Per una critica marxista all’educazione borghese

Intervento di Zeno Casella del Partito comunista (Svizzera). L’autore è coordinatore del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) per il Canton Ticino.


Per una critica marxista all’educazione borghese

Care compagne, cari compagni,

ci tengo innanzitutto a ringraziare a nome del Partito Comunista svizzero le compagne e i compagni del Fronte Popolare per il gradito invito a questo importante convegno.

Il bicentenario della nascita di Karl Marx non è un’occasione per riesumare un pensiero vecchio di due secoli, bensì per rendere conto della sua validità e attualità. Il socialismo scientifico come enunciato da Marx e Engels non è un attrezzo intellettuale datato e malandato, bensì una teoria atta a guidare una prassi di azione sociale. È in questa prospettiva che credo ci riuniamo qui oggi: per cogliere dal passato le lezioni ed il metodo necessari per comprendere ed agire nel presente.

Il mio intervento si concentrerà pertanto su un tema poco battuto, ma estremamente rilevante per guidare alcune importanti lotte di questi anni. Il mio ruolo di coordinatore del Sindacato Indipendente degli Studenti e Apprendisti (SISA) in Canton Ticino mi dà la possibilità di ritrovare, nei testi di Marx, alcune preziose indicazioni sulla scuola e l’educazione in generale.

1.

Tutti gli estratti che citerò sono tratti dal 1° libro del Capitale. La radice del problema educativo è da ricercare per Marx nella divisione del lavoro tipica del modo di produzione capitalistico:

“La manifattura genera in ogni mestiere che afferra una classe di cosiddetti operai senza abilità, la quale era rigorosamente esclusa dalla conduzione a tipo artigianale. (…) La svalorizzazione relativa della forza-lavoro, che deriva dalla scomparsa o dalla diminuzione delle spese di tirocinio, implica immediatamente una più alta valorizzazione del capitale

La svalorizzazione della forza-lavoro ha delle conseguenze estremamente importanti sulle capacità che un uomo deve possedere per svolgere la propria funzione nell’apparato produttivo. Scrive Marx:

“Mentre la cooperazione semplice lascia inalterato nel complesso il modo di lavorare del singolo, la manifattura rivoluziona questo modo di lavorare da cima a fondo, e prende alla radice la forza-lavoro individuale. Storpia l’operaio e ne fa una mostruosità favorendone, come in una serra, la abilità di dettaglio, mediante la soppressione d’un mondo intero d’impulsi e di disposizioni produttive.”

Tuttavia, lo stesso sviluppo delle forze produttive crea una contraddizione cruciale nelle esigenze formative del capitale. Con le parole di Marx:

“Per la grande industria diventa questione di vita o di morte sostituire a quella mostruosità che è una miserabile popolazione operaia disponibile, tenuta in riserva per il variabile bisogno di sfruttamento del capitale, la disponibilità assoluta dell’uomo per il variare delle esigenze del lavoro; sostituire all’individuo parziale, mero veicolo di una funzione sociale di dettaglio, l’individuo totalmente sviluppato, per il quale differenti funzioni sociali sono modi di attività che si danno il cambio l’uno con l’altro.”

D’altronde però, istruire le masse pone alla borghesia il problema del controllo sociale: Marx riporta a tal proposito le rivelatrici parole del signor Geddes, un fabbricante di vetri inglese:

“A mio giudizio, la maggior quantità di educazione di cui ha usufruito parte della classe lavoratrice negli ultimi anni è dannosa e pericolosa, perché la rende troppo indipendente.”

Il capitale è quindi preda di un dilemma contraddittorio: occorre istruire le masse per avere a disposizione della forza-lavoro qualificata, o piuttosto tenerle nell’ignoranza in modo che siano più docili?

2.

Le parole del signor Geddes corrispondono purtroppo a quelle delle attuali classi dirigenti di tutto il continente. Dopo la massificazione degli studi del secondo dopoguerra, dettata dalle esigenze produttive e dai rapporti di forza più favorevoli al movimento operaio, la rivoluzione neoliberale ha iniziato a smantellare i progressi sociali conquistati in campo educativo. Caduto il muro di Berlino e con esso la necessità di sostenere un confronto “sociale” rispetto al blocco socialista, l’istruzione pubblica è stata posta duramente sotto attacco, dalla rete scolastica alle borse di studio, mentre la stessa educazione diviene una merce sul mercato.

Il sindacato studentesco in Ticino non ha mancato di rilanciare la lotta contro i tagli all’istruzione, in particolare per quanto concerne le borse di studio: questo stesso mercoledì, nell’ambito di una giornata di mobilitazione nazionale, il SISA ha organizzato azioni di protesta e affissioni di striscioni in sette scuole superiori del Cantone. Ora continuiamo a pretendere dal Parlamento l’esame della nostra petizione consegnata lo scorso aprile, con cui viene chiesta una politica di rafforzamento degli aiuti, in contrasto con i tagli degli ultimi anni.

D’altra parte, le nuove condizioni dell’economia globale, costantemente rivoluzionata da uno sviluppo tecnologico impetuoso e incontrollabile, necessitano di una manodopera flessibile e facilmente riallocabile da un settore all’altro.

Che fare quindi? Assicurare una formazione completa, a 360° sul sapere umano, ad ogni operaio per far sì che possa essere “riallocato” in caso di delocalizzazioni o d’automazione delle funzioni produttive?

Ebbene no: il capitale è riuscito a formulare ed imporre dei nuovi paradigmi pedagogici strettamente funzionali ai propri obiettivi: il celebre “insegnamento per competenze” permette infatti di “dotare” gli studenti (ossia i futuri lavoratori) di un insieme di attitudini e di capacità pratiche grazie alle quali adattarsi facilmente e rapidamente ad ogni nuova mansione produttiva.

In questa prospettiva, i cosiddetti “saperi”, le conoscenze, non sono più strettamente necessari e andrebbero anzi tralasciati, in quanto facilmente deperibili in un contesto in costante mutamento e altrettanto facilmente recuperabili in una società informatizzata come la nostra.

In fin dei conti, sia per fare il fattorino, che il magazziniere di Amazon o il cassiere di McDonalds, bisogna essere capaci di gestire un’interfaccia elettronica, di lavorare in gruppo, di esprimersi verbalmente in una o due lingue, ma non serve certo sapere quando è stata scoperta l’America, qual è la composizione chimica dell’acqua, o ancora quali sono le basi della programmazione informatica.

I nuovi piani di studio, elaborati sulle direttive di centri del capitalismo globale quali l’OCSE o l’UE, sono quindi sempre più imperniati sulle “competenze” da sviluppare durante la scolarità e mettono da parte i contenuti dell’insegnamento, che costituiscono però il principale patrimonio conoscitivo che le classi popolari riescono ad assumere nella propria vita (non essendo quasi mai destinate a fare degli studi superiori).

La lotta per un’educazione emancipatrice passa dunque anche attraverso la resistenza a queste nuove tendenze pedagogiche: il SISA si è dovuto confrontare con l’introduzione di un nuovo Piano di studio incentrato precisamente sull’insegnamento per competenze. Una rivoluzione pedagogica contestata da pochi, tra cui alcune meritevoli associazioni magistrali di tendenza socialdemocratica ma con alcune reminiscenze marxiste o lo stesso Partito Comunista. Il nostro deputato Massimiliano Ay ha inoltrato a questo proposito un’interrogazione al governo cantonale, nel quale si segnalavano le varie criticità di questo approccio all’insegnamento (le cui nefaste conseguenze sono peraltro già state osservate negli Stati Uniti, dove esso è realtà dall’inizio degli anni 2000). Attendiamo ancora risposta.

3.

In via di conclusione, vorrei riportare la vostra attenzione su alcune riflessioni sviluppate da Marx nella sua opera e trarne alcuni “lineamenti” per un’educazione socialista.

Dall’osservazione marxiana dello sviluppo contraddittorio dell’industria moderna è nata anche una prospettiva estremamente interessante per il movimento studentesco e più in generale scolastico. Scrive Marx:

“Dal sistema della fabbrica è nato il germe dell’educazione dell’avvenire, che collegherà per tutti i bambini oltre una certa età, il lavoro produttivo con l’istruzione e la ginnastica, non solo come metodo per aumentare la produzione sociale, ma anche come unico metodo per produrre uomini di pieno e armonico sviluppo.”

L’autore del Capitale enuncia qui quella che nel Manifesto del partito comunista viene definita “unificazione dell’educazione e della produzione materiale”. Un’istruzione politecnica che ricolleghi l’educazione al lavoro produttivo, per formare degli uomini completamente sviluppati.

Tale prospettiva è però ben lontana dalle forme di sfruttamento dei giovani quali quelle introdotte negli ultimi anni: né l’alternanza scuola-lavoro italiana (spesso priva di qualunque valenza educativa), né l’apprendistato svizzero (nel quale l’educazione culturale è completamente tralasciata, e in cui le misere paghe spesso non corrispondono minimamente alla produzione realizzata).

Bisogna lottare contro queste forme di sfruttamento giovanile, contro le deformità che esse hanno assunto, ma senza ripudiare il valore educativo del lavoro produttivo, che va unito alla formazione teorica per un’educazione completa dell’uomo. Questa è la prospettiva da recuperare e su cui lavorare per fondare una scuola popolare, emancipatrice, democratica, nel solco dell’esperienza socialista dello scorso secolo.

Qualora qualcuno fosse interessato a dei riferimenti bibliografici più precisi sarò felice di fornirglieli.

Grazie.

28/04/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Zeno Casella

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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