A Good American di Friedrich Moser Austria 2015, valutazione: 6,5/10
Il documentario, non a caso prodotto da Oliver Stone, ricostruisce la storia di Bill Binney, il “buon americano” del titolo, nato in un piccolo centro dell’America più profonda, in una famiglia che ha sempre combattuto, senza farsi domande, nell’esercito statunitense. Anzi, per questi semplici esponenti della “middle class”, combattere per il proprio paese è non solo “naturale”, ma uno dei fondamenti dell’eticità immediata, per cui il soggetto aderisce senza bisogno di riflettere ai costumi del proprio paese, nei quali si riconosce completamente. Ci collochiamo così a metà strada fra la banalità del male, analizzata da H. Arendt quale tratto distintivo di un regime totalitario, e la premoderna ingenuità di chi non ha ancora appreso il valore assoluto della libertà dell’individuo, non è ancora in grado di porsi per sé dinanzi alle leggi non scritte dello Stato in cui è nato e vive. Così l’individuo è immediatamente il cittadino fedele ai valori dominanti e, dunque, all’ideologia dominante nel suo paese. Al punto che per tali “valori”, di cui nemmeno sospetta la natura ideologica, è pronto all’estremo sacrificio: a uccidere o morire.
Bill Binney, però, ha una sensibilità più moderna dei propri antenati, non se la sente di combattere in prima linea e sporcarsi le mani direttamente con il sangue del nemico della patria, perciò preferisce partecipare alla aggressione imperialista del Vietnam, operando come analista dell’intelligence. Le sue eccezionali capacità di decodificatore, di critto-matematico sono dovute a una forma mentis che ha sviluppato al massimo le capacità analitiche dell’intelletto a discapito, però, dell’intuizione. La sua “naturale” capacità di decodificare un qualsiasi testo lo ha portato a un’eccezionale abilità ad analizzare ogni singolo elemento di un messaggio, senza comprendere la necessità di intenderlo criticamente, mediante la ragione negativa, e di contestualizzarlo all’interno di un mondo storico economico e sociale, quale determinazione particolare della Storia universale.
Proprio perciò Binney appare il funzionario modello di un regime totalitario, dal momento che compie con estrema precisione e abnegazione i compiti che gli sono affidati, mettendo pienamente a frutto le sue doti naturali. Da questo punto di vista gioca un ruolo importante all’interno della guerra fredda, riuscendo per primo a decodificare il linguaggio in codice del nemico. In tal modo, partendo dalla gavetta, diviene il Direttore Tecnico della National Security Agency (NSA) degli Stati Uniti. Binney è assolutamente convinto di star combattendo una giusta guerra e dalla parte giusta. L’altro, ad esempio il popolo vietnamita che si batte contro l’imperialismo, rappresenta il nemico, il male da debellare e questa è la missione a cui dedica tutto se stesso. Allo stesso modo non ha dubbi nello schierarsi contro il governo afghano che, insieme ai sovietici, combatte contro il terrorismo islamico, come non ha dubbi nel combattere quest’ultimo nel momento in cui opera contro gli interessi del proprio paese. Non vi sono dubbi, la propria nazione rappresenta il bene e chi lo contrasta il male. Perciò Binney non si fa alcuno scrupolo di dare un significativo contributo alla spaventosa guerra terroristica condotta dagli imperialisti per affermare il proprio dominio sull’Indocina o a fianco dei terroristi islamici che vogliono imporre in Afghanistan uno Stato teocratico, imponendo il burka alle donne e negandogli il diritto allo studio.
La sua ascesa all’interno dell’intelligence sembra l’ennesima conferma della validità del sogno americano. Uno sconosciuto provinciale, grazie alle proprie eccellenti capacità, frutto di una eccezionale abnegazione, arriva, senza nessun tipo di aiuto esterno, ad assumere un ruolo dirigenziale all’interno dell’intelligence. In tal modo Binney pensa di contribuire, nel modo migliore, al “destino manifesto” del proprio paese che, come sottolineato nel discorso di insediamento da ogni presidente degli Stati Uniti, è fondato sulla stessa infallibile volontà divina.
Più la sua influenza nella guerra fredda si accresce, più le sua capacità e i suoi sforzi, sebbene sarebbero di grande importanza per sconfiggere “l’impero del male”, non vengono presi in considerazione. Binney fa la dura, tragica esperienza del “cavaliere della virtù” che si batte vanamente con l’“uomo del corso del mondo”, per riprendere una celebre figura della hegeliana Fenomenologia dello spirito. Nonostante tutta l’abnegazione e il sacrificio personale per l’affermazione degli “ideali” del proprio paese, che considera universali, i suoi “geniali” suggerimenti per prevenire e, dunque, sconfiggere il nemico sono regolarmente trascurati dagli “uomini del corso del mondo” che conducono la guerra. Questi ultimi sono così convinti di essere dalla parte vincente, in quanto diretta espressione di quel corso del mondo, con il quale si sono schierati senza remore e al quale debbono il proprio successo e la propria carriera, che non prendono nemmeno in considerazione la possibilità che i nemici possano far deviare la storia dal destino manifesto del secolo americano. Così a Binney capita sempre più spesso di dover vivere la tragica esperienza di Cassandra, ovvero le sue previsioni, fondate sulla decriptazione dei messaggi in codice, sulle controffensive tanto dei vietcong, quanto dei sovietici, vengono sistematicamente trascurate dai comandanti delle forze armate, con conseguenze catastrofiche per queste ultime.
L’ideologia meritocratica, sviluppo in senso laico della concezione calvinista della predestinazione e dell’elezione divina, è in realtà autocontraddittoria. Sia che il successo dipenda da dio, o dal merito e dall’impegno individuale esso non può che misurarsi nella realtà. La presunzione soggettiva di essere l’eletto da dio, o di essere il meritevole deve oggettivarsi nella realtà storica. Per quanto la fede nella propria elezione o nei propri meriti indubbiamente favorisca il successo nella realtà storica, tale convinzione non può che alla lunga scontrarsi con la dura realtà delle profonde diseguaglianze economiche e sociali. Per cui, per quanto i subalterni cerchino di recuperare, grazie ai propri meriti e alla fede nel sogno americano, il proprio “naturale” svantaggio di partenza rispetto agli esponenti dei gruppi sociali dominanti, come Achille, nel celebre paradosso di Zenone, non potranno mai recuperare lo svantaggio iniziale, pur avendo come concorrente una tartaruga.
Tali contraddizioni non possono che condurre alla tragedia finale, che si rappresenta nel modo più evidente dinanzi al momento più tragico della storia contemporanea degli Stati Uniti: l’11 settembre. Dinanzi alle azioni militari, portare avanti dal terrorismo nella sua guerra asimmetrica contro “l’Impero americano”, si rivela decisiva la capacità di prevenzione, senza la quale diviene quasi impossibile sconfiggere la tattica del “mordi e fuggi”. Ritenendo naturali gli attuali rapporti di produzione e proprietà, non si può che mirare a controllare per poter prevenire gli attacchi terroristici. A questo scopo diviene decisivo il controllo della rete, attraverso la quale sempre più spesso passano le comunicazioni tra gli individui e, dunque, fra gli stessi terroristi.
Anche in tal caso l’attitudine conservatrice tipica di chi mira a difendere l’ordine costituito, accentuata dall’ideologia meritocratica, rende lenta e inefficace l’opera di intelligence statunitense. Anzi è proprio il controllo quasi assoluto della rete da parte degli Stati Uniti a rendere paradossalmente inefficace la prevenzione degli attentati terroristici. La sindrome orwelliana di un controllo totale delle comunicazioni non può che produrre un numero di dati necessariamente eccessivo e, quindi, incontrollabile anche per il servizio di intelligence più potente e finanziato del mondo.
Dinanzi a questo stallo, Binney con il suo staff sviluppa un sistema geniale in grado di selezionare i messaggi significativi. La fiducia sconsiderata dell’ideologia dominante nella capacità delle macchine di sostituire gli uomini aveva costretto i membri dell’intelligence alla fatica di Sisifo di analizzare l’immensa quantità di dati selezionati dai computer sulla base di semplici parole chiave. Binney comprende come l’unico modo per venirne fuori sia trascurare del tutto il contenuto dei messaggi intercettati e selezionati dalle macchine, mirando a ricostruire, mediante un programma, la catena di comando sottesa allo scambio di informazioni. In tal modo diviene possibile decodificare i soli messaggi veramente importanti, le comunicazioni dei vertici delle organizzazioni terroristiche, ponendo ogni loro mossa sotto controllo.
Sebbene si tratti di un sistema decisamente più efficace ed economico, è scartato dai vertici dell’intelligence a favore di un sistema enormemente più costoso e del tutto inutile nelle prevenzione degli attentati terroristici. Per quale motivo? Perché i vertici dell’intelligence sono scelti meritocraticamente selezionando i più potenti, ma questi sono evidentemente gli individui legati ai gruppi di interessi economici più potenti. Dunque, dinanzi, a un programma più efficace ed enormemente più economico elaborato da lavoratori internalizzati, non può che apparire preferibile un programma appaltato alle imprese private più potenti. Tali legami non possono che rafforzare le posizioni e la carriera dei dirigenti dell’intelligence, inoltre fanno aumentare in modo esponenziale i finanziamenti pubblici alle agenzie di spionaggio, proprio perché non riescono a prevenire gli attentati terroristici.
Così, grazie agli attacchi dell’11 settembre, prevedibili e neutralizzabili, grazie al programma di Binney, lo Stato si decide a finanziare il costosissimo programma appaltato dalle agenzie di intelligence, che per quanto inefficace ne aumenta in modo esponenziale il potere. Solo allora i vertici dei servizi decidono di ritornare al più efficace ed economico sistema elaborato da Binney. Una volta epurato dal meccanismo di oscuramento delle comunicazioni dei normali cittadini, inserito da Binney a tutela della privacy, tale sistema diverrà appetibile ai vertici dei servizi – guidati da uomini legati all’ideologia dominante per cui prioritario è sempre il profitto individuale. In tal modo, al controllo pressoché assoluto delle comunicazioni a livello internazionale – potenzialmente la maggiore fonte di profitto, in quanto consente ai venditori di conoscere i gusti dei consumatori e di indirizzarli mediante messaggi promozionali sempre più personalizzati – si aggiunge la possibilità di monitorare le comunicazioni dei vertici di qualsiasi organizzazione, sia essa un’impresa concorrente, o un governo straniero.
Evidentemente il contenuto del film è decisamente esplosivo, oltre a essere di grandissimo interesse, ma, nonostante l’impegno di Oliver Stone, è stato fruito da una ristrettissima minoranza, essenzialmente composta da cinefili. In tal modo anche A Good American pare condannato al tragico ruolo di Cassandra. Ciò è dovuto, in primo luogo, al controllo quasi assoluto che hanno le grandi imprese di distribuzione sulla fruizione di massa di qualsiasi contenuto, per cui pur non dovendo negare direttamente la libertà di espressione, essa è nei fatti limitata a contenuti che non mettono in discussione l’ordine costituito. In secondo luogo ciò dipende dal fatto che gli autori, anche per le scarse risorse a disposizione, hanno finito per concentrarsi quasi esclusivamente sui contenuti, senza minimamente impegnarsi nella ricerca di una forma adeguata, ossia altrettanto esplosiva e significativa. Così il documentario resta un’eccezionale occasione mancata, in quanto il contenuto potenzialmente rivoluzionario è quasi del tutto negato da una forma convenzionale. Essendo però l’opera reale, dunque necessariamente il frutto della sintesi di forma e contenuto, una forma conservatrice non può che attenuare moltissimo l’impatto di un contenuto, per quanto potenzialmente rivoluzionario possa apparire.