Per un fronte ampio che coniughi lotta alla guerra e all’ordoliberismo

Contro le opposte tendenze di chi intende conformarsi all’attuale corso del mondo e chi mira allo splendido isolamento dell’anima bella che in nome dell’eccellente non fa nulla di buono, una prospettiva che tenga insieme l’esigenza di costruire un fronte ampio contro le politiche guerrafondaie e liberiste e la necessaria lotta al suo interno per l’egemonia della sinistra radicale


Per un fronte ampio che coniughi lotta alla guerra e all’ordoliberismo

A giugno ci saranno le elezioni per il parlamento dell’Unione europea. Sappiamo bene quanto siano limitati i poteri effettivi di questo parlamento che, però, ha un valore rappresentativo abbastanza importante. Considerata quanto è prioritaria la lotta per l’egemonia sulla società civile nella prospettiva della rivoluzione in occidente questo appuntamento non può essere eluso, pena condannarsi per un periodo storico sempre più ampio all’irrilevanza. Come è noto e necessario la grande maggioranza della popolazione non si occupa di politica se non in occasione delle elezioni. Queste ultime sono un ottimo termometro per misurare la rilevanza dei diversi settori sociali impegnati nel conflitto sociale. Ora sono più di quindici anni che la sinistra radicale si presenta a tutti questi test totalmente impreparata e incapace di dare una qualche rappresentanza politica istituzionale ai ceti sociali subalterni impegnati, volenti o per lo più nolenti, nel conflitto sociale. In effetti, anche se la maggioranza dei subalterni non ne è consapevole, proprio per questo subisce l’offensiva di classe del blocco sociale dominante, una offensiva in atto ormai da quasi mezzo secolo.

Dunque, se anche a questo giro la sinistra si dimostrerà sostanzialmente irrilevante, marginale e minoritaria rischierà di perdere ulteriore credibilità agli occhi delle classi sociali di riferimento. In effetti da troppi anni ormai i gruppi sociali subalterni, pur essendo la grande maggioranza, hanno una rappresentanza politica sostanzialmente irrilevante.

Come è noto da troppi anni le forze comuniste non sono in grado di presentarsi autonomamente alle elezioni conquistando quantomeno un diritto di tribuna nelle grandi istituzioni politiche borghesi, a partire dal parlamento. Attualmente, purtroppo, non ci sono proprio le condizioni per i comunisti per presentarsi autonomamente con il proprio nome, simbolo e programma. Il fatto che ci sia qualcuno che da anni si ostina e perseguire questa strada senza tenere conto delle continue debacle è sconfortante. Si rischia di assumere un'attitudine irresponsabile, che involontariamente riduce la prospettiva comunista al ruolo di testimonianza minoritaria e, di fatto, insignificante. Dopo anni di fallimenti, provare a convincere i colleghi non militanti politici a votare per liste comuniste che non hanno nessuna reale possibilità di superare la soglia di sbarramento diviene sempre più un'impresa donchisciottesca.

A questo punto i comunisti dovrebbero prendere parte alla competizione elettorale come frazione organizzata all’intero di soggetti più ampi di sinistra. Con lo spostamento al centro del partito democratico e con i 5 stelle che pretendono di essere né di destra né di sinistra si è da anni aperta una potenziale prateria, uno spazio politico in potenza estremamente ampio.

Anche perché il partito che si definisce di sinistra da troppo tempo si è ridotto al ruolo minoritario e sostanzialmente irrilevante di foglia di fico atta a coprire per quanto possibile la vergogna di un partito democratico sempre meno interessato a dare una rappresentanza politica anche minoritaria al proprio interno alle classi subalterne.

A complicare ulteriormente le cose c’è stata la progressiva escalation della guerra imperialista che vede il nostro paese sempre più direttamente coinvolto. Nella lotta per l’egemonia sulla società civile le forze che si oppongono alle guerre imperialiste – da quella della Nato contro la Russia per interposta Ucraina a quella di Israele, come campione dell’occidente collettivo fra i paesi non allineati, contro il popolo palestinese – appaiono sostanzialmente prive di una significativa e coerente copertura parlamentare e istituzionale, sebbene una parte monto significativa della popolazione italiana sembra quanto meno contrariata dinanzi alle politiche guerrafondaie.

Dinanzi alla deriva liberale del partito democratico, arginata in senso liberal-democratico da Schlein, dinanzi a un Movimento 5 stelle che non riesce superare il sostanziale qualunquismo che gli impedisce di prendere una posizione netta persino contro il rischio di una presidenza Trump, Santoro si era riproposto di riempire questa prateria che si è aperta e che ha portato troppi potenziali elettori della sinistra all’astensionismo. Per occupare tale spazio e offrire una rappresentanza politica a chi si oppone alle guerre in corso si era presentato il progetto di un partito della pace che consentisse un’alleanza elettorale della sinistra con la parte più progressista del mondo cattolico che si oppone alla guerra.

L’escalation della guerra in Palestina dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, ha bloccato sul nascere questi buoni propositi. I grandi registi del progetto del partito per la pace hanno preferito eclissarsi durante il genocidio del popolo palestinese a Gaza, per il timore di essere tacciati di fiancheggiare il terrorismo islamico e di essere antisemiti.

Questo sostanziale silenzio sempre più imbarazzante viene infine infranto dalla decisa presa di posizione di Potere al popolo, da sempre contrariato dal progetto di Santoro, che ha sfruttato la situazione favorevole e affermato l’impossibilità di costruire un fronte elettorale ampio, ponendo una serie di paletti programmatici che le forze a destra di Unione popolare non potranno mai accettare. 

Questa presa di posizione decisamente discutibile ha, però, avuto il merito involontario di stanare Santoro e di costringerlo a scongelare il progetto del partito della pace. La modalità con cui questo interessante progetto viene riproposto sembra fatta apposta per mettere in difficoltà le forze di Unione popolare che vorrebbero prendere parte a questa alleanza. Santoro riesce a riproporre il partito della pace senza citare nemmeno la Palestina e Israele, sostiene che il progetto non mira a una ricostruzione della sinistra e chiude a ogni possibile ripresa del dialogo con i massimalisti di Potere al popolo, sostenendo che non si può parlare di una rottura dal momento che nessuno li ha invitati a partecipare al progetto di alleanza elettorale.

A questo punto l’opportunismo di sinistra e il riformismo di destra, lo splendido isolamento dell’anima bella di estrema sinistra e il cinico realismo della sinistra che si è arresa al corso del mondo, rischiano di produrre l’ennesima rotta per il popolo di sinistra che rischia di accentuare ancora di più una diaspora che sarà sempre più lungo e faticoso tentare di ricomporre

Già minoritario, l’elettorato effettivamente di sinistra si spappolerà ulteriormente in modo sostanzialmente suicida tra chi disgustato non andrà neppure a votare, chi punterà sul voto utile e sul tentativo di riportare il Pd a sinistra di Schlein, chi voterà per i 5 stelle in quanto fra i partiti potenzialmente di massa sono, sostanzialmente, per diversi aspetti, i meno peggio. Poi ci sarà chi voterà per l’Alleanza verdi sinistra, chi per il Partito della pace, chi per Potere al popolo, chi per i Comunisti italiani se riusciranno a presentarsi con il loro simbolo e chi voterà per il progetto per molti aspetti rosso-bruno sponsorizzato da Rizzo. Una minoranza di elettori che si divide in circa otto differenti opzioni quasi certamente si condanna a essere, in ognuna delle diverse strade intraprese, di fatto influente. Peraltro molti di questi potenziali voti andranno dispersi in opzioni minoritarie che quasi certamente non supereranno la antidemocratica soglia di sbarramento posta al 4%, con il risultato di indebolire l’argine che andrebbe costruito per arginare il governo più di destra dai tempi di Mussolini.

In questo desolante panorama, l’unica posizione che sembra denotare quantomeno un sano buon senso umano sembra essere quella di De Magistris, sostanzialmente rafforzata dalla presa di posizione di Acerbo, cioè la posizione dei principali esponenti della forza più consistente della sinistra radicale (Up) e di chi si richiama al comunismo (Prc). Le suddette posizioni sembrano, al momento, le più sagge, in quanto recepiscono l’istanza di creare un fronte ampio che provi a tenere insieme l’opposizione alle guerre imperialiste e alle politiche ordoliberiste della grande borghesia senza rinunciare a priori alla sfida di provare, quantomeno, a superare la soglia di sbarramento.

Al contempo l’intento unitario e non programmaticamente minoritario mira a portare avanti una lotta per l’egemonia con le componenti della piccola borghesia e dei ceti medi con cui è necessario confrontarsi per provare a mettere in discussione il blocco sociale dominante.

Al momento tale generosa battaglia politica può apparire impari, destinata a un quasi certo insuccesso, vista la divergenza che al momento appare difficilmente colmabile, per la incapacità di provare quantomeno a dialogare fra opportunisti di sinistra e i riformisti di destra. D’altra parte, in una situazione così disastrata, per evitare l’ennesima consecutiva conferma della sconfitta storica delle forze comuniste e sinceramente di sinistra di questo paese ci sembra una battaglia che vale comunque la pena combattere. Non fosse altro che per il dato di fatto, su cui insisteva Che Guevara, che l’unica battaglia realmente persa è quella che non si è combattuta.

Anche perché più passa il tempo nel quale le forze comuniste e sinceramente di sinistra non appaiono come una prospettiva realistica di alternativa di sistema alle proprie classi di riferimento e più diverrà necessario, per tornare a essere competitivi, scendere a compromessi in un’ottica inevitabilmente frontista. Naturalmente per poter provare a incidere in maniera significativa in tale complessa ed estremamente impervia battaglia politica sarebbe indispensabile operare nell’ottica di una ricomposizione delle forze comuniste per costituirsi in una frazione in grado di portare avanti in maniera efficace la dura lotta per l’egemonia che inevitabilmente non può non aver luogo in uno scenario di fronte ampio con cui dovremmo certamente fare i conti per un periodo non breve.

03/02/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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