalternità all’imperialismo, provano a riaccreditare, citandola fra i tre scenari più probabili, è che i comunisti avrebbero rapito Orlandi per costringere Stato italiano e Vaticano a liberare il terrorista fascista turco, con il fine di impedirgli di parlare. Teorema privo di qualsiasi prova e verosimiglianza, se non il fatto che, al solito, la strategia della tensione dei fascisti mirava a incriminare i comunisti. D’altronde, il terrorista fascista aveva già parlato, senza provare un bel niente, e lo Stato italiano e Vaticano non avrebbero mai potuto liberarlo in cambio della ragazza e, poi, a chi lo avrebbero consegnato? Se i sovietici lo avessero preso in consegna si sarebbero suicidati, in quanto avrebbero fornito le prove che dietro i fascisti turchi c’erano i comunisti e dietro la Banda della Magliana anche. Tutti questi assurdi e ridicoli, quanto vergognosi depistaggi, servono per far dimenticare gli aspetti fondamentali della vicenda. Solidarnosc non era affatto un’organizzazione progressista, ma una forza controrivoluzionaria finanziata dai reazionari anticomunisti del Vaticano, con i soldi della mafia, che provvedevano a ripulire. Tramite fra la mafia e il Vaticano era la sanguinaria Banda della Magliana che ha avuto un ruolo importante nel rapimento di Emanuela Orlandi e per i suoi servigi alla Chiesa è stata ricompensata al punto che il suo leader è stato sepolto in un luogo di culto centrale del cattolicesimo. Anzi, dal documentario emerge che il Vaticano aveva speculato in maniera così estrema con i soldi sporchi della mafia, da dover dichiarare bancarotta fraudolenta, senza rimborsare dei danni la malavita organizzata, che presumibilmente reagì “suicidando” Calvi. Naturalmente sono questi grandi eventi storici a essere decisivi, mentre le piccole tragedie particolari che a essi si intrecciano sono vergognosamente utilizzate come strumenti di distrazione di massa per l’opinione pubblica.

Mercoledì è una serie televisiva statunitense, indicata anche per bambini, ideata da Alfred Gough e Miles Millar, ispirata ai personaggi della famiglia Addams. Fra i registi spicca Tim Burton, che ha realizzato i primi quattro episodi. La serie ha ottenuto due candidature a Golden Globes, fra cui la nomination a miglior serie brillante, una candidatura a SAG Awards, una candidatura a Directors Guild, ha vinto un premio ai CDG Awards, ha vinto due Critics Choice Super fra cui il riconoscimento come migliore serie horror. È disponibile su Netflix, voto: 7-. Il primo episodio delude le aspettative, è piuttosto noioso, non affronta temi sostanziali, sembra rivolto a un pubblico prevalentemente infantile, dovrebbe essere comico, ma non fa ridere e nemmeno sorridere, perciò fa apparire la serie sopravvalutata per i riconoscimenti ricevuti e la popolarità.

Fra i pochi aspetti degni di nota del secondo episodio, poco interessante e godibile, vi è la questione della scuola per reietti, una delle scuole separate per ragazzi problematici che in Italia sono state superate grazie a importanti leggi sull’inclusione. Interessante come inizialmente tale scuola separata possa apparire assolutamente normale, anzi si è portati ad auspicare delle misure ancora più restrittive per quelli che appaiono, a prima vista, dei veri e propri mostri, secondo i consueti pregiudizi. Interessante, da questo punto di vista, la figura di fatto fascistoide dello sceriffo, quale degno rappresentante degli apparati repressivi dello Stato in un paese imperialista.

Con il terzo episodio vi è finalmente una svolta fondamentale nella serie, che la rende interessante e avvincente. Emergono delle questioni sostanziali, che riguardano la storia stessa degli Stati Uniti. Viene sviluppata una critica molto efficace al mito fondativo stesso del paese, cioè ai Padri pellegrini, di cui vengono mostrati quei lati oscuri di cui generalmente non si osa mai parlare. Emerge così che si trattava di fondamentalisti religiosi, sostenitori della famiglia patriarcale, al punto che le donne al di fuori di essa potevano venir condannate come streghe. Più in generale, il fondamentalismo con la sua intolleranza verso i diversi, i più deboli viene a ragione presentato come una forma di fascismo. Infine interessante è anche la figura del sindaco che, realisticamente, sostiene contro lo sceriffo fascistoide che la città dei sani vive grazie al college per i reietti e, quindi, vanno tenute a freno le pulsioni intolleranti. D’altra parte, è denunciato a dovere l’attaccamento al potere e la doppiezza tanto del sindaco, quanto della preside. Non convince molto l’inventarsi un’origine ancora più mitologica degli Stati Uniti, che rispetti l’attuale political correct. Anche perché si tratta di una soluzione non realistica, né verosimile e antistorica. Sarebbe sicuramente stato preferibile uno sguardo meno manicheo sui Padri pellegrini delle origini in cui emergessero, oltre ai limiti, anche gli aspetti progressivi.

Il quarto episodio mette da parte gli elementi sostanziali emersi nel precedente. Tuttavia la serie si mantiene, ciò nonostante, godibile, ben realizzata, avvincente e piacevole. L’unico aspetto significativo è l’attacco dei puritani fascistoidi alla scuola dei reietti, in cui emerge in modo ancora più chiaro chi sono le vittime e chi gli aggressori.

Il quinto episodio torna a rendere la serie piuttosto noiosa, principalmente per bambini. Si vede che la regia non è più di Tim Burton, in quanto l’episodio è decisamente meno avvincente dei due precedenti.

Nel sesto episodio la serie torna a essere godibile e alquanto intrigante, peccato che gli aspetti sostanziali finiscano completamente sullo sfondo.

Il settimo episodio ha delle trovate divertenti, è godibile ed emozionante, anche se le questioni sostanziali rimangono un pallido ricordo del passato e la serie torna a essere un prodotto di buona qualità dell’industria culturale rivolto, in primo luogo, ai bambini.

L’ottavo episodio conclude in modo emozionante e intrigante la serie, anche se gli aspetti inverosimili prendono il sopravvento, mentre gli aspetti di denuncia sociale lasciano il posto al lieto fine edulcorato per cui i gruppi dirigenti vengono riabilitati. Infine, la puntata riesce a dare una conclusione compiuta alla prima stagione e, allo stesso tempo, riapre questioni intriganti in funzione di una seconda stagione.

As We See It - Te lo racconto io di Jaffar Mahmood, serie su amazon prime in 8 episodi, commedia 2022, voto: 7-. Serie sulle problematiche dell’inclusione commuovente, divertente, godibile, ha il limite di non affrontare adeguatamente le problematiche politiche, economiche e sociali.

Ted Lasso terza e ultima stagione in 12 episodi della serie televisiva brillante statunitense creata da Bill Lawrence e Jason Sudeikis, voto: 7. La serie brillante più premiata, divertente e fondamentalmente progressista, è adatta a un pubblico anche di bambini. Per quanto sia molto difficile da tradurre, per quanto le serie comiche perdano molti riferimenti satirici alla società statunitense e britannica, si tratta di una serie che, nonostante si tratti di una commedia, non ha i tratti conservatori fondamentalmente tipici del genere. Il buonismo che la caratterizza ha un impatto significativo in una società sempre più incattivita e che tende a sdoganare, naturalizzandolo, il “cinismo da cretini”, a ragione stigmatizzato da Marx. Non si fa beffe come il post moderno dei valori universali, ma critica gli pseudovalori della società individualista e devastata dall’ansia di prestazione odierna.

Abbott Elementary è una serie televisiva statunitense creata da Quinta Brunson per ABC, che la trasmette dal dicembre 2021. In Italia la serie è distribuita su Disney+ come “Star Original”. La prima stagione è in 13 episodi. La serie ha ottenuto 4 candidature e vinto 3 Golden Globes, 4 candidature e vinto 2 Critics Choice Award, 2 candidature a SAG Awards, 2 candidature a Spirit Awards, 2 candidature a Writers Guild Awards, 1 candidatura a Producers Guild. Abbott Elementary è stata, infine, premiata anche a AFI Awards; voto: 6,5. Molto probabilmente la serie brillante più premiata dell’anno, non delude troppo le aspettative, se si parte con la consapevolezza del basso livello di questo tipo di serie, della difficoltà nella traduzione e del genere tendenzialmente conservatore della commedia. La serie è certamente piacevole e alquanto divertente. Inoltre fa satira sociale sulla disastrosa situazione delle scuole pubbliche nei quartieri poveri, in particolare in un paese ultra liberista come gli Stati uniti. I professori sono piuttosto verosimili e hanno alcuni tratti tipici e non sono rappresentati, come troppo spesso avviene, in chiave negativa. Fanno davvero paura, in primo luogo, il razzismo, per cui abbiamo una scuola disastrata frequentata esclusivamente da bimbi afroamericani, in secondo luogo spaventa il potere assurdo del preside che può licenziare su due piedi un insegnante e, in terzo luogo, la spaventosa arretratezza ideologica degli statunitensi anche giovani intellettuali che considerano eroici e super partes gli apparati repressivi dello Stato imperialista, mentre presentano come un tipo pochissimo raccomandabile e disgustoso un sindacalista un minimo combattivo

La serie si conferma divertente ed esprime posizioni giustamente critiche verso i dirigenti scolastici e verso tutte le pseudo innovazioni tecnicistiche e meritocratiche. D’altra parte, una seria comica che tende a ripetersi in più stagioni corre sempre il rischio di divenire mero intrattenimento, una gradevole merce culinaria, utile a evadere momentaneamente dalla drammaticità della vita reale. Anche se quest’ultima si affaccia, comunque, nella serie attraverso la denuncia del definanziamento della scuola pubblica, della svalorizzazione sociale del ruolo dei docenti, legata anche alla loro progressiva proletarizzazione dal punto di vista economico.

La struttura ripetitiva e senza reale sviluppo, tipica delle serie “brillanti”, le rende con il passare del tempo più noiose e meno godibili. In conclusione possiamo dire che, nonostante il livello decisamente basso delle serie brillanti, i riconoscimenti ricevuti da Abbott Elementary sono comunque eccessivi, anche se resta una serie piacevole che, comunque, difende l’importanza della scuola pubblica e rivaluta il ruolo sociale degli insegnanti.

Shrinking è una serie televisiva statunitense creata da Brett Goldstein, Bill Lawrence e Jason Segel, con Harrison Ford, commedia, Apple TV+, voto 6,5. Serie godibile, divertente e anche abbastanza emozionante. Approfondisce abbastanza bene i rapporti psicologici, ma non sfiora nemmeno le problematiche economiche, politiche e sociali. La serie si mantiene godibile, anche se emerge la componente tutto sommato conservatrice della commedia.

D’altra parte Shrinking si sforza, fra le righe, di introdurre elementi progressisti contro il razzismo, il machismo e la famiglia patriarcale.

Succession  è una  serie televisiva statunitense ideata da Jesse Armstrong e prodotta da Will Ferrell e Adam McKay, in Italia è trasmessa su Sky Atlantic, quarta stagione, la serie ha ottenuto 7 candidature e vinto 5 Golden Globes, 4 candidature e vinto un premio agli Emmy Awards, 3 candidature e vinto 2 Satellite Awards, 8 candidature e vinto 5 Critics Choice Award, 2 candidature e vinto un premio ai SAG Awards, 6 candidature e vinto 2 Writers Guild Awards, 3 candidature e vinto 2 Directors Guild, 2 candidature e vinto un premio ai Producers Guild, 1 candidatura a Bafta TV Award. La serie è stata premiata ad AFI Awards, voto: 6+. La quarta stagione illustra molto bene quali mostri e quali interessi privatistici spaventosi controllino l’opinione pubblica dei paesi occidentali, detenendo il sostanziale monopolio dei mezzi di comunicazione nei paesi a capitalismo avanzato. Peccato, però, che manchi un solo personaggio non corrotto fino al midollo dal grande capitale. In tal modo, si rischia di dare a intendere che gli uomini sono necessariamente e naturalmente dei lupi di borsa, dei pescecani o degli arrivisti disposti a tutto. Altro limite di questa, come delle precedenti stagioni, è che oltre all’ottima denuncia della forma delle imprese di Murdoch, nulla di significativo viene detto per denunciare gli spaventosi contenuti che media.

Il secondo episodio, mantenendo tutto lo scontro per il potere su un piano puramente formale, dove si scontrano esclusivamente diverse volontà di potenza, diviene insignificante e finisce con l’annoiare. Anche perché il cinismo della famiglia dei grandi capitalisti è ormai un dato scontato e non ci sono sviluppi di rilievo. In tal modo, la quarta stagione rischia di divenire superflua.

Il terzo episodio ha semplicemente la funzione di allungare molestamente il brodo. Il quarto episodio ritorna al ritmo standard della serie, sfruttando il funerale per far emergere ancora una volta il grado estremo di cinismo degli uomini più ricchi e potenti. Il problema è che in questo ambito sono tutti apparentemente uguali, dai più potenti ai più miseri arrivisti. In tal modo, i più ricchi e potenti divengono anche gli eroi, per quanto in senso negativo, con cui ci si dovrebbe, paradossalmente, impersonare.

Il quarto episodio, schiacciando tutto su una contrattazione per la cessione di un ramo di impresa, ha un impianto tecnico capzioso e noioso. Resta la realistica e critica rappresentazione del mondo del grande capitale finanziario.

Il quinto e sesto episodio hanno poco da aggiungere. Divengono sempre più noiosi e criptici anche perché, per non prendere posizione politicamente, i contenuti non emergono praticamente mai e tutto si svolge sul piano astratto della forma. Significativa resta la scena per cui l’ultimo figlio del tutto incapace, succeduto al vecchio boss della televisione, licenzia su due piedi una dirigente, semplicemente in quanto gli fa presente che l’appoggio sconsiderato alle politiche eversive della destra radicale statunitense andava ricalibrato.

Il settimo episodio diviene sempre più noioso, in quanto non può che stancare assistere alle bassezze, alle perversità e alla banalità del male delle classi dominanti senza avere nessuna possibilità di catarsi.

Con l’ottavo episodio finalmente la quarta stagione realizza qualcosa di nuovo e significativo. Per la prima volta, in effetti, emerge la manipolazione mediatica e la copertura ideologica, da parte di questi grandi imprenditori, della destra radicale e antidemocratica. Peccato che tale posizione viene presentata come determinata semplicemente dalla volontà di far saltare un accordo economico, piuttosto che come una impostazione di fondo dei media di Murdoch.

Il penultimo episodio è buono, si mostra bene tutta la miseria anche morale dei figli. Interessante la denuncia della memoria del grande capitalista testimoniata dal fratello, che mostra la possibilità di non allinearsi necessariamente a un mondo di squali. Significativa anche l’orazione funebre del secondo genito che diviene una sfacciata apologia del capitalismo e del fare i soldi come fondamento della società statunitense.

L’ultimo episodio non fa che esasperare ancora una volta i temi portanti della serie. La successione non può che essere un fallimento, in quanto le qualità non si trasmettono di padre in figlio. Perciò, l’unica cosa che possono fare gli eredi è o vendere e dedicarsi ad altro o divenire dei puri proprietari che vivono di rendita, non pretendendo di poter dirigere una grande azienda senza averne le doti. L’altro messaggio è che in un mondo come il nostro, cioè come quello in cui ci tocca sopravvivere, domina un sistema opposto alla meritocrazia, per cui i posti di comando vanno ai peggiori, in quanto obbediscono incondizionatamente al potere e sono disponibili a farsi manipolare in ogni modo. D’altra parte vi è il solito rischio di naturalizzare tutti gli aspetti negativi evidenziati, non presentando mai una reale alternativa.

Yellowjackets è una serie drammatica televisiva statunitense del 2021 creata da Ashley Lyle e Bart Nickerson, con Juliette Lewis e Christina Ricci, miglior attrice in una serie televisiva drammatica a Melanie Lynskey a Critics Choice Award 2022 e nomination miglior performance protagonista in una serie a Independent Spirit Awards 2023, nomination miglior sceneggiatura di una serie televisiva drammatica, prima stagione distribuita da Sky Atlantic, streaming on demand su Paramount+ per la seconda stagione, voto: 6+. Serie estremamente avvincente e godibile statunitense, con significativi scavi psicologici, anche se non lascia sufficientemente da riflettere allo spettatore. Già nel terzo e quarto episodio comincia a pesare il guilty pleasure, anche perché emergono i limitati mezzi a disposizione e le riprese troppo smaccate da Lost. Inoltre il thriller lascia troppo spazio all’horror con il suo irrealismo e irrazionalismo superstizioso. Il quinto e sesto episodio sono in linea con i precedenti, pur con pochi mezzi – si tratta infatti di una serie indipendente – riesce a mantenere a livelli molto alti la suspence, d’altra parte pur evitando cadute evidenti nell’irrazionale, accenna solo in modo indiretto alla questione economica e sociale.

Il settimo e l’ottavo episodio si mantengono al livello dei precedenti, anche perché la tendenza negativa verso gli aspetti irrazionali tipici del genere horror è controbilanciata dal tentativo di trovare una spiegazione razionale a eventi apparentemente sovrannaturali. D’altra parte, in funzione di una seconda stagione – di cui non si avverte il bisogno dal momento che, per quanto ben congegnata, la serie ha troppo pochi contenuti sostanziali da mediare – si corre il rischio di allungare troppo il brodo.

Negli ultimi due episodi vi sono dei significativi colpi di scena che rendono più controversi gli stessi personaggi principali, superando ogni manicheismo. Naturalmente nulla si chiude e risolve e tutto, o quasi, viene rinviato alla seconda stagione.

La seconda stagione, in cui la serie rinuncia alla sua indipendenza e viene sussunta dalla Paramount, si dimostra meno avvincente e realistica. Non mancano alcuni spunti significativi, come la posizione assunta dai candidati borghesi una volta vinte le elezioni, ma nel complesso la serie diluendo il brodo perde di incisività. Negli episodi tre e quattro la serie riprende parzialmente quota, senza però raggiungere i livelli della prima stagione. Vi sono spunti significativi, ma anche aspetti non verosimili. Gli episodi cinque e sei sono di discreto livello. Negli episodi sette e otto Yellowjackets improvvisamente, senza adeguate spiegazioni, introduce finalmente il sottofondo terribile, che è poi alla base di tutta la serie. La questione sempre rinviata viene, infine, esplicitata senza un adeguato sfondo di riflessione razionale. La seconda stagione si chiude in modo inverosimile e deludente. Si mira ad allungare il brodo per lanciare una nuova stagione di cui non vi è nessuna necessità.

Daisy Jones & The Six è una miniserie televisiva statunitense del 2023 creata da Scott Neustadter e Michael H. Weber, in 10 episodi, trasmessa su Prime, 3 candidature a Golden Globes fra cui miglior miniserie voto: 6+. Serie godibile nei primi e negli ultimi episodi, mentre gli episodi centrali sono più fiacchi. Certo il contenuto non è particolarmente significativo, si tratta della storia verosimile di una rock band. Tuttavia anche questa serie ha alle sue spalle un’industria decisamente efficiente ed efficace. Per cui i contenuti sono trattati in modo realistico, la tragedia prevede una catarsi all’altezza, non ci sono cadute ideologiche nel postmoderno.

Scissione (Severance) è una serie televisiva statunitense del 2022 di genere thriller e psicologico, è stata creata da Dan Erickson e diretta da Ben Stiller e Aoife McArdle. La serie è stata presentata in anteprima su Apple TV+. Scissione ha ottenuto 3 candidature a Golden Globes, 2 candidature a Critics Choice Award, 2 candidature a SAG Awards, 2 candidature a Spirit Awards, 3 candidature e vinto 2 Writers Guild Awards, 1 candidatura a Directors Guild, 1 candidatura a Producers Guild ed è stata premiato a AFI Awards, voto: 6+. Serie distopica che analizza nuove forme di sfruttamento della forza lavoro, mediante la completa scissione fra l’uomo privato impiegato nella riproduzione della propria forza lavoro e l’uomo che ha venduto la propria forza lavoro e che esiste solo in quanto capitale variabile

Gli episodi tendono a divenire sempre più noiosi e soporiferi, anche perché non è molto condivisibile trattare dello sfruttamento e dell’alienazione del lavoro salariato in modo irrealistico in una società distopica, mentre sarebbe molto più efficace, significativo e interessante mostrare in modo realistico cosa avviene oggi nelle imprese capitalistiche “normali”. La serie si ravviva andando verso la fine della stagione anche perché, per quanto sempre in modo irrealistico, non c’è solo la denuncia dello sfruttamento e dell’alienazione, ma anche il conflitto necessario a contrastarli, contribuendo alla lotta per l’emancipazione del genere umano. In effetti, i lavoratori salariati sono nella nostra epoca la classe universale in quanto lottando per la loro emancipazione particolare, contribuiscono in modo generale all’emancipazione del genere umano.

Pur con tutti gli aspetti antirealistici la lotta, per quanto limitata ad appena quattro lavoratori, contro un lavoro che porta alle estreme conseguenze sfruttamento e alienazione, non può che rendere avvincenti e significativi gli ultimi due episodi della prima stagione. Peccato che l’ultimo episodio sia costruito principalmente in funzione di lanciare la seconda stagione.

Boris di Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico, con Caterina Guzzanti, Carolina Crescentini, serie tv italiana 2022, commedia in 8 episodi su Disney+, voto: 6. Serie nei primi episodi sempre molto efficace e divertente, risulta un valido esempio di satira sociale e critica dell’industria culturale. Perciò è ostracizzata dal mondo dello spettacolo e, pur essendo nei primi episodi fra le migliori serie italiane, non riceve nemmeno una candidatura. La serie critica in modo efficace il politicamente corretto, il problema è che però, se non si individuano delle significative alternative, si rischia di portare avanti una battaglia di tipo populista, che rischia di favorire la destra. Anche la completa assenza di personaggi positivi rischia di far scadere la critica in pericolose generalizzazioni.

Purtroppo la serie perde sempre più quota fino a divenire insostenibile negli ultimi due, davvero inutili, episodi. Peccato perché se la serie invece di otto episodi fosse stata concentrata in quattro, sarebbe stata significativa. Allungando inutilmente il brodo diviene, al contrario, noiosa.

The bear è una serie televisiva statunitense creata da Christopher Storer, prima stagione in 8 episodi, distribuita da Disney+, candidata a miglior serie a Emmy, Critics Choice Awards e Golden Globe, in cui è stata premiata per il miglior attore in una serie commedia o musicale a Jeremy Allen White, oltre ad altre nomiation, voto: 6. Ottimo ritmo, sfiora tematiche abbastanza significative, anche se rischia di affermare il concetto per cui, in particolare nelle piccole aziende, i lavoratori oltre a essere sfruttati al massimo debbono autosfruttarsi.

Nella seconda parte della prima stagione la serie cresce trovando un giusto equilibrio fra gli aspetti comici e drammatici. Fra le righe emerge la condizione terribile della forza lavoro negli Stati Uniti, per cui l’impresa oggetto della serie diviene un luogo privilegiato dove si può lavorare e essere rispettati.

La seconda stagione mantiene il buon livello della seconda, senza però eguagliarne i picchi. Tutte le cose poco chiare della prima serie sono state, almeno in parte, risolte e, quindi, la serie pur mantenendosi gradevole perde almeno un po’ il proprio interesse.

Negli episodi dal tre al cinque la serie subisce una rapida e improvvisa decadenza per la necessità puramente commerciale di allungare il brodo e di rendere più appetibile la merce con famose Guest star. In tal modo, vi sono degli assurdi detuor del tutto gratuiti e inconcludenti, noiosi e inverosimili che fanno passare la voglia di continuare a vedere The bear.

Negli ultimi episodi la serie torna godibile e riprende il ritmo che la caratterizza. Restano i problemi di fondo, il fascismo inconsapevole con cui si interpreta, in senso neocorporativo, il mondo del lavoro, votato all’ultra sfruttamento di ogni momento della propria vita, per il sogno piccolo borghese del proprietario di divenire un padroncino. Così la serie diviene una apologia, inconsapevole, della gentrificazione, per cui a Chicago si chiude un esercizio votato a offrire ristoro ai proletari in pausa pranzo, per farne un locale di lusso.

The White Lotus, seconda stagione, serie televisiva statunitense creata, sceneggiata e diretta da Mike White, su Sky Atlantic, voto: 5. Dopo il grande ed esagerato successo della originaria miniserie, si è deciso di prolungarla con una seconda stagione. Rimane più o meno invariato il format, ma per il resto cambia quasi tutto, compresi i principali interpreti. La serie è meno thriller della prima e vira più sulla commedia. Anche le poche questioni sostanziali della prima serie, finiscono ancora di più in secondo piano nell’attuale serie. Gli stereotipi molto banali rendono la serie particolarmente indigesta al pubblico italiano. D’altra parte, The White Lotus mantiene un discreto ritmo e risulta, nonostante tutto, piacevole. La serie è tutta incentrata su rapporti sessuali un po’ in tutte le salse, configurandosi come un guilty pleasure.

Nella conclusione, cercando di recuperare qualche aspetto thriller della prima stagione, la serie si degrada con scene e personaggi inverosimili, conditi da una serie di pregiudizi e cattive generalizzazioni sugli italiani e i gay.

Bangla – La serie di Phaim Bhuiyan, Emanuele Scaring, commedia, Italia 2021, su Netflix e RayPlay, voto: 5. L’intuizione alla base della serie è anche significativa, mirando ad analizzare le problematiche dell’ambientazione di un giovane musulmano proveniente dal Bangladesh. In realtà, a tale proposito, era di fatto già sufficiente il film. Così la serie, dopo i primi due episodi, comincia ad annoiare non avendo nulla di rilevante da raccontare, evitando naturalmente di rappresentare gli aspetti più significativi e divisivi del contesto politico, economico e sociale.

Prisma serie televisiva italiana del 2022 ideata da Alice Urciuolo e Ludovico Bessegato, in 8 episodi su Prime, voto: 5. Serie che sembra fatta sulla base dell’intelligenza artificiale su cui ironizzava a ragione Boris 4. Diviene prevedibile e alquanto noiosa, anche perché per inseguire il politically correct finisce con il non avere nulla di significativo da comunicare.

Pam & Tommy miniserie televisiva del 2022, incentrata sulle star Pamela Anderson e Tommy Lee, nella serie interpretati da Lily James e Sebastian Stan, sulla piattaforma Disney+, in 8 episodi, nomination miglior miniserie Golden Globe e Choise Awards, voto 5-. Prodotto dell’industria culturale di mero intrattenimento, la serie è ben confezionata, ma troppo vuota di contenuti sostanziali.

Fleishman a pezzi (Fleishman is In trouble) miniserie televisiva statunitense creata e scritta da Taffy Brodesser-Akner, moltissime nomination, fra cui miglior miniserie Emmy, in 8 episodi su Disney+, voto: 4,5. Serie brillante, divertente, godibile, molto rapida e ben costruita. Al solito, l’industria culturale a stelle e strisce realizza merci di buona qualità formale, ma sostanzialmente prive di un reale contenuto sostanziale. Anche se qualche riferimento critico al potere del denaro e all’importanza del lavoro pubblico pongono la serie al di sopra della media.

Come spesso avviene negli Stati uniti le prese di posizione progressiste servono per meglio normalizzare il solito sostegno all’imperialismo occidentale. Inoltre la serie, dopo aver mostrato il suo lato smart nel primo episodio, tende a divenire sempre più soporifera non avendo nulla di significativo da aggiungere.

Mina Settembre seconda stagione in 12 episodi della serie drammatica televisiva italiana diretta da Tiziana Aristarco, con Serena Rossi, liberamente tratta da racconti di Maurizio De Giovanni. La serie è disponibile su RaiPlay, voto: 4,5. La serie tende a divenire un format piuttosto ripetitivo e noioso, per certi aspetti simile a una telenovela. Il poco di significativo da dire è stato già ampiamente esaurito nella prima stagione. Resta la valida ambientazione nei quartieri popolari napoletani e la significativa trovata di prendere come protagonista una assistente sociale che si occupa dei più deboli.

The Last of us serie televisiva statunitense ideata da Craig Mazin e Neil Druckmann, adattamento dell’omonimo videogioco in nove episodi, su Sky Atlantic, voto 4,5. Serie piuttosto noiosa, che non affronta nessun tema sostanziale.

Abbott Elementary seconda stagione della serie televisiva brillante statunitense creata da Quinta Brunson, 2023. La serie ha ottenuto 4 candidature e vinto 3 Golden Globes, 4 candidature e vinto 2 Critics Choice Award, 2 candidature e vinto un premio ai SAG Awards, 2 candidature e vinto un premio ai Spirit Awards, 2 candidature a Writers Guild Awards, 1 candidatura a Producers Guild, La serie è stato premiata a AFI Awards, disponibile su Disney +, voto: 4,5. La seconda stagione si rivela, come troppo spesso avviene, del tutto controproducente, non avendo nulla di significativo da aggiungere alla prima serie.

I pazienti del dottor Garcia serie drammatica spagnola, miglior serie televisiva straniera a Critic choice Awards, distribuita da Netflix, voto: 4+. L’ambientazione nella Guerra civile spagnola promette bene e anche per questo risulta decisamente deludente. Fatta male, da chi non ha senso storico e politico, male interpretata è quasi sempre inverosimile.

House of the dragon è una serie Tv statunitense di genere fantasy del 2022, ideata da Ryan J. Condal e George R.R. Martin. La serie ha ottenuto 2 candidature e vinto un premio ai Golden Globes, 3 candidature a Critics Choice Award, 1 candidatura a SAG Awards, ha vinto un premio ai CDG Awards, voto: 4. Vista l’incetta di premi, abbiamo deciso di costringerci a vedere tutti gli episodi di questa pessima serie, indubbiamente fra le più sopravvalutate. La serie, di genere fantasy, racconta una storia per bambini. Quindi è sostanzialmente insostenibile a un pubblico adulto, ma d’altra parte non adatta ai bambini per la crudezza della vicenda. La serie cerca di darsi un tono, affrontando un tema sostanziale come l’emancipazione della donna, ma lo fa nel modo peggiore e più reazionario. Nel caso specifico l’emancipazione da realizzare sarebbe quella di consentire a una donna di succedere al trono di una monarchia assoluta, in cui si organizzano matrimoni con bambine. Quindi, invece di mostrare come la lotta per l’emancipazione della donna non possa realizzarsi in una monarchia assoluta, dove di fatto nessuno è realmente libero ed emancipato, si fa credere che una donna che riesca ad assumere un potere di fatto dispotico, costituirebbe un passo sostanziale nell’emancipazione femminile.

La pessima trovata dei draghi si dimostra utile come metafora della moderna guerra aerea. Gli aspetti terroristici di quest’ultima vengono completamente occultati, tanto che i paesi del terzo mondo aggrediti imperialisticamente, sono presentati come abitati da crudeli selvaggi, identificati come animali e pirati. Mentre anche il personaggio decisamente più apertamente fascista, viene presentato come un del tutto irrealistico eroe in quanto schiaccia nella violenza la resistenza dei popoli del sud del mondo. Dinanzi a tali posizioni ultra imperialiste diviene risibile l’attenzione rivolta a criticare la violenza verso gli animali, senza contare che si tratta di un aspetto del tutto inverosimile rispetto all’epoca in cui è ambientata la vicenda.

La serie, che vorrebbe darsi un tono mettendo in scena la forma odierna della lotta per l’emancipazione della donna in un paese occidentale a capitalismo avanzato, appare del tutto fuori luogo rispetto al mondo medievale in cui House of the dragon è ambientata. Sanza contare che la serie è, in realtà, piena zeppa dei peggiori preconcetti maschilisti della odierna società patriarcale.

Il quinto e sesto episodio sono avvincenti, ma non hanno nulla di significativo da comunicare. Si dà per scontata una società ultra gerarchica senza mai accennare allo sfruttamento delle classi subalterne e ai conflitti sociali. Si tratta solo di congiure per il potere all’interno della classe politicamente dirigente, che pare essere anche la classe dominante dal punto di vista economico. Sembra che la serie voglia dare a intendere che esisterebbe esclusivamente la volontà di potenza che porta a un uso smodato della violenza più turpe senza un minimo di critica.

Si tratta, dunque, di una serie assurdamente sopravvalutata e tutta giocata intorno a intrighi di corte fra personaggi che spiccano solo per il cinismo da cretini e la crudeltà che li caratterizzano. Mancando una qualsiasi alternativa, la critica sociale della serie è sostanzialmente nulla. Anzi, portando gli spettatori a impersonarsi nei personaggi della corte, sembra naturalizzare il loro ottuso cinismo.

Gli ultimi tre episodi confermano l’impostazione di fondo: non esistono buoni o cattivi, in quanto tutti sarebbero cinici assetati di potere e mossi dalla volontà di potenza. Ognuno insegue nella serie le proprie piccole ambizioni individualiste, per cui si giustifica la concezione reazionaria irrazionalista e immorale della volontà di potenza quale fondamento della natura e della storia.

Surface è una serie di genere thriller e psicologico del 2022 girata negli Usa, voto: 4. Si compone di una stagione di 8 episodi. Serie molto hitchcockiana, è decisamente piacevole e alquanto interessante. Ben rifinita e recitata ha qualche aspetto di critica sociale e al patriarcato, con qualche accenno al razzismo. Certo il fatto che il personaggio positivo è impersonato da un poliziotto dimostra al solito lo sfondo fascistoide statunitense. La serie mescola sapientemente i temi di due celebri film di Hitchcock: Notorius e Vertigo.

Nel quarto episodio ci sono significativi colpi di scena che rendono la serie più intrigante, ma che potrebbero rimettere in discussione gli aspetti critici emersi nelle serie precedenti.

Nella seconda metà degli episodi la serie degenera progressivamente sino a divenire insostenibile, inverosimile, di fatto reazionaria.

La vita bugiarda degli adulti è una serie televisiva italiana diretta da Edoardo De Angelis, tratta dal romanzo omonimo di Elena Ferrante e distribuita internazionalmente su Netflix, voto: 4. Serie inverosimile e di bassa qualità, annoia ben presto.

Il commissario Ricciardi seconda stagione su Raypaly, serie gialla italiana del 2022, voto: 4. La serie si riduce a una cattiva copia de Il commissario Montalbano

Arcane è una serie animata statunitense, distribuita da Netflix, voto 4-. Per quanto ben confezionata, si tratta di una noiosissima merce dell’industria culturale statunitense, tratta da un video gioco. È stata considerata fra le migliori serie animate dell’anno, a dimostrazione che si tratta di un genere di bassa qualità e di un anno particolarmente oscuro.

Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer è una miniserie televisiva statunitense del 2022, basata sulla biografia del serial killer cannibale Jeffrey Dahmer, che terrorizzò lo Stato del Wisconsin tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. La miniserie, composta da 10 episodi, è dispobibile su Netflix, ha conseguito una nomination a miglior miniserie Golden Globes e Critic super, voto: 4. Serie francamente insostenibile, unico motivo di reale interesse è la implicita denuncia che la polizia, di fatto, per troppo tempo non ha fatto nulla contro questo spaventoso serial killer in quanto uccideva uomini delle classi e delle etnie più deboli, con tendenze omosessuali in quartieri ultraperiferici.

Mare fuori è una serie televisiva italiana prodotta da Rai Fiction e Picomedia, distribuita a partire dal 2020 da Netflix, miglior serie dell’anno ai Nastri d’Argento, campione di incassi, voto 3,5. Serie tv del tutto insostenibile, banalissima, fatta con i piedi, ultrascontata, piena di stereotipi anche razzisti, in tutto e per tutto simile a una telenovela, è veramente assurdo il successo di pubblico e di critica che ha incontrato. Veramente viviamo in tempi oscuri!

Lo scontro (Beef) è una serie televisiva statunitense del 2023 disponibile Netflix, commedia nera, nomination miglior miniserie, miglior attore, miglior attrice Emmy Awards, voto: 3,5. Serie tutta incentrata su una trovata, valida al massimo per realizzare un cortometraggio, ossia portare Duel alle estreme conseguenze, fino a renderlo comicamente paradossale.

Hunters è una serie televisiva statunitense del 2020, scritta e ideata da David Weil, giunta alla seconda stagione, voto: 3+. Come generalmente accade la seconda stagione è insostenibile, nel caso specifico diviene centrale l’elemento decisamente ambiguo della prima serie, per cui si pretende che ogni efferatezza da parte degli ebrei, nel dare la caccia ai nazisti, sarebbe giustificata.

Resta con me è una serie televisiva drammatica italiana trasmessa in prima serata su Rai 1, creata dallo scrittore Maurizio De Giovanni, diretta da Monica Vullo, nomination a miglior serie drammatica ai Nastri d’argento, voto; 3. Serie assolutamente insostenibile e fatta davvero male da ogni punto di vista.

05/01/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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