La manifestazione del 19 marzo ha portato in piazza migliaia di persone contro le privatizzazioni, gli sgomberi e il lavoro gratuito del DUP di Tronca e il ricatto del debito. Anche i movimenti per la casa, i sindacati di base, le precarie dei nidi comunali hanno risposto all'appello #RomaNonSiVende lanciato dalla Rete per il Diritto alla Città. Contro le logiche di Mafia Capitale e del Patto di Stabilità, le due facce della stessa medaglia neoliberista.
di Alba Vastano
In principio era "Roma Bene Comune", una vasta coalizione che nel 2012 scese in piazza insieme al movimento per l'acqua pubblica contro la giunta Alemanno che, in barba ai risultati del referendum dell'anno prima, voleva vendere ai privati delle quote di ACEA. La mobilitazione fu vasta e allargò la piattaforma ai temi della casa e del lavoro ma si arenò sullo scoglio delle elezioni quando parte di chi attraversò quel movimento appoggiò la lista di centrosinistra e un'altra parte cercò percorsi indipendenti e di opposizione anche all'opzione di Marino (poi rivelatasi disastrosa).
Oggi il percorso riparte forse da una consapevolezza differente. Dopo le affollate assemblee lanciate in questi mesi dalla Rete per il Diritto alla Città in risposta a sgomberi e sfratti, ordinati dalla giunta commissariale di Tronca (ma che trovano fondamento normativo nella delibera 140 approvata dalla giunta Marino), la partecipazione e i temi della mobilitazione #RomaNonSiVende si sono subito allargati.
Già nell'assemblea di lancio della manifestazione al Cinema Palazzo si parlava di una sfida più alta che sfuggisse alle strettoie di un dibattito subalterno alle composizioni elettorali con "l'ambizione di aprire nuovi spazi di decisionalità nei territori, di istituire nuove forme di autogoverno, di rompere la gabbia della coercizione imposta attraverso una processualità partecipativa e dal basso". E costruire "un percorso autonomo da qualsiasi candidatura elettorale, che sfiderà su un piano avanzato chiunque andrà al governo della città. Consapevoli che la fase emergenziale che stiamo vivendo non si chiuderà con il ritorno alla normalità, ma fornisce precise indicazioni, e rigidi vincoli, a chi verrà dopo", come recita il dispositivo del dopo-corteo.
Così il 19 marzo è partito un corteo importante per la Roma che grida dal "basso" rivendicando la ripubblicizzazione di acqua e servizi, i diritti al lavoro e alla casa sottratti ai più dalle politiche liberiste che hanno mal governato questa città sia nella variante mafiosa che in quella corporativo-clientelare. Un popolo stanco di soprusi, ma meno che mai arreso e demotivato, ha fatto esplodere la sua indignazione verso tutti gli attacchi delle giunte che hanno deprivato la città dei servizi sociali rendendola orfana della democrazia. Dietro lo slogan di "Roma non si vende" si sono mosse in questa direzione migliaia di persone.
Un serpentone che ha trovato il luogo d'incontro nella piazza meticcia di Piazza Vittorio per snodarsi poi lungo via dello Statuto, proseguire per via Cavour fino ai Fori imperiali e porre l'arrivo al Campidoglio, sede dei fatti e misfatti che hanno fatto collassare la città. Una manifestazione partecipata e plurale, ventimila persone a detta degli organizzatori, che ha visto l'aggregazione di molte realtà della Roma violata, emarginata, messa al bando dagli amministratori attuali. A starci dentro al corteo, fra slogan, musica, danze etniche, percussioni, cori di protesta, riaffiorano i ricordi della manifestazione del 28 febbraio 2015 contro Salvini.
Anche un anno fa c'era la stessa indignazione, la stessa sollevazione popolare. Una città che vuole invertire la rotta, che vuole resistere perché non devono essere i giochi politici a decidere, ma a decidere devono essere Roma e i suoi cittadini. Ma che poi non aveva avuto seguito. Oggi esiste un appello e un programma che sono netti, rivolti a chi per le prossime amministrative si è candidato a sindaco, vincerà le elezioni e siederà in aula Giulio Cesare. Roma è una città che vuole decidere del suo futuro, se ne convincano i prossimi amministratori perchè se questo movimento regge la sfida non ci saranno più "sponde" nelle amministrazioni a cui delegare le "vertenze". È la partecipazione diretta la vera sfida attuale.
Quali e quanti attacchi al bene comune e alla democrazia
Gli attacchi a questa parte della città sono arrivati direttamente dagli ultimi sindaci - dalle giunte comunali Alemanno prima, Marino poi e dal prefetto Tronca ora - mettendo in atto un programma pienamente neoliberista, in coerenza con le politiche di maggioranza del paese. Un condensato di privatizzazioni e speculazioni. Attacchi agli spazi sociali con la delibera 140 e con il piano di austerità e di privatizzazione contenuto nel DUP (documento unico di programmazione) firmato da Tronca e preparato dalla giunta Marino.
Nella Capitale tutti gli spazi sociali indipendenti rischiano di essere smantellati dalle taglienti cesoie del neoliberismo per essere venduti "un tanto al chilo" sui banchi del libero mercato. Non ci saranno più spazi sociali liberi. Tutto verrà privatizzato e commercializzato, sottratto alla comunità resistente per favorire quel mercato che fagocita il bene di tutti. L'acqua, la casa, la cultura, la sanità, l'istruzione sono costantemente colpiti dalla mannaia dei tagli per essere trasformati in prodotti di mercato gestiti dalle incoscienti mani di un governo di polizia che tutto riconosce tranne i diritti dei cittadini. Roma è stata espropriata di spazi e beni comuni. Eppure più che mai, proprio oggi nasce dal basso l'esigenza di riappropriarsi di questi spazi.
Nascono ovunque collettività sociali come comitati di lotta, picchetti antisfratto, opposizione ai distacchi di ACEA, e poi autogestioni lavorative, orti urbani, gruppi d'acquisto solidale, cucine popolari, progetti "Creative commons", modalità baratto. Su queste forme comunitarie oggi più di ieri si accanisce la mano dell'amministrazione pubblica, invece di riconoscerne la validità sociale e garantirne lo sviluppo e l'organizzazione. Quella del riappropriarsi degli spazi metropolitani è oggi una sfida per i diritti e per l'autonomia in una città ingovernabile da amministratori che impongono le logiche del ricatto del debito per difendere i profitti di pochi sopra i diritti e i salari della maggioranza.
Gli attacchi alle maestre degli asili nido che da mesi lottano contro la precarietà, ai dipendenti dei canili municipali, al diritto alla casa con i continui sgomberi alle occupazioni di case vissuti tragicamente da quella porzione di popolazione che viene emarginata e non riesce a garantirsi un salario e una casa. Attacchi agli operatori dei servizi di trasporto, alla sanità, al diritto di accesso all'acqua. Roma è una città invivibile, non c'è posto e non c'è spazio per chi ha già una vita disagiata ed è costretto a condurre una vita grama.
Attacchi agli immigrati che non vengono né integrati, né inclusi. E spesso per loro c'è solo il "ghetto", soprattutto perché hanno il drammatico problema dell'abitazione. Vengono convogliati presso centri di accoglienza lager, in spazi urbani dove vengono lasciati alla mercé della rabbia causata dall'emarginazione nel tessuto sociale della città. Succede ovunque, succede a Roma nei quartieri più popolari, perché è la stessa economia urbana a suddividere i cittadini per classi.
Succede quando vengono represse le forme di democrazia diretta e dove lo stato di diritto muore. Ed è facile, ma disonesto, colpire i più deboli.
Slogan e sigle
Lo slogan della manifestazione è diventato subito virale: "Roma non si vende". Nasce sul web e corre fra i network. Appare ovunque con gif e immagini che rappresentano personaggi noti della Roma popolare e semplice alla Rugantino. E appare la sora Lella con "Venderesti tua nonna?". E la lupa del Campidoglio: "Venderesti tua madre?". O "Venderesti tuo fratello?". E ovunque negli striscioni "Decide Roma Decide la città". I bambini, i figli e il futuro della "città di sotto" aprono il serpentone colorato. Il camion degli organizzatori spinge la manifestazione con i rappresentanti della Rete per il Diritto alla Città e dei centri sociali sotto sgombero che in queste settimane hanno promosso assemblee e mobilitazioni preparatorie. Così come il CRAP con lo slogan storico "L'Acqua è un diritto e non una merce" e che a via Cavour srotola un avviso "Giù le mani dall'Acqua" per la giunta PD della Regione Lazio che non dà attuazione alla legge di iniziativa popolare.
E dietro, tutta la città ribelle ha risposto presente. Non c'è più distinzione tra promotori e partecipanti. Un piccolo fiume di striscioni per un popolo di manifestanti che non abbassa la testa, ma reclama quello che gli spetta. È la Costituzione a prevederlo sulla carta, ma è il senso di giustizia sociale a cercare di imporlo con la lotta. "L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro…". I lavoratori dei canili e le maestre occupano le strade e sventolano lo striscione contro la precarietà.
E poi "La casa è un diritto" e "Stop, sfratti sgomberi e pignoramenti" del Diritto all'abitare e dei comitati case popolari. "Contro le speculazioni e la povertà, rigenerare la città". Presenti anche USB, Rifondazione Comunista, Cobas, Action, Asia, Usi. Importante la presenza dei "NoTriv" per dire "Sì" al referendum del 17 aprile.
È ormai sera quando il serpentone si snoda sotto la lupa capitolina e giunge a ringhiare gli slogan al Campidoglio. Roma ha una luce sublime al tramonto. Sembra intoccabile questa città con quell'aura di eterno che la sovrasta. A contrastarne l'immagine che sa di sacrale, troneggia in bella mostra, dal camion dei deejay in sosta, la più profana gigantografia di Jeeg Robot, il nuovo mito della "Roma Suburra". La musica spacca i timpani, mentre i manifestanti arrivano a destinazione. L'impegno comune è che questa volta a salvare Roma saranno loro, saremo noi. Perché è la stessa storia a mostrarci e ad insegnarci che tramite i beni comuni gli uomini hanno organizzato la loro esistenza "in secula...". E sulle tracce della storia dell'umanità, prima o poi il percorso giusto si trova.
Se questo obiettivo ambizioso sarà raggiunto o si esaurirà non possiamo saperlo, ma la partita è aperta. Prossima tappa le assemblee territoriali per diffondere il percorso nei quartieri della città.