A quasi 200 anni dalla sua scoperta, il mutualismo torna all’ordine del giorno del dibattito politico della sinistra in Italia. In primo luogo per il perdurare della crisi economica, che da quarant’anni si scarica sui lavoratori. In secondo luogo per la crisi del movimento comunista e delle sue incarnazioni statali. In terzo luogo per il revisionismo storico che attacca il metodo marxista di analisi della realtà e leninista di organizzazione della lotta di emancipazione lasciando campo libero al ritorno di concezioni utopistiche della trasformazione sociale che snaturano le esperienze di resistenza e assistenza genuinamente proletarie.
Un ritorno, quello del mutualismo, molto meno radicato nelle classi popolari rispetto al passato - quando l’aristocrazia operaia ancora non si era sviluppata e non esistevano né stato sociale, né welfare aziendale, né sindacati di servizio - ma sufficiente affinché il movimento politico antagonista più importante, Potere al Popolo, vi si voglia esplicitamente ispirare. Tanto che nella riunione del 26 maggio a Napoli ha deciso di dedicarvi un tavolo di lavoro ad hoc. Un tavolo che però comprende anche la questione della organizzazione del conflitto, rischiando di partorire un ossimoro.
Il mutualismo, infatti, in termini strettamente scientifici identifica un’ideologia anarcoide di matrice proudhoniana assai anestetizzante dato che vorrebbe stabilire un nuovo ordine sociale unicamente a partire dallo scambio: “Servizio per servizio, prodotto per prodotto, prestito per prestito, credito per credito, ecc. È l’antico sistema del taglione trasportato dal diritto criminale al campo economico” (Proudhon, 1865). E come in biologia il mutualismo, vale a dire la simbiosi da cui traggono beneficio entrambi gli organismi, presuppone l’esistenza di specie diverse, la selezione naturale, la lotta per l’esistenza, così in economia presuppone lo scambio di merci, la divisione del lavoro, le classi sociali. Esso, dunque, non costituisce in nessun modo un mezzo per risolvere la questione sociale ma al massimo rappresenta “l’applicazione egualitaria (cioè socialista) della teoria economica ricardiana” (Marx, 1847).
Il ruolo dei comunisti nel movimento mutualista
Ciononostante, come tenta di argomentare Salvatore Cannavò, il mutualismo sarebbe suscettibile anche di uno sviluppo antagonista: RiMaflow, Sfrutta Zero, Mondeggi Bene Comune, Ex Asilo Filangeri, Teatro Valle, Je so’ Pazzo, Officine Zero, solo per restare all’Italia contemporanea. E non c’è dubbio che ci sarebbe davvero un gran bisogno di costruire e potenziare forme di resistenza e assistenza popolari, come le casse di sostegno agli scioperanti; gli sportelli legali per i lavoratori autoctoni e forestieri; le mense popolari; i servizi all’infanzia e altre quattro pagine di ecc.
Questo, tuttavia, non può essere il compito principale dei militanti di un movimento che vuole farsi partito politico per dare il potere al popolo. I militanti, infatti, non devono “agire, mettersi al servizio, essere utili” fondando società di mutuo soccorso o cooperative “per produrre una comunità di destino, per praticare da subito un orizzonte di vita diverso e quindi sentirlo possibile e imminente, uscendo, grazie a questo sentimento, dall’eterno presente del capitalismo” (Salvatore Prinzi).
Al contrario, il loro compito relativamente al mutualismo dev’essere quello di verificare l’esistenza di iniziative ed entrarci in contatto, ma con gli scopi già indicati da Lenin nel 1910 per quanto concerneva le cooperative: “i) di collaborare in tutti i modi al loro sviluppo, ispirandosi nella loro organizzazione a un rigido criterio democratico (bassa quota d'entrata, un’azione per persona, ecc); ii) di cooperare, con un’instancabile propaganda e agitazione in seno alle associazioni, alle diffusioni delle idee della lotta di classe e del socialismo fra le masse operaie; iii) di stabilire e rafforzare, a misura che si sviluppa la coscienza socialista nelle cooperative, legami organici delle cooperative stesse con il partito dei socialisti, e anche con i sindacati”.
In sostanza, due linee di azione che si basano su due visioni del mondo opposte ed inconciliabili: “Una è la linea della lotta di classe proletaria, il riconoscimento del valore delle cooperative in questa lotta, come strumento, come mezzo ausiliario di questa lotta, e la determinazione delle condizioni nelle quali le cooperative possono effettivamente avere una tale funzione e non rimanere semplici imprese commerciali. L’altra è la linea piccolo-borghese, che tenta di metter nell’ombra il problema della funzione delle cooperative nella lotta di classe del proletariato, che estende l’importanza delle cooperative oltre i limiti di questa lotta (confondendo, per esempio, il punto di vista proletario e quello da padrone circa le cooperative), che determina il loro obiettivo con frasi cosi generiche che anche un riformatore borghese, ideologo dei padroni progressivi, grandi e piccoli, può accettarle” (Lenin, 1910).
Il valore del mutualismo
A dispetto di critici e detrattori, la correttezza della linea leninista parte dal riconoscimento dell’immenso valore che mutualismo e cooperative hanno per il proletariato. Ecco cosa scriveva Marx nel 1864: “Queste cooperative hanno provato che la produzione su grande scala e in accordo con i precetti della scienza moderna è possibile senza l'esistenza di una classe d'imprenditori che impieghi una classe di lavoratori; che i mezzi di lavoro non esigono, per rendere, di essere monopolizzati come mezzi di predominio e di sfruttamento del lavoratore; e che il lavoro salariato, come il lavoro schiavile e servile, è solo una forma transitoria e inferiore, che deve cedere al lavoro associato che svolge il suo assunto con mano volonterosa, mente alacre e cuore felice”.
E pure Lenin nel 1910 constatava “che le cooperative proletarie, diminuendo lo sfruttamento degli intermediari, influendo sulle condizioni di lavoro presso i fornitori, migliorando le condizioni dei loro propri dipendenti, ecc., danno alla classe operaia la possibilità di migliorare la sua situazione; che esse, fornendo un aiuto nei casi di sciopero, serrate, repressioni, ecc., acquistano un’importanza sempre maggiore nella lotta di massa economica e politica; che le cooperative proletarie, quando organizzano le masse della classe operaia, insegnano alla classe operaia stessa a dirigere in modo autonomo gli affari e ad organizzare il consumo, preparandola in questo campo alla funzione di organizzatore della vita economica nella futura società socialista”.
I limiti del mutualismo
Ciononostante, altrettanto chiari sono i limiti intrinseci delle società mutualistiche e cooperative. “Le esperienze del periodo che va dal 1848 al 1864 hanno dato prove irrefutabili che il lavoro cooperativo, benché bello in teoria e buono nella pratica, finché resta limitato all'angusta cerchia di sforzi singoli di operai isolati, mai sarà in grado di arrestare la progressione geometrica del monopolio, di liberare le masse o solo di alleviar il peso delle loro miserie. Forse per tale ragione aristocratici plausibili, filantropi borghesi garruli nonché economisti arditi hanno fatto all'improvviso elogi stucchevoli allo stesso sistema cooperativo che invano avevano cercato di soffocare in germe deridendolo come utopia di sognatori e bollandolo come sacrilegio di socialisti” (Marx, 1864).
Sulla stessa onda Lenin, che sempre nello scritto del 1910 ricorda come “i miglioramenti che le cooperative possono conseguire saranno circoscritti in limiti molto angusti finché i mezzi di produzione e di scambio si troveranno nelle mani della classe la cui espropriazione è scopo principale del socialismo; che le cooperative, non essendo organizzazioni che si propongono il fine di lottare contro il capitale, possono generare e generano l'illusione che a mezzo di esse si possa risolvere il problema sociale”. Limiti il cui risultato pratico è quello di avere società di mutuo soccorso che “raramente sono riuscite a rispondere ai bisogni economici che stavano alla loro base” come è costretto ad ammettere pure Cannavò citando la ricercatrice Maria Grazia Meriggi.
Prospettive del mutualismo
Le società mutualistiche e cooperative, dunque, non nascono per risolvere il problema sociale ma per alleviarlo, per resistere. In fondo si tratta di “organismi puramente commerciali ed essendo sottoposti alla pressione della concorrenza, hanno la tendenza a degenerare” (Lenin, 1910). A normalizzarsi, diremmo oggi, e diventare come la Lega coop di Poletti, le Banche popolari delle azioni parasubordinate, gli enti del c.d. “terzo settore” dell’immane sfruttamento e dell’infima qualità. E non per mero accidente, ma per intrinseca necessità.
E a nulla serve “l’istruzione di cooperative di produzione con l'aiuto dello Stato, sotto il controllo democratico del popolo lavoratore” ventilata nel Programma di Gotha del Partito operaio tedesco. “Invece che da un processo di trasformazione rivoluzionaria della società, l’organizzazione socialista del lavoro complessivo sorge dall'aiuto dello Stato, che lo Stato dà a cooperative di produzione, che esso, e non l'operaio, crea. Che si possa costruire con l'aiuto dello Stato una nuova società, come si costruisce una nuova ferrovia, è degno dell'immaginazione di Lassalle” (Marx, 1875). Gli appalti alle cooperative di Mafia capitale ce lo confermano.
E non passerà molto tempo che il padronato, con Bismarck, Giolitti e altri “statisti”, inizierà ad inglobare o soppiantare le iniziative autonome di assistenza e resistenza nate in seno alla classe lavoratrice col c.d. “Stato sociale”, per meglio garantire la riproducibilità della forza-lavoro. Ma anche per sottrargli uno strumento utile non soltanto a “trarne un vantaggio per la loro lotta contro il capitale” ma anche, come detto, per “insegnare alla classe operaia stessa a dirigere in modo autonomo gli affari e ad organizzare il consumo, preparandola in questo campo alla funzione di organizzatore della vita economica nella futura società socialista” e dunque per “comprendere, fino ad un certo punto, in base a quest'esempio, che cosa può essere la società socialista, organizzata dopo l’eliminazione delle contraddizioni dell’attuale regime” (Lenin, 1910).
Conclusioni
La ristrutturazione dello Stato asociale in atto in favore del welfare aziendale estende la prateria dei bisogni insoddisfatti. L’avocazione da parte del capitale di servizi pubblici che costituiscono una quota di salario (quello c.d. indiretto), in linea di principio rappresenta un passo in avanti dal momento che consente di smettere di pagare una quota delle spese di riproduzione della classe coi soldi dei salariati trasferendo l’onere dal reddito nazionale al capitale privato. Ciononostante, la ristrutturazione (e destrutturazione) dei servizi pubblici interessa tutta la classe lavoratrice mentre il welfare aziendale è destinato unicamente ai settori più alti e tutelati della divisione del lavoro.
Da qui i bisogni insoddisfatti che però solo in piccolissima parte possono essere colmati attraverso società mutualistiche e cooperative nate “dal basso” in quanto “con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico cresce il volume minimo del capitale individuale necessario per far lavorare un’azienda nelle sue condizioni normali” (Marx, 1867). Tanto che pure i sindacati per metter su i fondi pensione devono entrare in società con le associazioni padronali.
Dunque, chiedere ai militanti di impegnarsi nella costruzione di società mutualistiche e cooperative è una sonora perdita di tempo e di energie, che si prende gioco del grande entusiasmo che Potere al popolo ha saputo generare e che deve saper conservare, alimentare ed indirizzare. Iniziando con lo smascherare l'irrealtà dei piani di mutualisti e cooperatori, che consiste “nel sognare la trasformazione pacifica della società contemporanea mediante il socialismo, senza tener conto di una questione cardinale, come quella della lotta di classe, della conquista del potere politico da parte della classe operaia, dell'abbattimento del dominio della classe sfruttatrice. E perciò abbiamo ragione nel considerare questo socialismo "cooperativo" come del tutto fantastico, romantico e persino banale nel suo sogno di trasformare mediante la semplice organizzazione cooperativa della popolazione i nemici di classe in collaboratori di classe e la lotta di classe in pace di classe (cosiddetta pace civile). Senza la lotta di classe per il potere politico nello Stato, non si può realizzare il socialismo” (Lenin, 1923).
Note
Le citazioni di Marx sono tratte da: Miseria della Filosofia (1847); Indirizzo inaugurale dell'Associazione internazionale degli operai (1864); Il capitale, libro I, Cap. 23: La legge generale dell’accumulazione capitalistica (1867); Critica al programma di Gotha (1875).
Le citazioni di Lenin sono tratte da: La questione delle cooperative al congresso internazionale socialista di Copenaghen (1910); Sulla cooperazione (1923)
La citazione di Proudhon è tratta da: La capacità politica delle classi operaie, cap. IV: Il mutualismo (1865)
Le citazioni di Salvatore Cannavò sono tratte da: Mutualismo. Ritorno al futuro per la sinistra, cap 5: democrazia dell’autogoverno (2018).
Le citazioni di Salvatore Prinzi sono tratte da un suo post reperibile su facebook.