Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.
Le direzioni opposte seguite dai continuatori di Parmenide
Parmenide ha due grandi continuatori: Zenone di Elea e Melisso di Samo. Il contributo da essi arrecato all’affinamento del pensiero parmenideo assicura loro un posto ragguardevole nella storia della filosofia. Entrambi si adoperano a difenderne le tesi, sia pure svolgendo in direzioni opposte la tensione che vi è implicita: Zenone approfondendo la problematica del logos nella sua crescente autonomia, Melisso invece sviluppando il tema dell’essere nella sua assolutezza sostanziale.
Zenone e la fondazione della dialettica
Il pensiero di Parmenide riscuote notevole successo nella cultura greca del V secolo, ma suscita anche diverse critiche. Gli avversari della concezione parmenidea insistono sull’evidenza per cui le cose che esistono sono molteplici e capaci di movimento, evidenza che contraddice l’unicità e l’immobilità dell’essere parmenideo. Contro queste critiche Zenone scrive un’opera in prosa di cui ci restano cinque frammenti.
Vita e posizione politica
Nato ad Elea all’inizio del V sec., più giovane di circa venticinque anni di Parmenide, Zenone è dotato di un ingegno acuto e vigorosamente polemico. Oltre che di logica, Zenone si occupa di politica e contribuisce notevolmente al buon governo di Elea. Muore con grande fierezza per aver cospirato contro il tiranno della città. Sulla sua fine si tramandano vari particolari che ne confermano l’eccezionale coraggio.
Dimostrazione per assurdo e paradossi
Zenone stesso leggerà in pubblico l’opera scritta a difesa di Parmenide, nel racconto di Platone, durante la sua visita ad Atene, impressionando il giovane Socrate per la sua abilità “nel negare con ogni sforzo la molteplicità delle cose”. Zenone si serve della dimostrazione per assurdo che consiste nell’ammettere in via ipotetica una tesi – nel suo caso quella dei critici di Parmenide – e dimostrare attraverso il ragionamento che porta a conclusioni assurde e, dunque, riconoscere che è falsa. Con questo procedimento dimostra che quanto sostengono i detrattori di Parmenide è falso, ovvero confuta le loro affermazioni. Poiché le opinioni confutate sono basate sul senso comune – l’evidenza della molteplicità e del movimento – i risultati delle confutazioni di Zenone sono dette paradossi, ossia, alla lettera, ciò che è “contro l’opinione comune”. Zenone dunque condivide con Parmenide non solo la tesi dell’unicità e immobilità dell’essere, ma anche il metodo d’indagine che consiste nell’utilizzare esclusivamente la ragione diffidando delle evidenze che derivano dall’osservazione e dall’esperienza.
Argomenti a difesa della filosofia di Parmenide
Per gli argomenti ideati a difesa dell’unità, intesa come omogeneità e continuità non divisibile in parti, e dell’immobilità dell’essere e per il suo metodo di discussione Aristotele se ne occupa a lungo, considerandolo il fondatore della dialettica formale, ossia del metodo confutatorio capace di mostrare l’infondatezza di una dottrina o di una tesi filosofica. L’originalità del metodo zenoniano consiste, in effetti, nell’assumere a punto di partenza la tesi da confutare e nel dedurne rigorosamente tutte le logiche conseguenze, per mostrarne la contraddittorietà e, di conseguenza, l’assurdità della tesi. I celebri argomenti di Zenone a difesa della filosofia di Parmenide mirano a provarci che se la negazione del movimento e della molteplicità può a prima vista apparire assurda, l’ammissione di essi conduce ad assurdità ancor più gravi, nascoste dal linguaggio ordinario. Il perno di tali argomenti consiste nella dimostrazione che, sia nella nozione di movimento, sia in quella di pluralità, si annida il delicato concetto d’infinito. Questi argomenti o confutazioni si dividono in due gruppi: 1) quelli in difesa dell’unicità dell’essere o “argomenti contro il molteplice”; 2) quelli in difesa dell’immobilità dell’essere o “argomenti contro il movimento”.
Argomenti per confutare la molteplicità
Quanto all’argomentazione di Zenone contro la molteplicità essa sosteneva: supponiamo che esistano due entità A e B distinte; per il fatto di essere distinte, queste due entità devono risultare separate da uno spazio intermedio C. Ma C è distinto tanto da A quanto da B e, quindi, esisteranno altri elementi D ed E che separano rispettivamente C da A e da B ecc. Poiché ciò può venir ripetuto all’infinito, se ne conclude che l’ammissione di due entità distinte conduce di necessità all’ammissione di infinite entità.
Al fine di porre luce sulle difficoltà logiche di quest’ammissione, Zenone passa a dimostrare come, partendo da essa, si debba giungere a negare l’esistenza di qualsiasi lunghezza finita. E infatti – così ragionava – se gli elementi che costituiscono un segmento AB sono infiniti, o essi sono nulli, o non sono nulli; nel primo caso la lunghezza del segmento non può essere che nulla, in quanti la somma di infiniti zeri è zero; nel secondo non può che essere infinita, poiché a suo avviso la somma di infinite quantità diverse da zero sarebbe infinita.
Argomenti per confutare il movimento
I più celebri paradossi di Zenone sono i primi tre contro il movimento. Il primo è l’argomento dello stadio. Immaginiamo che un corridore debba spostarsi da un estremo all’altro di uno stadio: prima di aver percorso tutto il segmento, dovrà averne percorso la metà; prima di questa, la metà della metà, e così via all’infinito. Dunque, dovendo percorrere infiniti tragitti, il corridore non arriverà mai in fondo allo stadio e, quindi, non arriverà a compiere il proprio movimento. Questa conclusione contraddice l’ipotesi per cui un corridore si muove da un estremo all’altro dello stadio e, dunque, anche la premessa generale per cui le cose si muovono.
In modo analogo, se il “piè veloce” Achille vuole raggiungere la lentissima tartaruga, che lo precede di un tratto s, egli dovrà percorrere: innanzi tutto quella distanza s, poi il tratto s' percorso dalla tartaruga mentre Achille percorreva il tratto s, che nel frattempo si era spostata in s’’. Non appena Achille percorre questo tratto, la tartaruga si sposta in s’’’ e così via all'infinito. Dunque, Achille dovendo percorrere infinite distanze, non raggiungerà mai la tartaruga. Questa conclusione contraddice l’ipotesi particolare per cui Achille raggiunge la tartaruga e, quindi, anche la premessa generale per cui le cose si muovono. Il presupposto logico è la divisibilità all’infinito dello spazio, lo spazio che deve percorrere Achille è composto da infiniti punti, ma per percorrere infiniti punti ci vuole un tempo infinito, perciò sostanzialmente Achille non si muove.
Nell’un esempio come nell’altro, il fatto – in apparenza semplicissimo – del movimento, la sua evidenza si frantuma dunque in infiniti moti, sia pure sempre più piccoli ma mai nulli, e costituiti da infiniti punti. Proprio questa loro infinità è causa di profonde difficoltà concettuali, che non possono non rendere perplesso qualsiasi uomo disposto al ragionamento.
Aristotele risolve la questione distinguendo il piano della realtà da quello del pensiero: nella realtà esistono solo distanze finite, l’infinito è invece solo la possibilità mentale di aumentare indefinitamente o diminuire qualsiasi quantità. Ciò che è importante è che Zenone con l’ipotesi della divisibilità all’infinito rende evidente la sfasatura tra il piano logico e quello del reale, per questo sarà celebrato da matematici-filosofi come Bertrand Russell (1872-1970), anche per avere ammesso la possibilità della divisione all’infinito e posto il concetto che sta alla base del calcolo infinitesimale, che offre strumenti per risolvere il paradosso di Achille, paradosso che però non si risolve sul piano logico-filosofico dove risulta inconfutabile,
ammettendo l’infinità dello spazio.
Altro argomento contro il movimento è quello della freccia. Una freccia che ci appare in movimento è in realtà immobile, infatti in ogni istante occupa uno spazio determinato pari alla sua lunghezza, ma in ogni istante è ferma, e la somma di posizioni in cui è immobile, non può dare il movimento. Zenone sembra qui suggerire che il movimento che osserviamo nella realtà è soltanto l’effetto illusorio di una successione di istanti di immobilità, proprio come il movimento rappresentato in un film è soltanto l’effetto illusorio di una successione di fotogrammi immobili.
Con i suoi paradossi Zenone non fa che supporre indirettamente la tesi del maestro ovvero che l’essere vero e logico è il razionale e non è quello in cui viviamo: coloro che scambiano l’apparente con il reale e parlano di movimento e mutamento cadono in contraddizioni inestricabili.
La svalutazione dello spazio e del tempo e le aporie del movimento dinanzi all’infinito
È ingiusto, quindi, considerare questi ragionamenti zenoniani quali semplici sofismi o pseudoragionamenti.
In realtà essi hanno avuto il merito storico di attirare l’attenzione su talune difficoltà dei due concetti di movimento e di lunghezza, dovute all’inevitabile introduzione dell’infinito, sia allorché si scompone un intervallo di tempo, sia allorché si scompone un segmento di spazio. Le nozioni di spazio e di tempo sono necessarie al molteplice e al movimento, ma secondo Zenone lo spazio e il tempo risultano divisibili all’infinito ed è proprio sulla divisibilità all’infinito che si basano i paradossi di Zenone che portano alla confutazione della molteplicità e del movimento.
Nella prospettiva di Zenone, lo spazio e il tempo si rivelano a loro volta nozioni contraddittorie, in quanto la loro estensione e durata comporta la molteplicità e il movimento, ma la loro infinita divisibilità contraddice la molteplicità e il movimento. Nel difendere Parmenide per cui l’essere è unico e immobile, Zenone finisce per evidenziare che l’essere non può avere estensione spaziale e durata temporale: lo spazio e il tempo appartengono a loro volta al mondo illusorio e contraddittorio dell’esperienza e non hanno nulla a che fare con l’essere conoscibile mediante l’intelletto.
Zenone supera implicitamente le posizioni di Parmenide
Dal punto di vista dell’eleatismo, il metodo scelto da Zenone per difendere le posizioni di Parmenide pone tuttavia la premessa di una loro crisi e di un loro superamento. Lo spregiudicato uso logico-matematico che egli fa del logos non si muove più sulla via di una identificazione del logos stesso all’essere, del riconoscimento di una realtà scoperta dal pensiero, ma in cui il pensiero deve confondersi; Zenone pone piuttosto le premesse per uno svincolamento del discorso logico-matematico dall’esistente, e lavora, quindi, oggettivamente alla rottura di quella unità immediata di discorso-pensiero-essere che caratterizza la “vera via” proposta dal grande maestro di Elea Parmenide.