Frammenti di un documento pieno di “omissis” che ho ritrovato su una pennetta web dispersa e dimenticata. Documento molto bene informato, certamente elaborato da una persona vicina all’apparato inquirente che, sul pasticcio G8 e torture, cercava di capire molto prima del tribunale europeo di Strasburgo.
di Ennio Remondino
Frammenti di un documento pieno di “omissis”, modello servizi segreti, che ho ritrovato su una pennetta web dispersa e dimenticata. In quei primi anni del nuovo millennio facevo il pendolare tra Belgrado e Gerusalemme, tra il dopo caduta di Milosevic e la seconda Intifada, con qualche viaggio avventura in Afghanistan dove gli americani cercavano i rifugi di Bin Laden bombardando da settemila piedi. Insomma, allora avevo un po’ troppo da fare per tornare ad occuparmi di “cose genovesi” di cui avevo potuto soltanto leggere.
In realtà la “fonte” potrebbe essere chiunque tra magistrati, avvocati, sbirri o spioni che ho avuto occasione di incrociare nella mia irrequieta vita professionale. Documento molto bene informato, certamente elaborato da una persona vicina all’apparato inquirente che, sul pasticcio G8 e torture, cercava di capire molto prima del tribunale europeo di Strasburgo.
Si parte da alcuni ragionamenti su presunte «gravi, carenze della azione giudiziaria a difesa delle vittime e per l’accertamento dei fatti». L’impressione è quella di una bomba ad orologeria già innescata.
«Mi è stato riferito di una Procura divisa in compartimenti stagni, incapace di adottare linee unitarie, che ha rinunciato ad indagare su alcuni aspetti inquietanti della attività della polizia: la sconsiderata carica del corteo autorizzato delle tute bianche, il fatto, incredibile, che nessuna azione di contrasto mirato sia stata fatta verso i gruppi di veri facinorosi, mentre si è seguitato a caricare selvaggiamente gruppi di manifestanti pacifici, la presenza a Genova di servizi italiani e stranieri di ogni tipo (a fare cosa nelle sale operative ?), etc…».
Belle domande vero?
Meglio ancora la ricostruzione sulla gestione del G8 da parte della Procura di Genova. Con grande puntiglio e vaste conoscenze giuridiche. Prima del 21 luglio: «Acquiescenza, se non l’esplicita autorizzazione, data all’amministrazione per adibire due caserme dei CC e della PS, Forte S. Giuliano e Bolzaneto, ad ufficio matricola in luogo del carcere». «Divieto generalizzato e privo di specifica motivazione, che deve essere data caso per caso, dei colloqui degli arrestati con i difensori prima dell’udienza di convalida».
Dopo il 21 luglio: qui la faccenda si fa più grave e complessa. Andiamo per punti.
1. «La mancanza di tempestivi interventi di controllo sulla perquisizione nella scuola Diaz, quando sin dall’alba tutte le televisioni avevano mostrato le immagini di arrestati sanguinanti e locali devastati ed era chiaro che era successo “qualcosa”».
Magistrati che parlano molto quelli del Palazzaccio in Piccapietra, ma autentici culi di pietra; nessuno che vada alla Diaz a dare una occhiata. Il PM che va sempre sul luogo del delitto è cosa solo cinematografica?
2. «L’incredibile nulla osta all’espulsione di tutti gli stranieri arrestati alla Diaz, anche comunitari, all’atto della loro scarcerazione, in molti casi avvenuta per assoluta mancanza di indizi, quando era evidente che ormai ci si trovava di fronte a parti lese e non a indagati».
Espulsioni di corsa quando il caos era finito e non esisteva pericolo. Risultato, solo gravi ritardi nell’indagine con costose rogatorie in altri Paesi. Decisione sbagliata o maliziosa?
3. «L’acritico adagiarsi di molte richieste cautelari sulle impostazioni della polizia». I numeri spiegano meglio. La procura avalla tutto quanto chiede la polizia, poi il giudice per le indagini preliminari deve sanare un mucchio di forzature. Su 78 arresti effettuati, 66 sono stati poi respinti, e solo 1 è rimasto in carcere. La “fonte” fa ironia: «record mondiale di mancate convalide e di rigetto di misure cautelari che ha caratterizzato tutti i giorni del G8». Complimenti all’ufficio.
4. Giochini di prestigio per motivare perquisizioni, ma soprattutto «L’invenzione di un metodo di ricerca della prova, l’inserzione a pagamento di una foto di cittadini su un quotidiano, di dubbia legittimità e giustificata a posteriori, con l’apertura di un inedito filone di indagine su contiguità tra Cobas e blocco nero, cui, per coerenza, avrebbero dovuto seguire imputazioni per reati associativi».
Seguono alcune osservazioni molto tecniche che io stesso non so valutare, quindi, […] (Omissis), come nello spionaggio.
«Deficit organizzativo della Procura evidente nei giorni del G8…», minimizza l’estensore dell’analisi critica che poi però fa le pulci, punto per punto, ai vari comportamenti illeciti o forzati ed inefficaci se non addirittura depistanti.
Ma c’è un punto meno “legalistico” ma certo di più vasto interesse pubblico.
«Nessuna misura, neppure interdittiva, è stata chiesta per funzionari di alto ed altissimo livello della Ps che, dai verbali anticipati dai giornali, sarebbero rei (quasi) confessi di calunnia, falso, e, ritengo, forse di porto abusivo di arma da guerra (le molotov), reato che non mi risulterebbe neppure ipotizzato ma sul quale ci sarebbe forse da discutere».
Poi un considerazione non solo giuridica ma personale dell’estensore dell’attenta analisi critica:
«La cosa che irrita di più è la sottovalutazione del ruolo di “vittime” dei pestati, e di vittime di reati gravissimi che, se fossimo un Paese civile, sarebbero qualificati come TORTURA senza discussione».
Sul profilo Facebook di Fabio Tortosa, poliziotto di 42 anni, romano, il commento due giorni dopo la condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
“Io sono uno degli 80 del VII nucleo. Io ero quella notte alla Diaz. Io ci rientrerei mille e mille volte”. Fabio Tortosa, classe 1973, un ventottenne ai tempi del G8 di Genova. Poliziotto del reparto mobile di Roma, è dirigente sindacale del Consap, dirigente della federazione italiana di football americano e vicepresidente della squadra di football americano Lazio Marines.
Sul proprio post Tortosa rivendica con orgoglio quanto fatto dalla polizia nella scuola genovese tra le fila del VII nucleo “sperimentale” inquadrato nel primo reparto mobile, quello dei “celerini” romani, protagonista dell’irruzione sotto il comando di Michelangelo Fournier. Il governo ora promette una indagine disciplinare: il futuro del forse, sanzioni dei mai.