Il Taihe Institute ha pubblicato nel mese di febbraio il numero 17 del “TI Observer”, rivista che per questa uscita contiene un dossier speciale dal titolo: “La Cina dopo la pandemia: navigare in acque torbide in tempi senza precedenti”.
All’interno del volume, il lettore potrà scoprire come la Repubblica Popolare Cinese abbia saputo reagire alla crisi sanitaria causata dall’emergere del Covid-19, nonostante sia stato il primo paese a esserne colpito. Oggi, infatti, la Cina si classifica solamente al 124° posto nella graduatoria dei paesi con il maggior numero di casi positivi e all’86° posto per numero di morti, nonostante si tratti del Paese più popoloso del mondo.
Zhang Zhuting, funzionario del ministero dei Trasporti di Pechino e direttore del Centro di Ricerca e Sviluppo dell’Istituto per la Gestione dei Trasporti, affronta la tematica dei trasporti nella Cina postpandemica. “Non c’è dubbio che l’epidemia di Covid-19 abbia rappresentato una seria sfida per l’industria dei trasporti cinese. Da un lato, era una delle principali fonti di casi importati. D’altra parte, ha svolto un ruolo significativo nel sostenere e guidare lo sviluppo socioeconomico della Cina” afferma l’autore.
Proprio mentre la Cina si avviava a sviluppare una nuova serie di progetti nell’ambito dei trasporti, legati anche all’organizzazione dei Giochi Olimpici invernali di Pechino 2022, il paese si è visto costretto a bloccare numerose vie di comunicazione per far fronte all’emergenza pandemica: “Nonostante queste perdite, il governo centrale cinese e le autorità dei trasporti hanno rapidamente proposto e attuato una serie di misure per contenere la diffusione del virus e mantenere il funzionamento dell’economia”.
Nonostante le difficoltà, infatti, il governo è riuscito nell’arco di poco tempo a ripristinare i trasporti fondamentali e addirittura a procedere alla costruzione di nuove infrastrutture: “Da una prospettiva di sviluppo a medio termine, i progetti infrastrutturali, in particolare quelli nuovi, devono contribuire immensamente allo sviluppo economico della Cina”.
Xie Maosong, dell’Istituto Cinese per l’Innovazione e la Strategia di Sviluppo, ha affrontato invece la tematica della governance sociale durante e dopo la pandemia. Secondo Xie, la pandemia ha dimostrato quale sia l’attuale situazione delle potenze internazionali, distinguendo tra quelle che hanno faticato ad affrontare l’emergenza, come i paesi occidentali, e quelle che invece ne sono uscite rafforzate, come la Cina: “Quando una grande potenza o civiltà è in declino, è probabile che il governo di quello stato si dimostri completamente incapace di fronte a una crisi come la pandemia di Covid-19. [...] Al contrario, quando la forza nazionale di un paese è in aumento, emergenze come il Covid-19 diventano la pietra di paragone della capacità del governo, poiché contribuiranno a rafforzare la capacità del governo di mobilitare risorse in risposta alla situazione”.
Come afferma l’autore, la pandemia di Covid-19 ha rappresentato un’occasione per la Cina di dimostrare al mondo la capacità raggiunta dal paese in diversi settori, mettendo a tacere i critici e coloro che vogliono far ricadere sugli altri le responsabilità dei propri fallimenti: “Nella sua lotta contro il Covid-19, la Cina ha dimostrato al mondo le sue capacità di gestione e l’efficacia del governo nel mobilitare tutti gli elementi della società, in netto contrasto con i governi e le élite occidentali, che sembravano essere eccessivamente ossessionate dalle teorie del complotto, incolpando la Cina per la loro incompetenza nell’affrontare la crisi della sanità pubblica”.
Secondo Xie, la reazione del governo cinese alla crisi sanitaria ha avuto l’effetto di aumentare la fiducia del pubblico nell’operato del governo e di mettere in evidenza i vantaggi del sistema di governo del paese asiatico. Allo stesso tempo, il governo ha saputo cogliere l’occasione per apportare le dovute modifiche ai settori che hanno mostrato lacune nel corso della pandemia, sia a breve che a lungo termine.
La rivista riporta il parere anche di alcuni esperti stranieri. Tom Fowdy, esperto britannico di politica estera e relazioni internazionali, ha pubblicato un articolo nel quale mette a confronto la reazione cinese a quella dei paesi occidentali: “Mentre i paesi occidentali erano in uno stato di caos, la Cina difendeva la propria stabilità” scrive Fowdy.
L’autore afferma che i successi della Cina hanno contribuito all’aumento delle tensioni geopolitiche, per via della reazione scomposta degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali, che non hanno saputo far altro che incrementare il proprio tasso di ostilità nei confronti di Pechino, attaccando la Cina con pretesti come quello del presunto genocidio degli uiguri dello Xinjiang. Al contrario, la Cina ha sempre evitato il confronto diretto con l’Occidente, ma ha anche rafforzato le proprie relazioni con i Paesi non strettamente legati a Washington: “La rapida gestione della pandemia da parte della Cina e l'introduzione di vaccini le hanno anche consentito di perseguire un’altra controffensiva diplomatica in questo campo. In quella che viene soprannominata “diplomazia dei vaccini" dai media occidentali, la Cina è stata in grado di utilizzare la distribuzione e l’esportazione di vaccini per costruire legami con altri paesi”.
Il volume riporta anche un’intervista a David Moser, professore statunitense della Capital Normal University di Pechino. Quella di Moser è la testimonianza di uno straniero che si trovava in Cina proprio quando il virus veniva scoperto per la prima volta a Wuhan: “Il successo della Cina nella gestione del Covid-19 è stato fenomenale, a dire il vero. Senza dubbio gli esperti di salute pubblica studieranno il successo della Cina nei decenni a venire. Per me, in retrospettiva, è chiaro che il successo nell’affrontare questi gravi disastri ha molto a che fare con la fiducia del pubblico nel governo e anche con la responsabilità civica, il senso di appartenenza comunitario alla società in generale”.
Moser non risparmia le critiche ai paesi occidentali, che secondo lui mancano proprio di quelle caratteristiche che hanno permesso il successo della Cina, e in particolare appare impietoso il confronto con gli Stati Uniti: “Nel caso della fiducia pubblica nel governo, la situazione degli Stati Uniti, il mio paese, è stata un disastro. Sin dall’inizio, c’erano messaggi contrastanti su diversi canali dei media privati e opinioni in contrasto con le dichiarazioni del Cdc (Centers for Disease Control and Prevention, ndtr). Quindi ovviamente le persone erano confuse e arrabbiate. In Cina, invece, il messaggio è stato abbastanza unitario, molto coerente e sempre in linea con le linee guida scientifiche. Pertanto, in Cina, abbiamo visto un esempio in cui le persone sentivano di potersi fidare delle informazioni che ricevevano dal governo”.
Infine, Moser affronta la tematica della campagna mediatica anticinese portata avanti da molti canali di comunicazione e forze politiche occidentali, che hanno accusato il paese asiatico di ogni tipo di nefandezza pur di non ammettere il suo successo. Secondo Moser, questo atteggiamento è dovuto a un’ingiustificata percezione negativa della Cina che hanno gli occidentali, e in particolare gli statunitensi, ma soprattutto a una grande ignoranza sulle politiche portate avanti da Pechino: “Questo è scoraggiante, perché negli Stati Uniti, con il tasso di mortalità che si avvicina a quasi un milione di persone a questo punto, avrebbero potuto beneficiare delle politiche e delle strategie che la Cina ha adottato per mantenere il suo tasso di mortalità così basso. A causa della mancanza di queste informazioni nei media mainstream statunitensi, la maggior parte degli americani semplicemente non sa quale fosse e quale è la situazione in Cina. E così, non hanno basi per fare gli ovvi confronti tra i due paesi”.