Con il 35% il M5s pronto a governare la capitale, ma sarà il ballottaggio a decidere fra Raggi e Giachetti. I confronti con le amministrative del 2013 evidenziano un pari astensionismo e una debacle del Pd, che vince solo nel primo municipio e ai Parioli. Esclusa la Meloni, fuori Marchini con il 10,97%. Fassina fermo al 4,48% quando nel 2013 Sel, da sola, prese il 6,25%.
di Alba Vastano
Roma, 5 giugno. Una domenica davanti allo schermo per seguire exit poll e le prime proiezioni a urne chiuse e spoglio in corso. Fino alle quattro del mattino, resistendo al sonno con Mentana, anche ironico per l’occasione, in collegamento con i comitati delle liste dei comuni più grandi. Delle grandi città in cui si vota per il sindaco, Roma è la più clamorosa e sorprendente nel rush finale dello spoglio. Pd, in barba alle previsioni rosee, sotto la Meloni. Di poco, ma basta per mandare in tilt il comitato romano di Giachetti. Quell’1% di scarto fa stare in fibrillazione i piddini convinti, ma si salva in corner con la rimonta di 4 punti di percentuale. Andranno loro al ballottaggio con la dea Raggi,ormai divina per i suoi elettori. Resta in panne la Meloni, a prendersela con l’ormai obsoleto Berlusca, per non aver voluto unificare le liste.
Con quel 35% e passa le 5 stelle sono diventate una miriade, pronte ad illuminare la capitale per il tempo della nuova amministrazione.
“Cautela” dice la parlamentare Roberta Lombardi, stellata del terzo municipio. La deputata grillina a digiuno della Costituzione (non era lei a non conoscere l’art. 83 che norma l’elezione del presidente della Repubblica? ndr). Stavolta, però, ha ragione. Le 5stelle dovranno affrontare il ballottaggio del 19 giugno prima di esser incoronati nuovi amministratori capitolini. È lunedì, 6 giugno, e Giachetti, politicamente ottimista, è ovunque ci sia uno schermo. “Non è una débacle. Roma è ancora possibile averla”.
Ma è anche politicamente scorretto, quando nella conferenza stampa dichiara che lui farà questo e la Raggi no, poi farà quest’altro è la Raggi no… e si sbrodola nel suo progetto Olimpiadi che, se realizzato, taglierà altri fondi ai servizi sociali, già inesistenti e darà il via libera a nuove cementificazioni. Lo stile è sulla falsariga del suo “capo” che ha trasformato in sfida personale qualcosa da cui dovrebbe tenersi alla larga: la Costituzione. “Se non vince il Sì me ne vado”, alludendo al referendum di Ottobre. Fanciulli viziati e presuntuosi.
Numeri, candidati e preferenze a confronto con le amministrative 2013
Alla fine, quali i risultati di questa prima tornata? Quanti gli elettori romani chiamati a scegliere il sindaco e quanti hanno dato il voto? Quali le percentuali alle diverse liste e dell’astensionismo?
Su 2.363. 444 elettori hanno votato 1.327.445, ossia il 56%. Degli aventi diritto minima la differenza con le amministrative 2013, quando al primo turno hanno votato 1.245.927 su 2.359.119 aventi diritto, quindi il 52,81% . Dati infine irrilevanti, nonostante l’astensionismo importante, che hanno inciso relativamente sui risultati. Quindici i candidati sindaco rispetto ai 19 del 2013. Per le liste siamo a 37 del 2016 invece delle 45 alla precedente tornata delle amministrative. I grandi numeri che fanno il valore discriminante sugli esiti e che hanno portato in pole position i grillini sono le preferenze ai cinque candidati di maggior rilievo in queste amministrative.
Esplosione del M5s che si assicura il 35,5 % delle preferenze, triplicando il 12, 44% del 2013. Débacle per il Pd romano, votato soprattutto nei quartieri “ricchi” come il primo municipio e i Parioli (un dato significativo, ndr) che si ferma al 24,87%, superando alla fine il 20,47 raggiunto dalle liste della Meloni. Un Marchini con i berlusconiani ridotti a quel 10,97% che lo fa uscire decisamente di scena. Chiude ai minimi termini, ma era prevedibile anche dai sondaggi, Fassina che con il 4,48 non va da nessuna parte. Questa Sinistra per Roma, nel cui calderone sono entrati Sel, Prc e ex-Pd, ha lasciato a bocca asciutta tutti i candidati sia per la Lista civica che per Sinistra per Roma. L’unico eletto sembra sia Fassina stesso che dichiara di volersi tenersi sia il posto in consiglio comunale che quello di parlamentare.
Questa batosta influisce anche sulle inquietudini e sulle controversie all’interno di Sel che da sempre occhieggia al Pd. Considerando anche che alle amministrative del 2013, la lista vendoliana, correndo da sola aveva raggiunto il 6,25%. Sconcerto anche per Rifondazione, al lumicino della speranze per una rinascita della sinistra radicale, piegata anche dalle precedenti sconfitte elettorali che l’hanno vista perdente in un quinquennio con la Lista Ingroia, Repubblica Romana e nella costruzione del progetto L’altra Europa per Tsipras.
Raggi e Giachetti, verso il ballottaggio
La palla del secondo turno passa alla Raggi e a Giachetti che tenteranno l’impossibile per assicurarsi il Campidoglio. Pochi giorni per convincere gli elettori dispersi, ma ci si contenderà anche gli orfani della Meloni, di Marchini e di Sinistra per Roma. Di strategie per convogliarli nel loro contenitore ne stanno già mettendo in campo evidenziando ciascuno le proprie priorità e il meglio programma per Roma. “Il vento sta cambiando” dice giuliva la candidata romana, forte degli esiti del primo turno. E a chi la accusa di essere prona a Grillo risponde “Scelgo tutto io, anche gli assessori, non Grillo”.
Per i primi 100 giorni da sindaco non ha programmi preconfezionati perché “Un sindaco resta in carica per 5 anni. Utilizzerò esperti di competenze e estrazioni diverse” (e per l’urbanistica si fa già il nome di Berdini, ndr). Forte del risvolto favorevole della prima tranche quasi s’insuperbisce affermando: “Gli elettori ci hanno scelto. È stata riconosciuta la nostra competenza e la nostra credibilità”. Davvero grintosa, forse a volte spocchiosa, sicuramente dotata di fantasia, specie quando spiega il suo progetto per la funivia romana e il baratto per il rilancio dell’economia. Quel No alle Olimpiadi, di cui si fa forte per assicurarsi i voti al ballottaggio, rispetto al suo antagonista glielo dobbiamo riconoscere. Roma ha bisogno di ben altro e le emergenze non sono queste.
E Giachetti come tira acqua al suo mulino? Si vanta intanto della sua storia “radicale”, della sua esperienza in politica, rispetto all’inesperienza della sua contendente. Si vanta di essere autonomo e indipendente da Renzi nelle scelte (ma qui si presume abbia avuto un vaneggiamento, ndr) e di avere già pronta la squadra di assessori. Afferma che con le sue agognate Olimpiadi aumenteranno i posti di lavoro sulla Capitale e dice che il Pd a Roma non ha perso, perché troppo si è fatto dopo “Un passato che pesa, dopo Mafia capitale e Marino”. Ottimista per copione, afferma“La partita del primo turno elettorale non è persa è solo chiusa ora ne comincia un’altra. Ora si azzera tutto. Io me la gioco fino alla fine”.
Riducendo il progetto di salvare la città a una partita di calcio e al raggiungimento della Champions League. E corre dietro alla Raggi con la speranza di un confronto diretto in tv. “Se la Raggi non ha paura di perdere, facciamo il confronto e vinca il migliore”. A Giachetti, è impossibile non contestare di essere un fiero paladino dell’Italicum e di essere un fedelissimo di Renzi nonché di aver votato la privatizzazione dei servizi locali del decreto Madia. Con lui quali chance per la rinascita di Roma, quindi?
Roma attende il 19 giugno. Una città in pausa quindicinale di riflessione prima di tornare alle urne. Chi per confermare la scalata, vicina alla vetta, della pentastellata. Chi reduce dalla sconfitta Meloni-Marchini sceglierà se arricchire il contenitore Giachetti o optare per il nuovo a 5stelle (si voicifera già di una convergenza per il candidato Pd dei berlusconiani, ndr), visto che le precedenti amministrazioni di centro destra e centro sinistra hanno lasciato una città allo sbando. E vada come vada, tanto al peggio non c’è mai fine” (ndr: vox populis). Chi si asterrà che tanto l’astensionismo è ormai prassi. Chissà chi, reduce dal 4,5% di Fassina con l’ennesima sconfitta di una sinistra incongruente e senza identità chiara, opterà per il voto “utile” perché a Roma scompaia il peggiore (il Pd) e le sue tracce.
Intanto tra le forze politiche ancora in campo per Roma e quelle sconfitte al primo turno inizia il gioco strategico degli apparentamenti. Così tanto per confermare l’incoerenza e che a Roma un sindaco, se non ha il coraggio delle scelte giuste, non potrà più esserci o durerà poco. L’espulsione di Marino, docet.