Ricordare le origini e l’involuzione dello stato di Israele, avamposto strategico delle potenze occidentali nella regione medio-orientale, aiuta a capire il senso e l’importanza della resistenza del popolo palestinese: per la libertà, la giustizia e il diritto all’autodeterminazione contro l’imperialismo mondiale.
di Bassam Saleh
A fine del secolo XIX, con la nascita del sionismo, e la fine dell’Impero Ottomano, i padri del sionismo pensavano a un modello nuovo che incorporasse il laicismo della modernità. Questo avveniva qualche anno prima dello scoppio della prima guerra mondiale. I sostenitori di questo modello erano Theodor Herzl, i Rothschild, Chaim Weizmann. Questa combinazione piacque a Lord Balfour, ministro degli esteri della Gran Bretagna, potenza vincitrice della prima guerra mondiale, che diede il nome alla famosa promessa ricordata come “dichiarazione Balfour del 2 novembre1917”.
Una promessa consegnata, guarda caso, alla famiglia Rothschild che divideva una terra, sotto mandato inglese, tra arabi ed ebrei permettendo a questi ultimi di creare un loro stato. Fu una decisone molto importante per mantenere gli interessi occidentali nella regione araba, ed in particolare per gli inglesi. Ma secondo gli esperti c’erano altri due motivi: il primo, prevenire l’afflusso di ebrei orientali europei verso la Gran Bretagna e l’occidente e il secondo, in virtù del motto “divide et impera”, mantenere la frammentazione della Regione, per impedirne l’unità e sfruttarne le risorse naturali e la posizione geopolitica.
Il progetto sionista modernista si è sviluppato, come vuole la politica, legandosi al movimento operaio e socialista in una necessaria lotta comune del movimento operaio globale; creando il kibbutz che ha avuto riconoscimento e sostegno materiale e militare dal movimento operaio internazionale.
Dopo la guerra del 1967, Israele ha occupato il resto della Palestina allargandosi nel Sinai e nelle Alture del Golan siriano. Le scuole del pensiero sionista, si trasformano e inizia una strisciante cultura nazionalpopolare, di natura estremista, che adotta il pensiero di Ze'ev Jabotinsky, guidata da Menachem Begin, capo della banda terroristica Irgun, responsabile di numerosi massacri contro i civili palestinesi. Begin è riuscito in questa terza trasformazione del sionismo dal pensiero alla pratica, creando una comunità israeliana, una miscela di nazionalismo estremista e sionismo religioso.
Il pensiero di Jabotinsky per aver successo nella società israeliana si è allargato dallo stretto ghetto ultra ortodosso fino a comprendere la maggior parte delle culture delle comunità sioniste, “la nuova religione”: per seguire la politica coloniale, costruzione e allargamento degli insediamenti, piani regolatori e infrastrutture nelle città, compresi i territori palestinesi occupati.
Questa politica non si è fermata neanche durante i più di 20 anni di negoziato iniziato con gli accordi di principio di Oslo 1993. Ma il vero attuale protagonista di questa politica è il primo ministro israeliano Netanyahu, che ha determinato il radicalismo politico religioso dello “Stato Ebraico”, e di recente con la giudaizzazione dell’esercito, insieme al ministro della difesa Liberman, il rabbino Colonnello Eyal Karim che è stato eletto capo di stato maggiore dell’esercito israeliano. Karim è stato al centro delle polemiche in riferimento ad una domanda sugli stupri commessi dai militari, a cui ha risposto dicendo che “uno dei valori cruciali e più importanti in guerra è mantenere un elevato grado di combattività dell’esercito (…) le necessità e le emozioni dei singoli sono messe da parte per favorire il successo della nazione in guerra”. “Poiché il successo della collettività è ciò che più importa in guerra, la Torah consente all’individuo di soddisfare la propria lussuria nelle condizioni permesse per amore delle generazioni successive”, aveva concluso.
Israele fu fondato per garantire gli interessi delle grandi potenze militari occidentali in generale (in particolare della Gran Bretagna prima e degli Usa poi) e al servizio delle finanze del capitalismo mondiale. Svolge un ruolo di avamposto dell’imperialismo mondiale. Continua a negare l’esistenza del popolo palestinese, occupa la sua terra, lancia periodicamente le sue armi contro Gaza e spara a sangue freddo contro i ragazzi palestinesi per un semplice sospetto.
Uno stato complice in tutto quello che succede da decenni in quella martoriata regione. Contestualmente esiste un popolo che, malgrado la pulizia etnica e la continua repressione, continua a resistere a questa occupazione con ogni mezzo per la libertà, la giustizia e il diritto all’autodeterminazione. Una lotta che fa parte di tutte le lotte dei popoli contro l’imperialismo mondiale.