“Per avere consapevolezza del presente, occorre conoscere il passato per poter poi anticipare le trasformazioni del futuro” (Usb-Settore telecomunicazioni)
Anche se si è vista solo la punta dell’iceberg, riguardo l’insofferenza dei lavoratori, il 27 maggio a Roma c’è stata un’importante protesta, partita dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali di base di Alitalia. E’ la risposta al ricatto aziendale ed ai 2000 licenziamenti programmati, ma fatta propria da tante realtà del mondo del lavoro, contro l’arroganza padronale e le politiche di un governo che continua ad ignorare le richieste dei tanti lavoratori licenziati in diverse attività produttive capitoline e che non riconosce in alcun modo le forze sociali e sindacali. Sempre più numerose sono le vertenze aperte da chi viene messo sotto il ricatto di accettare un lavoro sottopagato, privo di ogni tutela o venire espulso dalla produzione.
Per tali motivi i lavoratori di tante realtà sotto scacco sono scesi in piazza il 27 maggio, più uniti e più agguerriti che mai, in risposta alla devastazione dei diritti e ad una perdita di posti di lavoro che nella capitale è ormai gigantesca. A Roma hanno sfilato, dal Colosseo fino a raggiungere Piazza Santi Apostoli, molte rappresentanze con i loro eloquenti striscioni. Dai lavoratori Alitalia che hanno detto No al ricatto aziendale agli Autoconvocati Clat Tim, con il bavaglio nero, a indicare quanto accaduto a Riccardo De Angelis. Dagli ex Almaviva del Comitato 1666 ai lavoratori di Sky, sotto attacco e a rischio trasferimento/licenziamento. C’è anche Aci informatica (ndr, dove si parla di 600 licenziamenti), una delegazione degli autoconvocati scuola in lotta contro la chiamata diretta e la cancellazione delle graduatorie, una dell’Ilva, della Piaggio e del Gse, fino agli scontrinisti della biblioteca nazionale di Roma.
Tantissime realtà auto-organizzate e consiliari di lavoratori in lotta che da settimane stanno sperimentando possibili percorsi di unità nelle lotte attraverso il coordinamento lotte unite di Roma e che hanno marciato nel corteo convocato dalle organizzazioni sindacali di base.
Molti i punti di programma e l’analisi comune fatta dai lavoratori delle diverse realtà. Ci si oppone alle esternalizzazioni, alla cancellazione di diritti sotto il ricatto del licenziamento (ndr,come avvenuto in vicende come Alitalia o Almaviva), alla “meritocrazia” utilizzata come grimaldello per dividere la classe, ai licenziamenti collettivi di tanti lavoratori romani, fatti da aziende che continuano a fare robusti profitti.
Una classe operaia che non è andata in paradiso, ma che è scesa con convinzione in piazza, per opporsi in primis al Jobs act, la legge responsabile dell'arretramento complessivo di tutta la classe lavoratrice. Una legge che manipola e strumentalizza a favore del capitale le norme degli ex articoli 13 e 18 e che riduce la dignità del lavoratore, disumanizzandolo. Rifondazione comunista, il Pc di Rizzo ed altre organizzazioni di ispirazione marxista hanno accompagnato il corteo facendo la loro parte per la riuscita della manifestazione. Le lotte per il lavoro al primo posto.
È importante ragionare sull’origine del problema, su ciò che nel tempo ha permesso si arrivasse ad una tale devastazione. Ponendo l’attenzione su una serie di importanti passaggi precedenti, si evince che nell’ultimo periodo la situazione si sia involuta attraverso alcuni accordi e leggi su cui dovremo concentrare necessariamente la nostra azione di lotta:
Accordo interconfederale - 28 giugno 2011
La contrattazione collettiva: rappresentatività e effettività. L’accordo viene siglato fra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, ma stride con il sistema costituzionale che sancisce la libertà dell’organizzazione sindacale (art. 39). Inoltre entra in conflitto con l’art. 14 della L.300/1970 che recita “Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all'interno dei luoghi di lavoro”. L’accordo non risolve quello che dovrebbe, ovvero l’esigibilità, l’applicabilità e l’estensione soggettiva. È valido solo per gli iscritti alle sigle sindacali che lo firmano, escludendo di fatto i non iscritti o gli iscritti ad altre organizzazioni.
Inizia la fase della complicità con il governo, fase che toglie forza alle organizzazioni sindacali fuori dall’accordo, ma impoverisce anche quelle confederali che non rispettino le linee concordate. Inizia anche la contrattazione di secondo livello, con deroghe al contratto nazionale, in senso peggiorativo.
Legge di stabilità. Legge 148 – articolo 8
Succede dopo la lettera della Bce. Draghi e Jean Claude Trichet invitano Berlusconi, allora premier, a fare le riforme. Tagli immediati sulle pensioni, sul lavoro e sul welfare. L’Eurozona è in crisi, questo dichiarano a motivazione. Sacconi, allora ministro del lavoro, di fronte alla pressante richiesta di flessibilità da parte della troika al servizio del capitale, corre ai ripari e introduce nella legge 148, l’articolo 8 che può modificare la contrattazione collettiva di 2° livello, così come stabilito nell’accordo interconfederale. “.. le specifiche intese raggiunte a livello aziendale operano anche in deroga alle disposizioni di legge e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”
Riforma del lavoro Fornero e Jobs act
Sotto il governo Monti, Elsa Fornero è il ministro del lavoro e delle politiche sociali. Non le ci vuole molto a fare più danni possibile sul lavoro e le pensioni. Ha il coraggio di mostrare le sue false lacrime ai media. La sua proposta di legge, approvata, è così denominata “Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”. È il primo pesantissimo attacco all’articolo 18, legge 300 dello Statuto dei lavoratori, che avviene modificando la legge che imponeva il reintegro del lavoratore ingiustamente licenziato, nelle aziende con più di 15 dipendenti. Con la Fornero il reintegro potrà avvenire solo in pochissimi casi.
Con il Testo Unico della rappresentanza, del 10 gennaio 2014, viene abolita la rappresentanza dei sindacati che non accettano la complicità con il datore di lavoro/padrone. Inizia una sorta di dittatura sindacale da parte della Cgil, Cisl, Uil e Ugl. I lavoratori non possono scegliere i propri delegati, in piena violazione di quanto recitano gli articoli 2, 3 e 39-1°comma.
Durante il governo Renzi, nel 2014, Poletti riprende il testo Fornero, lo modifica e crea la legge n. 34. Nasce dunque da Poletti, in accordo con Renzi, quel mostro che è il Jobs act.
Viene sostanzialmente sepolto l’articolo 1 della Costituzione. “Il lavoro non è un diritto” secondo il duo Fornero/Poletti. E si dà il via alla risoluzione del problema opposto. Ovvero, non come fare per creare posti di lavoro, ma come fare per licenziare il lavoratore o soggiogarlo, ricattandolo. La legge che mette mano a tutto l’impianto dello Statuto dei lavoratori, a partire dai già citati art.13 e 18, con reintegra sostanzialmente cancellata se non per indimostrabili motivi discriminatori, trasformando le garanzie e la rigidità in flessibilità estrema a favore degli imprenditori, è amata da tutto il mondo padronale ed è subito odiata, per giustificato motivo, dal popolo dei lavoratori.
Che fare?
Lo stato delle cose per la classe lavoratrice è oggi deprimente. I licenziamenti delle ultime settimane, la devastazione del lavoro a Roma e nell’intero paese, i ricatti continui fatti dalle aziende ai lavoratori che non piegano la testa di fronte all’arroganza aziendale, sono lo specchio della condizione attuale e dei rapporti di forza che si sono creati. Un arretramento avvenuto con la colpevole accondiscendenza della maggior parte delle burocrazie sindacali, tese a fare i propri interessi, a salvaguardare le proprie strutture, ma assolutamente remissive di fronte a questo terribile attacco. L’attacco all’articolo 18 portato ai lavoratori dal governo Berlusconi solo pochi anni fa, nel 2002, fu respinto dalla CGIL che portò 3 milioni di lavoratori in piazza. Contro la riforma Fornero ed il Jobs act di Renzi non è stata fatta un’ora di sciopero. La differenza è evidente e le responsabilità precise.
Nelle condizioni attuali i padroni stanno affondando la lama nel burro, al punto che diventa difficile affermare che esiste ancora qualche diritto. Un’unica soluzione è possibile: costruire l’unità dei lavoratori e strutture consiliari autoconvocate che garantiscano una nuova e reale rappresentanza dei salariati, in grado di superare e dare la scossa alle burocrazie delle organizzazioni sindacali silenti. È oggi questa l’unica possibilità che abbiamo per tentare nel tempo di smantellare le riforme messe in atto da chi per mantenere il potere in politica acconsente ai diktat della Bce e dei Trattati europei. È nella consapevolezza del presente e nella piena conoscenza del passato che tante realtà auto convocate, il 27 maggio nella Capitale hanno deciso di unirsi e manifestare. E che continueranno ad organizzarsi in modo unitario nel coordinamento lotte unite.
Un segnale importante da parte di una nuova classe operaia che solo auto-organizzandosi, come già accaduto nel ‘21 e negli anni Settanta, potrà tentare di costruire un movimento in grado di cambiare lo stato delle cose presenti.