Cassirer: spazio e tempo tra Kant e Einstein

In questa tesina, prodotta in ambito universitario, viene proposto uno spaccato del pensiero del filosofo tedesco Ernst Cassirer.


Cassirer: spazio e tempo tra Kant e Einstein

Ernest Cassirer è stato un filosofo tedesco riscoperto recentemente, considerato in un primo momento solo come uno storico della filosofia. Nato nel 1874 e morto nel 1945 fu un autore multidisciplinare e si interessò a tutte le branche del sapere umano, in modo particolare al problema del rapporto tra la filosofia e le scienze naturali. Neokantiano, appartenente alla scuola di Marburgo e influenzato da Cohen e Natorp, Cassirer interpreta il kantismo come teoria dei princìpi della scienza e della cultura evidenziandone l’elemento logico-trascendentale e rifiutando ogni tentativo di interpretazione psicologistica. Il fine teorico di Cassirer fu quello di articolare un tipo di studio di antropologia filosofica che potesse funzionare da filo conduttore per le varie conoscenze della realtà umana, in modo tale da poterle padroneggiare in un’epoca in cui la molteplicità delle prospettive conoscitive aveva oscurato il concetto di uomo. 

In questo quadro, Cassirer intende spazio e tempo come “le forme generali dell’esperienza umana della realtà” [1] affermando così che l’essere umano non può concepire nulla se non sotto tali condizioni. Il carattere peculiare di spazio e tempo scaturisce dal principio di matrice kantiana che stabilisce “la priorità della funzione rispetto all’oggetto” [2]: spazio e tempo sono le forme primarie dell’esperienza e hanno il loro essere nella loro funzione conoscitiva. 

Il problema dello spazio si muove sullo stesso piano del tempo, ma non per questo non vi si ritrovano differenze. Cassirer affronta l’argomento con le parole di Kant: “lo spazio sarebbe la forma della nostra esperienza esterna, il tempo quella della nostra esperienza interna” [3]. Il filosofo nota come la questione del tempo è stata affrontata primariamente come condizione generale della vita organica, al punto che Ewald Hering ha sostenuto che la memoria deve essere considerata come una funzione della nostra materia organica. Tuttavia la memoria così intesa, in un secondo momento anche da Semon, si riduce al riconoscimento di un organismo delle proprie tracce precedenti e alla consapevolezza che queste avranno influenza sulle future reazioni. Cassirer ritiene invece che il fenomeno della memoria umana implichi anche un tipo di processo di riconoscimento e di identificazione. Le esperienze passate non vengono solo rievocate, ma vengono collocate in uno schema generale, in un ordine seriale. È da questo ordine seriale che scaturisce il nostro senso di temporalità, come controparte dello schema spaziale. Ciò che infatti interessa a Cassirer è la funzione simbolica degli schemi di spazio e di tempo, caratteristica del solo essere umano. 

Per quanto riguarda lo spazio l’uomo è manchevole rispetto alle altre specie animali nello spazio organico dell’azione ma, in compenso, è in grado di astrarre e di giungere a formare un’idea dello spazio astratto. 

È nella scienza moderna che ritroviamo il passaggio dallo spazio mitico allo spazio così inteso, grazie alla formulazione di leggi e funzioni nel linguaggio simbolico della matematica. Con Keplero assistiamo al passaggio dall’astrologia all’astronomia e all’avvio di quel processo di matematizzazione e meccanicizzazione del cosmo portato all’apice con la scoperta cartesiana di una geometria analitica: tutte le relazioni spaziali potevano essere ora tradotte nel linguaggio dei numeri. L’idea di spazio sostanziale, materialmente esistente come un contenitore vuoto e indifferente alla materia da esso contenuta e all’osservatore, torna solo con Newton. Il tempo assoluto era, secondo Newton, la durata in cui erano collocati gli eventi in una successione, mentre lo spazio assoluto costituiva lo scenario nella quale ritroviamo il determinarsi di qualunque fenomeno fisico dell'universo. In tal senso, lo spazio veniva a connotarsi nei termini di un infinito contenitore tridimensionale vuoto nella quale vi era la materia. Ciò che giustifica il fondamento della realtà di spazio e tempo newtoniani è un argomento metafisico in quanto essi sono opera di Dio. L’interesse di Cassirer parte dalla constatazione che ormai nella scienza a lui contemporanea la fisica newtoniana appare superata: tra il concetto di materia e il concetto di vuoto ora vi è il campo. Questo “per esistere non richiede più la materia, ma al contrario è la materia a venir analizzata e studiata come prodotto del campo” [4]. La fisica non si occupa più di oggetti fisici, ma di relazioni funzionali di cui materia, spazio e forza sono l’unità: “il sogno cartesiano di una fisica puramente geometrica sembra realizzarsi in modo sorprendente” [5]. Si tratta ora di capire dove possa essere inserita la filosofia kantiana negli anni in cui Cassirer, in dialogo con Einstein, si occupa del problema gnoseologico posto dalla nuova teoria fisica della relatività. Non sono pochi i filosofi che attribuiscono lo stesso destino della fisica newtoniana al pensiero del filosofo di Königsberg interpretandolo come una traduzione filosofica dei concetti di Newton. Al contrario, Cassirer ritiene che l’elaborazione della teoria della relatività rappresenti proprio l’esito della gnoseologia di Kant. Potremmo quindi dire che la fisica iniziò il suo dialogo con la filosofia prima che la filosofia lo attuasse con la fisica: Kant e Einstein si ritroverebbero quindi su una linea di pensiero comune nella priorità della relazione rispetto alla cosa. Nella Critica della ragion pura, infatti, Kant non voleva vincolare la conoscenza filosofica a una verità dogmatica e immutabile ma aprirla “al sentiero sicuro di una scienza dove le soste sono sempre relative e mai assolute” [6].

La ricerca epistemologica di Cassirer confluisce nella possibilità di poter difendere l’impostazione trascendentale: una conferma dell’a-priori come legalità della conoscenza, spogliato però dal riferimento a costanti di tipo materiale. 

Nel quarto libro di Storia della filosofia moderna Cassirer ripercorre i punti fondamentali del pensiero kantiano. Sarà in I sogni di un visionario che Kant, ponendo una critica alla metafisica, si riferirà a Newton: con Newton teologia e fisica si erano unificate, egli aveva dovuto postulare un mezzo spirituale attivo per tenere in piedi la sua teoria. Ma, per Kant, la metafisica non si occupa più delle cose assolute ma è invece “la dottrina della natura e della ragione umana” [7]. Il problema dello spazio è quindi successivamente ribaltato da Kant: non si tratta più di spiegare come la sostanza possa interagire nello spazio, ma come noi possiamo intendere la nostra cognizione delle sostanze in rapporto con quella che abbiamo dello spazio. Nelle Riflessioni si accorgerà ancora di più delle difficoltà concernenti lo spazio assoluto newtoniano in quanto esso si sottrae ai mezzi conoscitivi e dà origine a una serie di antinomie. Vi è quindi la necessità di superare lo spazio così inteso: spazio e tempo vengono ora considerati da Kant non più come oggetti esterni realmente esistenti ma come “pure forme e mezzi di conoscenza” [8]; sono concetti sintetici dell’intelletto puro. Non provengono dall’esperienza ma sono rivolti ad essa in quanto sono ciò grazie al quale noi conosciamo. L’oggettività di spazio e tempo non va intesa come oggettività della cosa, ma come oggettività della condizione. Sono gli ordinamenti primi in cui viene concepito ogni contenuto empirico che, senza per questo avere un’esistenza separata dal mondo della realtà, significano qualcosa di peculiare rispetto alle cose della realtà. Circa un secolo e mezzo dopo Kant, Einstein introduce una nuova “rivoluzione copernicana” nella fisica dimostrando che spazio e tempo non sono entità immutabili e indipendenti ma che sono invece un'unica grandezza che comprende la totalità degli eventi

Prendendo le mosse dalla scoperta di geometrie non euclidee, il tratto caratteristico della teoria della relatività è proprio il superamento di un’oggettività esterna e assoluta di spazio e tempo. L’abbandono dell’unità materiale di spazio e tempo è tuttavia proprio il presupposto su cui poter fondare l’unità funzionale di questi. Non si tratta più di “unità come forma di un unico contenuto oggettivo ma è la forma di un sistema di relazioni.” [9] Il metodo trascendentale di Kant qui appare quindi ancora vigente. Il concetto di a-priori viene in qualche modo superato e raffinato, ma lo schema logico-gnoseologico sottostante all’indagine rimane lo stesso. L’intento dello scritto La teoria della relatività di Einstein di Cassirer è proprio quello di mostrare quanto l’impostazione einsteiniana comprenda criteri già prefigurati da Kant riguardo alla nostra comprensione della realtà naturale. Come per Kant l’universalità non è più fisica ma logica, derivata dai giudizi, così “il fisico non conosce spazio e tempo nei suoi elementi in un sé logico, ma solo in connessione, come funzioni, come risultato di un coordinamento” [10]. 

Se Kant aveva sostituito al modello ontologico e metafisico del concetto di verità un modello gnoseologico, con Einstein si conferma l’antropomorfismo di tutti i nostri concetti di natura: “ogni misura è una nostra misura nello stesso modo in cui l’uomo è misura di tutte le cose” [11]. 

 

Note:

[1] Ernst Cassirer, Saggio sull’uomo. Una introduzione alla filosofia della cultura, 1944

[2] Ivi 

[3] Ivi

[4] Ernest Cassirer, La teoria della relatività di Einstein, 1921

[5] Ivi

[6] Ivi

[7] Ernest Cassirer, Storia della filosofia moderna. Kant e la filosofia critica, 1906/1920 

[8] Ivi

[9] Ernest Cassirer, La teoria della relatività di Einstein, 1921 

[10] Ivi 

[11] Ivi

11/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alice Zaccagnini

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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