E’ un fatto comunemente accertato che in Europa ed in Italia stiamo entrando sempre di più in un'economia totalmente incentrata sulla guerra. Il conflitto in Ucraina, ed ancora di più quello in Palestina e nel medio oriente coinvolgono – direttamente o indirettamente – sia la classe dirigente che l’intera società civile. Se la classe dominante, la totalità dei media, le strutture militari e la gran parte dello schieramento politico-istituzionale tenta in tutti i modi possibili di giustificare o di minimizzare il genocidio israeliano sui palestinesi, una parte consistente della popolazione – a partire dalle giovani generazioni, -riconoscendo la brutalità e la disumanità degli attacchi sionisti, esprime contrarietà rispetto a questa carneficina. Su questo tema ci troviamo di fronte ad una drastica perdita del consenso da parte delle classi dominanti sul grosso dell’opinione pubblica e le prime grandi manifestazioni di piazza dopo il genocidio l’hanno dimostrato; fenomeno questo, molto diffuso non solo in Italia ma in tutto il Mondo. Va inoltre notato che, se dopo una prima fase di grandi mobilitazioni di piazza, il dissenso contro il genocidio sionista tendeva ad assumere forme di massa, la seconda fase la mobilitazione ha visto prevalentemente gruppi di studenti che, attraverso iniziative simboliche, hanno avuto il merito di mettere in luce le pesanti responsabilità di molti settori dello Stato Italiano (televisione, governo, enti di ricerca coinvolti nelle forniture di armi) nella politica genocida di Israele. Il tema della guerra e della pace è stato il centro di tutti i dibattiti e delle mobilitazioni in quest’ultimo anno e continuerà ad avere un ruolo importantissimo anche nel futuro prossimo, data l’impostazione strutturale dell’economia di guerra imposta dall’UE.
La drammaticità e la ferocia del genocidio in corso, la sua ingiustificabilità sul piano morale, fa si che la classe dominante, se vuole provare ad avere una minima presa sull’opinione pubblica, non può certo concentrare l’attenzione sulla difesa di Israele, ma, al contrario, deve puntare tutte le sue carte sulla demonizzazione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e chiedere una posizione a tutte le forze politiche sulla non legittimità dell’attacco e sul diritto di Israele a difendersi. Posta questa premessa, il fronte di chi è contrario alla guerra condotta da Israele tende già ad incrinarsi, poiché se il grosso della popolazione è nettamente contraria alla politica di genocidio da parte di Israele, nel sottolineare insistentemente l’attacco di Hamas si chiede ai pacifisti – implicitamente – di prendere una posizione sulla resistenza palestinese. E’ vero che se entriamo dentro questo problema possiamo fare chiarezza ma anche molta, moltissima confusione, poiché se è vero che – ad esempio noi, come antimperialisti sosteniamo completamente il diritto di un popolo a resistere all’oppressore in tutte le forme, ciò non vuol dire che ci sentiamo vicini politicamente ed ideologicamente ad Hamas. Se, in linea di principio, critichiamo tutte quelle forze politiche e sociali che, per paura di essere attaccate dai vertici dello Stato, debbono sempre anteporre ad ogni ragionamento che sono contrarie all’attacco del 7 ottobre; tuttavia, riconosciamo al contempo che, seppur da contrastare, le posizioni del pacifismo astratto -che di fatto, più o meno consapevolmente dimostrano una celata subalternità all’imperialismo – non vanno affatto ostracizzate. Queste posizioni rappresentano anche le paure e le illusioni della stragrande maggioranza dei lavoratori che auspicherebbero un ruolo più incisivo di contrasto diplomatico delle istituzioni italiane ed europee alle politiche di genocidio di Israele. Queste posizioni sono basate sul rifiuto della guerra e sulla speranza di risolverla attraverso la mediazione internazionale. Il ruolo dei comunisti dovrebbe essere quello di dialogare con queste posizioni per spingerle, attraverso una dialettica politica e di piazza, su posizioni più marcatamente antimperialistiche, cioè coinvolgerle in un movimento generale contro la guerra in cui le posizioni si confrontano e si dialettizzano. Si tratta di unire le persone allo scopo di contrastare efficacemente le posizioni più marcatamente filosioniste al governo ed in una parte consistente dell’opposizione, tentando di far emergere all’interno dello stesso fronte, il tema del diritto alla resistenza di un popolo.
Il problema analogo sorge ugualmente se, partendo da una presupposta coerenza d’impostazione, si vuole recidere il rapporto con il pacifismo astratto e non contemplare che, nonostante le illusioni e gli opportunismi, la pura e semplice richiesta di pace rappresenta il punto di vista prevalente nell’opinione pubblica italiana. Solo tenendo unite dialetticamente queste due anime, in un terreno largo in cui si sviluppa la lotta per l’egemonia, è possibile contrastare efficacemente, in una dimensione di massa, la tagliola ideologica della separazione e ghettizzazione del movimento pacifista, imposta con la violenza e l’intimidazione dall’apparato politico e mediatico delle classi dirigenti italiane.