A volte si discute se il capitalismo avrà un futuro ma poi ci accorgiamo che, zitto zitto, si sta trasformando in imperialismo soprattutto in quelle aree che sono sotto l’influenza e il dominio diretto degli Stati Uniti o anche che facciano parte della sfera d’influenza della Cina. Questi due imperialismi presentano, ovviamente, caratteristiche diverse, ma la Cina certamente non è comunismo. Almeno non lo è come lo intendiamo secondo Marx, in quanto non cambia radicalmente lo stato delle cose presenti in quel paese e l’uguaglianza reale è soltanto una teoria ideologica che non produce diritti per tutti, come ad esempio quelli dell’alimentazione, una casa per tutti e la sanità disponibile per tutti con la reale cancellazione delle malattie che sono sempre in diffusione.
Siamo in piena fase delle guerre, obiettivamente anche come risultato soprattutto del continuo rilancio negli anni passati degli investimenti per le produzioni di armi e armamenti vari. Questo settore è oggi un mercato silente perché non c’è pubblicità di massa, ma è un mercato attivo, e a tutte le latitudini economiche-finanziarie, ma presenta una differenza rispetto ad altri settori. Il mercato delle armi proprio non pare che possa andare in crisi, almeno non a breve s’intende, e quindi si sta affermando anche una sorta di rassegnazione sociopolitica sempre silenziosa e oscurata dai media. Questo perché la guerra non la si vuole bandire in quanto conviene un po’ a tutti tranne purtroppo ai civili, che sotto i bombardamenti in pratica sono quasi gli unici a morire o restare feriti. Quindi i conflitti bellici vengono continuamente rilanciati, ma è chiaro che dobbiamo anche mettere in conto che c’è una crisi della diplomazia internazionale, la quale essendo complice non propone quasi nulla e si sta quasi azzerando.
Alessandra Ciattini, nota antropologa marxista, nel libro Semi di un mondo futuribile - Note sparse su alcuni problemi del nostro tempo, ci presenta un quadro molto articolato delle tematiche internazionali. Oltre a fornire informazioni di rilievo all’interno degli articoli, che compongono questo libro, analizza a vari livelli le ragioni delle crisi internazionali. Le prospettive per il futuro non sono buone e la pace è ormai un orizzonte lontano come nella striscia di Gaza che non è raggiungibile e di fatto si sta affermando che è un’utopia. Sappiamo bene che le guerre non risolvono le controversie tra gli Stati e sono soltanto la manifestazione dei fallimenti delle relazioni internazionali. Secondo me, il cuore delle crisi internazionali è soprattutto nella crisi di rappresentanza dell’ONU. L’Autrice nell’articolo l’ONU oggi serve a qualcosa? (pp.18-24) coglie uno dei nodi cruciali delle crisi internazionali. L’articolo è stato pubblicato l’11 novembre del 2022 e dimostra che l’ONU ha oggi una “funzione … puramente decorativa”. Purtroppo lo stiamo vedendo proprio in queste settimane con il conflitto tra Hamas e Israele, che è iniziato il 7 ottobre del 2023. L’ONU non riesce a bloccare il genocidio israeliano in corso nella striscia di Gaza nonostante chieda continuamente il “cessate il fuoco”, che non esiste neanche come prospettiva da parte d’Israele.
Quasi tutti gli articoli sono stati pubblicati sul settimanale La Città futura mentre il libro che li raccoglie è stato pubblicato da Multimage nel novembre del 2023. Il libro è corredato da una bibliografia e da alcune pagine che presentano la sitografia. Geraldina Colotti, nota giornalista, ci presenta un profilo politico dell’Autrice e traccia un quadro dinamico dei significati degli articoli, che sono 23, alcuni dei quali sono dei saggi. Scrive (p.7) che questi articoli, “forniscono … scritti in diversi momenti, altrettante chiavi per riflettere sulla crisi strutturale del modello capitalistico nelle sue principali articolazioni”. Ha ragione, ogni articolo presenta una chiave per approfondire. Come sappiamo il capitalismo non è in difficoltà e si sta evolvendo in imperialismo, al di là delle opinioni correnti, e naturalmente è ancora più pericoloso e nuove sciagure ci attendono.
Si segnala un interrogativo che merita di essere sottolineato: è realistica la transizione energetica o “ecologica”? L’articolo (pp.53-59) è stato pubblicato il 25 febbraio del 2023 ed è una recensione al libro Crisi o transizione energetica, di Stefano Fantacone e Demostenes Floros. Si tratta di un tema importante in quanto da parte dell’Ue è chiaro che si vogliono rompere i legami di dipendenza energetica con la Federazione russa, tema del quale si è discusso molto e i risultati come vediamo sono disastrosi a tutti i livelli in particolare per le bollette del gas ed energia elettrica. Alla fine dell’articolo l’autrice ci offre una breve sintesi (p. 58-59), che è la delineazione di un quadro delle possibili prospettive da non ignorare, in quanto il tema dell’energia non è stato per niente risolto al di là delle misure dei vari governi che, in Italia, sono state, come dire, al contrario, in quanto si è liberalizzato il mercato del gas che era tutelato e a luglio toccherà a quello dell’energia elettrica. Ecco cosa scrive l’Autrice: “la crisi energetica costituisce un’opportunità che ci dovrebbe indurre ad abbandonare l’attuale modello, non cercando semplicemente nuove tecnologie che ci consentano di passare alle fonti rinnovabili. Si tratta di una trasformazione più radicale che si deve dispiegare sul piano socio-economico, praticando la riduzione dei consumi inutili e abbandonando il modello economico crescentista; scelta che ci permetterebbe di mantenere i nostri livelli di vita, magari migliorando anche quelli degli altri, consumando solo il 10% dell’energia che consumiamo. Ossia, in altre parole. Mettere termine all’imperativo dell’accumulazione infinita”. Un esempio a riguardo è il fatto che si acquista il gas ad un prezzo, lo si conserva e quando i prezzi vengono maggiorati dal mercato lo si mette in distribuzione e si fanno così alti profitti.
Non è possibile trattare tutti gli articoli: sono 23. Hanno dinamiche diverse e presentano chiavi di interpretazione delle varie crisi internazionali. In pratica l’autrice tocca quasi tutte le aree mettendone in rilievo le problematiche sociopolitiche. Ad esempio, nella Russia la storia e la politica corrente s’intrecciano. Sappiamo che la Russia presenta oggi un quadro politico complesso ma l’autrice ci offre un contributo importante per comprendere come l’URSS è diventata nel secolo scorso Russia. Si tenga conto che l’URSS, come insieme dei fenomeni sociopolitici dalla rivoluzione di Ottobre, è stata di fatto rimossa dai politologi e, purtroppo, anche dagli storici. Vengono presentati due articoli sulla Russia: Dall’URSS alla Russia contemporanea (pp.151-160), pubblicato il 16 marzo del 2020 e La Russia è un paese imperialista? (pp.161-169). pubblicato il 23 aprile del 2022. Nel primo analizza il passaggio dall’URSS alla Russia contemporanea e il “contributo dato dal cosiddetto Occidente a questo processo”, evidenziando “che allo scioglimento del Patto di Varsavia non seguì quello della NATO”. Nel secondo si dimostra che la Russia non è un paese imperialista (p. 166); tuttavia penso che comunque sia oggi una potenza certo regionale, che ha però potenzialità economiche per diventare imperialista. Mi ha colpito come l’autrice ha posto quest’interrogativo: “Una prima domanda che dobbiamo farci è: quali sono le classi che stanno dietro questo processo?”. Ecco, questo è un punto importante del quale purtroppo non se ne parla quasi mai, e riguarda quelle classi che hanno distrutto l’URSS. Non sono soltanto i noti club dei conservatori russi ma anche quelle ampie aree sociali costituite da quello che è stato allora il ceto medio, formatosi tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta. Sì poiché la classe operaia, quando nel 1985 venne eletto Gorbaciov, non era più maggioranza assoluta nell’URSS, e da tempo. Questo non viene evidenziato nel quadro storico corrente dell’URSS. Si voglia o no, Gorbaciov ha rappresentato quelle aree sociali del ceto medio e dei conservatori conclamati che si erano formate grazie all’Occidente, che non volevano più essere comuniste e desideravano il libero mercato per arricchirsi. Purtroppo, ci sono riuscite in barba alla classe operaia, anche se, come sappiamo, questa si è opposta ma senza cambiare i processi politici di allora che sono stati veloci e gestiti dagli Stati Uniti insieme all’Europa. Comunque mi piace come l’autrice conclude questo articolo:"...la politica antistatunitense di Putin è tatticamente accettabile, ma assai diverso è il nostro giudizio sul piano strategico; giudizio espresso anche dal Partito comunista della Federazione russa. Ovviamente lo scatenamento della guerra tra Russia e Nato sta cambiando molte cose e la Russia, nonostante le sanzioni, sembra rilanciare il suo ruolo economico e internazionale. Grazie alle sue straordinarie ricchezze e anche all’abilità dei suoi leader politici” (p. 169).
In conclusione, l’ultimo articolo del libro, L’India avrà un seggio nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite?. Come sappiamo il 7 giugno del 2023 l’Assemblea Generale dell’Onu ha eletto l’Algeria, Guyana, Corea del Sud, Sierra Leone e Slovenia come nuovi membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza per il biennio a partire dal 1° gennaio 2024. Questi Stati si uniranno all’Ecuador, Giappone, Malta, Mozambico e Svizzera per rappresentare la componente non permanente all’interno del Consiglio di Sicurezza, di cui fanno parte anche la Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, unici detentori del diritto di veto in quanto membri permanenti. Nell’articolo si presenta un quadro politico che mette in evidenza perché l’India vuole far parte del club dei grandi del mondo. Qui c’è un fatto importante che ci riguarda. Per nostra abitudine, quando ragioniamo di neoliberismo, guardiamo all’Italia e all’Europa, ma spesso non rivolgiamo lo sguardo agli altri continenti. Il neoliberismo orientale fa veramente paura. L’autrice presenta un quadro drammatico per la sanità, che non esiste o non è fruibile per tutti, e il livello, anche con dati, delle povertà assolute. Ecco come conclude quest’articolo: “In definitiva, occultando il vero volto del suo regime sorto da antiche forme sanguinose di dispotismo orientale, l’India diventa ormai la quinta potenza mondiale, al posto della sua esangue metropoli, sta cercando di sistemarsi comodamente tra i grandi. Che ne verrà ai lavoratori del mondo? Difficile saperlo” (pp. 172-173). Si spera che almeno ai lavoratori dell’India cambi davvero qualcosa almeno per la sanità.