Il 31 ottobre 2022, Tomáš Hübner, giudice unico del Tribunale distrettuale di Praga 7, ha condannato a otto mesi di reclusione Josef Skála, noto intellettuale marxista, ex vicepresidente del Partito comunista di Boemia e Moravia (KSCM), insieme con Vladimír Kapal, e Juraj Václavík, tutti e tre incriminati, in base all’articolo 405 del Codice penale della Repubblica ceca, per aver messo in discussione la versione che attribuisce alla dirigenza sovietica il massacro di Katyn (l’uccisione di migliaia di prigionieri di guerra polacchi sul territorio dell’URSS, occupato dalla Wehrmacht nell’estate del 1941).
Due anni prima, il 2 luglio 2020, i tre avevano partecipato al forum di discussione pubblica – organizzato, su richiesta degli ascoltatori, da www.svobodne.radio.cz – sul massacro di Katyn, divenuto uno dei principali argomenti della crociata antisovietica e anticomunista delle forze politiche e sociali andate al potere nel 1989, la cui versione dei fatti scarica sui sovietici premeditazione ed esecuzione del crimine. Tale versione, sulla base dell’analisi dei documenti e delle prove disponibili fino al 2020, è contestata da ricercatori e studiosi di diversi Paesi, che l’hanno attribuita agli occupanti nazisti [1].
Nel forum del 2 luglio 2020 J. Skála ha sottolineato che l’obiettivo era quello di stimolare ulteriori discussioni senza alcuna affermazione dogmatica. Né lui né gli altri relatori hanno negato o messo in dubbio il massacro dei prigionieri polacchi, né tantomeno lo hanno avallato o giustificato in alcun modo. Sono entrati esclusivamente in un dibattito, che dura da oltre tre quarti di secolo, sull’attribuzione delle responsabilità. La loro colpa è quella di essersi opposti alla versione oggi spacciata come canone inviolabile, argomentando con riferimento a fonti e documenti, compresi quelli emersi dagli archivi nel periodo successivo al crollo dell’URSS. La trasmissione ha avuto molti commenti positivi e non ha sollevato polemiche.
Il 18 marzo 2022 – quasi due anni dopo – tutti e tre i partecipanti al forum sono stati convocati dal Comando nazionale per la lotta alla criminalità organizzata della Polizia della Repubblica Ceca per fornire spiegazioni. Era la fase iniziale del procedimento penale, che ha avuto il suo primo epilogo nella condanna a 8 mesi del 31 ottobre, alla quale hanno fatto opposizione.
IL PROCESSO SI SVOLGERÀ IL 1° FEBBRAIO 2023.
L’associazione PRAK (Contro la repressione e la criminalizzazione) mette in luce alcune “coincidenze” che rivelano l’uso politico strumentale dell’articolo 405 del codice penale ceco. Un mese prima dell’inizio del procedimento penale, Josef Skála aveva annunciato l’intenzione di candidarsi alle elezioni presidenziali. L’incriminazione lo ha ostacolato nella raccolta delle 50.000 firme necessarie alla presentazione della candidatura. Inoltre, egli è tra i militanti più attivi del movimento per la pace e contro la NATO, che ha partecipato alle massicce manifestazioni autunnali a Praga e in altri centri del Paese. Si ricorre al codice penale per colpire lui e il movimento politico d’opposizione di cui è parte attiva, per inibirgli l’agibilità politica.
Nel 2000, poco dopo l’ingresso ufficiale di Ungheria, Polonia e Repubblica ceca nella NATO (12 marzo 1999) venne approvata la Legge che introduceva nel codice penale del 1961 l’art. 261a, che accomuna crimini nazisti e comunisti:
Chiunque neghi, metta in dubbio [2], approvi o tenti di giustificare pubblicamente il genocidio nazista, comunista o di altro tipo o crimini nazisti, comunisti o di altro tipo contro l’umanità o crimini di guerra o crimini contro la pace è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Diventerà poi, nel nuovo codice penale entrato in vigore il 1° gennaio 2010, l’articolo 405. Questa formulazione – al pari di altre presenti nei codici penali di Paesi ex socialisti quali Lituania, Polonia, Slovacchia, Ungheria – lascia ampi margini di discrezionalità e di arbitrarietà all’autorità giudiziaria, che viene trasformata in autorità scientifica suprema, depositaria di una verità indiscutibile, dubitare della quale porta al carcere. Nei Paesi della “libera” UE torna il medievale Tribunale dell’Inquisizione.
La criminalizzazione dell’esperienza storica del comunismo ha potuto impiantarsi sulla nuova impostazione politico-giuridica di alcuni Paesi occidentali negli anni 90 – Francia (1990), Austria (1992) Germania (1994), Belgio (1995), Lussemburgo (1997) [3] - che ritennero di contrastare il negazionismo della Shoah attraverso il codice penale, nelle aule del tribunale invece che in quelle universitarie e nel dibattito pubblico. Una strada che buona parte della comunità dei ricercatori e degli storici criticò per i suoi prevedibili effetti perversi. Scriveva ad esempio Stefano Levi Della Torre che è “aberrante colpire per legge reati di opinione, anche perché ciò propone indirettamente che esista una verità ufficiale sancita per legge. La falsità per legge presuppone una verità per legge, e questa è un’idea familiare alle inquisizioni e ai totalitarismi, e ostica per la democrazia e per la ricerca scientifica. Colpire per legge anche una menzogna malintenzionata apre nel campo dei diritti costituzionali una breccia che non si sa dove vada a finire. Le opinioni e le teorie aberranti e malintenzionate vanno combattute sul terreno delle battaglie culturali, attivamente” [4].
Negli oltre trent’anni seguiti all’89, attraverso un martellamento mediatico ininterrotto e sempre più duro operato dai nazionalisti anticomunisti e antirussi dei paesi ex socialisti dell’Europa centro-orientale e dagli ideologi oltranzisti della NATO, si è imposta nella UE una nuova narrazione storica, che rovescia quella che – pur con tutte le asperità della guerra fredda – riconosceva il grande valore storico della coalizione alleata antinazista e l’apporto fondamentale e imprescindibile dell’Unione Sovietica alla vittoria contro il nazifascismo. Il suggello di questa nuova narrazione è stata la Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa” [5], che toglie qualsiasi valore all’alleanza internazionale antinazifascista per accomunare in una condanna senza appello Germania nazista e URSS, additati come corresponsabili (con qualche accento più pesante contro i russi) dello scoppio della II guerra mondiale e di tutti i lutti che ne seguirono, e indicando nelle liberaldemocrazie il faro e il destino dei popoli europei. Su questa base può così operare la nuova Inquisizione del XXI secolo, che mette in carcere chiunque sollevi anche un fondato dubbio sulla storia scritta e sancita dalle forze politiche al potere.
L’incriminazione e la condanna di Josef Skála e degli altri relatori al dibattito su Katyn del 2 luglio 2020 va al di là delle stesse maglie larghe e della grande discrezionalità (con facile slittamento nell’arbitrarietà) che la legislazione penale ceca consegna alle autorità di polizia e al giudice, come denuncia un gruppo di giuristi e avvocati democratici in un circostanziato documento, in cui si rileva che nel programma del 2 luglio 2020, non c’era il minimo eccesso emotivo o dichiarazioni che potessero insultare o umiliare qualcuno oggi, o minacciare i suoi diritti o i valori e le norme di una società democratica. La discussione radiofonica sul crimine di 80 anni fa ha offerto risultati pubblicamente disponibili di studiosi seri; nessuna delle argomentazioni avanzate era priva di una fonte documentabile. Pertanto, il programma era del tutto coerente con quanto la Costituzione ceca vigente e la Carta dei diritti e delle libertà fondamentali garantiscono alla libertà di espressione.
L’incriminazione e la condanna dei tre relatori stabilisce un precedente allarmante, è un ulteriore passo verso una UE sempre meno tollerante del dissenso, sempre più in contraddizione con quei principi di libertà che in modo altisonante proclama ad ogni piè sospinto.
La solidarietà con gli incriminati di Praga e l’impegno perché siano pienamente scagionati assume oggi il valore di una battaglia più generale nella UE per la difesa della libertà di espressione e di agibilità politica, contro la repressione.
Note:
1.Una sintesi aggiornata si può leggere in Grover Furr,The Katyn Massacre: A Re-examination in the Light of Recent Evidence, in “Cultural Logic: Marxist Theory & Practice”,Volume 24 (2020), pp. 37-49, in https://ojs.library.ubc.ca/index.php/clogic/article/view/193976.
2.Corsivo mio, AC.
- Cfr. Cajani, L. (2012). CriminalLawsonHistory:TheCaseoftheEuropeanUnion, “Historein”, 11, 19–48. https://doi.org/10.12681/historein.138.
4.Cfr. 6 ragioni per non punire il negazionismo, 30 ottobre 2010, in http://www.hakeillah.com/5_10_01.htm. Si veda anche, tra gli altri, Contro il negazionismo, per la libertà della ricerca storica, firmato nel 2007 da centinaia di docenti universitari e studiosi, pubblicato in “Storicamente”, 2 (2006), https://storicamente.org/02negazionismo: “La strada della verità storica di Stato non ci sembra utile per contrastare fenomeni, molto spesso collegati a dichiarazioni negazioniste (e certamente pericolosi e gravi), di incitazione alla violenza, all’odio razziale, all’apologia di reati ripugnanti e offensivi per l’umanità […] È la società civile, attraverso una costante battaglia culturale, etica e politica, che può creare gli unici anticorpi capaci di estirpare o almeno ridimensionare ed emarginare le posizioni negazioniste. Che lo Stato aiuti la società civile, senza sostituirsi ad essa con una legge che rischia di essere inutile o, peggio, controproducente”.
5.Si vedano in proposito, tra gli altri, gli articoli di Joao Arsenio Nunes e Enrico Maria Massucci in “MarxVentuno” n. 2-3/2021, pp. 241-262.
[uscito su Marx21 il 17/01/2023]