Un excursus nell’economia e nella società dei cinque Paesi in via di sviluppo per ragionare sulle loro prospettive. In questa seconda parte ci occupiamo del Brasile
“Se la Cina è la fabbrica del mondo, l’India è il suo ufficio,
la Russia la stazione di rifornimento e il Brasile la fattoria”
(Paul Krugman, premio Nobel per l’economia)
di Ascanio Bernardeschi
Parte II – La fattoria Brasile
Nel precedente numero, parlando dei Brics, si sono evidenziate notevoli differenze tra queste nazioni e anche disparità all'interno di ciascuna di esse. Per il primo aspetto il Brasile si caratterizza come un Paese ricco di risorse agricole e minerarie, tra cui però anche il petrolio. Quindi non parlerei solo di fattoria ma anche di stazione di rifornimento, sia pure molto più modesta di quella russa.
Per quanto riguarda le disparità interne, occupa il secondo gradino del non meritevole podio, dopo il Sudafrica, se prendiamo come indicatore il coefficiente di Gini, il più utilizzato per quantificare la disparità di una distribuzione [1]. Tale indicatore è 0,527, superiore rispetto alla media dei Brics (0,482), la quale a sua volta è più elevata della media dei Paesi del G7 che si attesta su 0,39. Le disparità sociali, quindi, si potrebbero rivelare come uno dei talloni di Achille di questa nazione e dei Brics nel loro insieme. C'è da precisare che tali disparità sono spesso (e senz'altro nel caso del Brasile) il portato di una storia coloniale. Tuttavia non si registra una tendenza decisa al miglioramento della distribuzione del reddito.
Il Paese aspira a un ruolo internazionale importante e ad un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza ONU, così come partecipa a diverse organizzazioni sudamericane tra cui Unasur, Celac e Mmercosur e ha sottoscritto un accordo con l'Argentina che prevede di poter effettuare scambi bilaterali con le rispettive valute nazionali anziché con i dollari. Non si tratta, però, di un protagonismo con movente nazionalista, o almeno non solo. Infatti è forte l'interesse per valorizzare il ruolo dei paesi latinoamericani e delle nazioni povere negli organismi internazionali e per contrastare la volatilità dei cambi.
La sua economia è interessata da un recente ma rapido sviluppo industriale, posizionandosi al primo posto nel continente sudamericano. Tra il 2004 e il 2008 è cresciuta al ritmo medio del 5% annuo, abbassando di oltre 4 punti il tasso di disoccupazione e facendo uscire dalla povertà 30 milioni di persone. Permangono ancora, tuttavia, consistenti sacche di miseria, soprattutto tra la popolazione di origine africana, e nei territori svantaggiati.
Complessivamente la povertà colpisce il 27.9% della popolazione.
Nonostante tali ingiustizie, il livello di consapevolezza delle classi sfruttate, soprattutto dei cittadini di colore, non è elevato come lo è per esempio negli USA, spesso interessati da impetuose rivolte, e quindi anche le lotte di classe stentano a svilupparsi.
Essendo il Paese molto orientato verso il mercato internazionale, il calo delle esportazioni dovuto alla la crisi mondiale ha determinato una riduzione dello 0,3% del Pil. Però già nel 2011, misure anticicliche del governo ripristinavano una buona crescita (+2,7), successivamente appiattitasi (+1 nel 2012 e +2 nel 2013). Il Fmi prevede, per il periodo 2014-2016 una crescita modesta (+0,3 annuo) e un aumento della disoccupazione. Il governo ha adottato un progetto di accelerazione della crescita (PAC) e di maggiore equità sociale ma ha realizzato una riforma delle pensioni e alcune manovre fiscali che vanno in senso opposto a quel disegno, rendendo più aleatorie le prestazioni del welfare, come documenta Osvaldo Coggiola nell'ultimo numero de La Contraddizione (purtroppo definitivamente ultimo, perché la produzione cartacea di quella pregevole rivista è cessata). La caduta del prezzo del petrolio non ha prodotto un significativo effetto benefico sui prezzi interni dell'energia, mentre ha ridotto in maniera consistente l'occupazione nel settore e i margini finanziari per realizzare i programmi di sviluppo e indotto a introdurre alcuni percorsi di privatizzazione, come purtroppo sta avvenendo anche in Venezuela.
Gli Stati Uniti rimangono ancora il Paese con cui sono più intensi gli scambi commerciali (15-20% del totale). Viste le caratteristiche della competizione internazionale, una prospettiva di miglioramento delle condizioni delle classi subalterne all'interno dei Brics, e quindi di riduzione dei margini di profitto e di aumento dei costi di produzione, risiede in uno sviluppo auto centrato, in grado di aggirare la concorrenza dei paesi egemoni, attraverso l'intensificazione degli scambi tra di loro e riducendo quelli con i paesi ancora egemoni.
Riferimenti
Oltre a quelli indicati nel precedente articolo si segnala O. Coggiola, L'America Latina in scena. Crisi economica, politica e sociale e le prospettive, in La Contraddizione n. 150 speciale 2015.
Note
[1] Si tratta di un coefficiente che varia da 0, nel caso che per esempio il reddito sia perfettamente distribuito in parti uguali tra la popolazione e 1, nell'altro caso estremo in cui un solo individuo possiede tutto il reddito nazionale e gli atri non posseggono niente. Pertanto più il coefficiente si avvicina a zero e più c'è equità, più si avvicina a 1 e più disparità esistono.
Parte prima: Le Prospettive dei Brics