La teologia rivoluzionaria del giovane Hegel

Il giovane #Hegel è interessato alla #filosofia come a uno strumento indispensabile al rivolgimento della religione esistente, per renderla capace di risvegliare nelle masse popolari il senso della propria libertà, trasformandole da un passivo gregge facile preda della superstizione in un popolo capace di realizzare gli ideali ancora astratti della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.


La teologia rivoluzionaria del giovane Hegel

Il carteggio offre una significativa testimonianza del fatto che, pur condividendo i princìpi fondamentali della filosofia critica – al punto da considerarli, in qualche modo, i principi della filosofia della rivoluzione [1] – il giovane Hegel trovava più proficuo giovarsene nell’analisi storico-politica del fenomeno religioso, piuttosto che seguire la via schellinghiana di un loro approfondimento in funzione dell’ulteriore sviluppo della filosofia teoretica. “La filosofia – osserva a tal proposito Schelling – non è ancora giunta alla fine. Kant ha dato i risultati; mancano ancora le premesse. E chi può comprendere i risultati senza le premesse?” [2]. Al contrario, il compito fondamentale della sua epoca non sembrava a Hegel l’approfondimento critico dei princìpi della filosofia kantiana – per ricondurli a un fondamento unitario in grado di superare l’ostacolo della “cosa in sé” – come ritenevano invece diversi esponenti filosofici dell’epoca [3]. 

Non si tratta dunque, come per Schelling, di risalire alle premesse inespresse della filosofia critica, nella speranza di giungere alla piena elaborazione di quel sistema della nuova metafisica che Kant aveva indicato come scopo finale della filosofia critica, senza tuttavia portarlo a compimento. Se un po’ tutte le principali riflessioni filosofiche del tempo erano rivolte alla realizzazione di quella metafisica futura di cui Kant aveva gettato le fondamenta, il primo a misurarsi con il problema di fornire una struttura sistematica alla critica kantiana era stato certamente Karl Leonhard Reinhold [4]. Così. negli ultimi anni del Settecento, sulla scia tracciata da Reinhold vi furono: “una serie di difensori e di avversari della filosofia critica per i quali il problema principale è ancora quello dell’interpretazione di Kant e della presa di posizione nei suoi confronti. A questa serie appartengono Schulze, Maimon, Beck, come pure, in un contesto alquanto più ampio, Jacobi e Bardili” [5], ma non Hegel che appunto, come si è detto, era allora preso da tutt’altro genere di problematiche, più vicine alla concretezza della vita storica e politica. Dunque, a Hegel, in ciò più vicino a Hölderlin che a Schelling, interessano maggiormente gli sviluppi apportati alla filosofia critica da Schiller rispetto a quelli di Reinhold e Fichte [6].

Proprio a partire dal differente interesse per lo sviluppo dato alla ricezione della filosofia critica da parte di Reinhold, è possibile intendere la differenza sostanziale degli interessi che animavano le prime ricerche filosofiche di Hegel e Schelling: “per Schelling è tempo di abbandonare, o quantomeno di far passare in secondo piano, gli studi di filosofia della religione e di filosofia della storia, con la trattazione dei quali egli, in pieno accordo con Hegel aveva esordito nella sua attività di scrittore. Gli sviluppi del criticismo si avranno penetrandone i presupposti teoretici e in questo senso il Versuch di Reinhold, pur non soddisfacendo nei risultati, è sulla giusta via della ricerca che la filosofia attuale deve proseguire. Per Hegel, invece, tale indirizzo segna un arresto nell’ambito di mere Spekulationen, la cui efficacia è minima in vista degli sviluppi «pratici» che si può attendere facendo fermentare sul terreno dei momenti concreti la parte più viva del pensiero di Kant” [7].

In effetti Hegel sembra considerare la filosofia critica – e qui avrà un ruolo sempre più importante lo sviluppo dato ad essa da Fichte e poi da Schiller – uno strumento utile, se non indispensabile, alla realizzazione e poi anche allo sviluppo dei principi della Rivoluzione francese in Germania [8]. In questi anni Hegel sembra, in effetti, interessato alla filosofia come a uno strumento indispensabile al rivolgimento della religione esistente [9], per renderla capace di risvegliare nelle masse popolari il senso della propria libertà, trasformandole da un passivo gregge facile preda della superstizione – come gli erano parse ancora nel periodo di Stoccarda – nel popolo capace di realizzare gli ideali ancora astratti della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Detto altrimenti, lo sviluppo del pensiero hegeliano a Tubinga si fonda sull’interesse e la viva partecipazione agli eventi d’oltre Reno, cui fa da pendant la teorizzazione di una religione popolare – interesse condiviso e almeno in parte elaborato insieme a Hölderlin – in grado di incarnare nelle masse il nuovo spirito sorto con i lumi e culminato nella filosofia critica, in vista di una più profonda rivoluzione spirituale.

Note:

[1] Come ha osservato Carmelo Lacorte, sebbene Hegel, come Schelling e Holderlin non fosse in senso stretto kantiano, “per tutti loro gli scritti di Kant sono scritti rivoluzionari. (…) Hegel e i suoi compagni sentono e mostrano infatti di appartenere ad una generazione nuova, le cui esigenze non coincidono e non si esauriscono entro quelle espresse da Kant.” Lacorte, Carmelo, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, pp. 182-83. Come ha scritto giustamente Mirri, sempre su tale questione, “la filosofia kantiana, del resto, per questi giovani desiderosi del nuovo, doveva avere la medesima forza di attrazione che, in campo diverso ma non separato, avevano le idee e le notizie provenienti dalla Francia.” Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Scritti giovanili I, tr. it. di E. Mirri, Guida, Napoli 1993, p. 112.

[2] Id., Briefe von und an Hegel a cura di Hoffmeister, Johannes, 4 voll., Amburgo 1952 (2. ed. 1977-1981), p. 14, tr. it. parziale di Manganaro, Paolo, Epistolario I (1785-1808), Guida, Napoli 1983, p. 107.

[3] Su tale problematica Nicolai Hartmann ha osservato che: “Schulze, Maimon, Jacobi e Beck considerano la cosa in sé come il problema decisivo e centrale della Critica e sia Fichte che Schelling incominciano i loro primi abbozzi di sistema con ricerche del tutto analoghe. (…) Comunque si concepisca l’esser in sé, in questo grande enigma concettuale, esso era e rimase un elemento anti-idealistico che stava sulla soglia dell’idealismo, il quale non poteva scavalcarlo senza eliminarlo.” Hartmann, Nicolai, Die Philosophie des deutschen Idealismus [1923-29], 2. Ed, Berlin 1960, tr. it. B. Bianco, La filosofia dell’idealismo tedesco, Mursia, Milano 1972-1983, p. 12. In altri termini, tutte le critiche rivolte al sistema kantiano “si erano appuntate, a partire dal primo, chiaro ma poco appariscente intervento di Jacobi in appendice alla sua opera dedicata a Hume, attraverso l’energica critica di Maimon e le conclusioni dissolvitorie di Schulze, tutte e ripetutamente su quei presupposti: la concezione della cosa in sé, il dualismo radicale degli elementi trascendentali del conoscere, il rapporto oggetto trascendentale-fenomeno, e sensibilità-intelletto; per sortire poi ad una più coerente sistemazione della filosofia idealistica, o (per Schulze) alla denuncia dell’intrinseca insostenibilità dell’idealismo critico.” Lacorte C., Il primo…, op. cit., p. 215.

[4] A suo parere, come mette in luce Nicolai Hartmann, “la Critica muove nella parte teoretica dall’esperienza, in quella pratica dalla legge morale, cioè da un principio. Le manca dunque la premessa unitaria, quel principio comprensivo da cui tutto si lascia dedurre.” Hartmann, N., La filosofia…, op. cit., p. 13. Così “il Versuch, presto seguito ai Briefe, vuole infatti essere per Reinhold il tentativo di determinare un principio sistematico del criticismo risalendo alle premesse e svolgendone il presupposto teoretico, allo scopo di inquadrare i problemi aperti nella cultura dell’epoca da un punto di vista unitario, e facendo subito funzionare i «risultati» della filosofia critica così sviluppata.” Lacorte C., Il primo…, op. cit., p. 214. Per Reinhold la filosofia critica aveva bisogno “di una sistematizzazione adeguata e definitiva, per poter adempiere al compito che le spettava in campo non soltanto filosofico, ma etico, politico e religioso, quale filosofia fondata, a differenza dalle precedenti interamente sull’apriori e sulla libertà dell’uomo.” Verra, Valerio, Introduzione a Hegel, 5 ed., Laterza, Roma-Bari 1994, p. 6.

[5] Hartmann, N., La filosofia…, op. cit., p. 7.

[6] Come è stato giustamente osservato a questo proposito: “molti dei motivi di un incipiente e progredente anti-kantismo (non mai dichiaratamente tale, si intende, per quanto riguarda il riconoscimento del suo valore come forza di rottura della tradizione filosofica precedente) sono contemporaneamente, e per alcune parte [sic] già in precedenza, accolti ed esposti, elaborati e diffusi, quasi sempre senza essere accompagnati da una elaborazione teoretica dei termini dell'opposizione, nelle opere di autori meno impegnati alle fortune della scuola idealistica.” Lacorte C., Il primo…, op. cit., pp. 216-17.

[7] Ivi, p. 209. 

[8] Hegel, come è stato giustamente osservato, era “un «kantiano», nel senso in cui essere tale significa, per lui come per i compagni di studio, avere inteso qual è il compito della nuova generazione, alla quale Kant ha sgombrato il terreno da una opprimente tradizione e dischiuso così la prospettiva del nuovo mondo dello spirito. Insieme e più che su Kant l’attenzione degli Stiftler è rivolta alle divulgazioni, alle discussioni, agli sviluppi, alle reazioni stesse sorte attorno alle dottrine kantiane.” Ivi, p. 182. Occorre inoltre ricordare “che Hegel ha ripreso a più tratti, nel corso della sua formazione giovanile, lo studio di Kant, e che esso risulta di volta in volta connesso ad esigenze particolari, e sempre svincolato dalla tendenza di riprodurre la lettera e di seguire senza riserve le formulazioni del criticismo.” Ivi, p. 194.

[9] Si ricordi la netta opposizione di Hegel all’ortodossia del seminario di Tubinga dove aveva compiuto i propri studi e, più in generale, alle problematiche teologiche, oppure la sua concezione per molti versi ancora illuminista della divinità, in cui la religione assumeva un valore funzionale all’affermazione dell’autonomia morale e razionale dell’uomo.

09/12/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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