Religione popolare vs cristianesimo

Hegel potrà passare a un’autonoma e originale riflessione speculativa solo nel corso del lavoro da storico pensante, dopo aver sviluppato fino alle estreme conseguenze i postulati della filosofia kantiana e averne colto l’inadeguatezza a dar conto in maniera conseguente del piano storico-fenomenologico.


Religione popolare vs cristianesimo

Ha certamente ragione Edoardo Mirri che – in decisa polemica con una tradizione interpretativa dominata da pregiudizi e schematismi che hanno la loro origine nella “vulgata diltheyana” – considera la religione popolare come il tramite che permette ai principi della morale di divenire fruibili da parte del popolo: “in altre parole: Hegel, che aveva già formulato con Böck la teoria dei diversi «gradi» della moralità, viene ora elaborando «in proprio» il concetto della religione come grado intermedio tra la naturale sottomissione agli impulsi e l’ideale della pura ragion pratica. Ma il fine da perseguire, è chiaro, non è già questo grado intermedio, di per sé destinato a scomparire con il progredire dell’«Aufklärung», bensì il puro ideale di un’autonoma ragion pratica. Tutto, dunque, in una linea assolutamente kantiana, con la sola aggiunta di una «propedeutica» che tiene conto della debolezza naturale umana ma non inficia per questo la purezza dell’ideale” [1]. 

D’altra parte, il punto problematico dell’interpretazione di Mirri, consiste nell’aver sottovalutato questa “propedeutica”, questa “natura mediana della «religione popolare» tra la mera superstizione e la pura moralità”, che costituisce invece il principale motivo d’interesse di scritti giovanili in cui Georg Wilhelm Friedrich Hegel, del tutto a ragione, non si sente ancora in grado di rimettere in discussione i fondamenti speculativi della filosofia critica. Egli potrà passare a un’autonoma e originale riflessione speculativa solo nel corso del lavoro da “storico pensante”, dopo aver sviluppato fino alle estreme conseguenze i postulati della filosofia kantiana e averne colto l’inadeguatezza a dar conto in maniera conseguente del piano storico-fenomenologico. Per servirci di un celebre passaggio della logica hegeliana, sarà proprio questo sviluppo semplicemente quantitativo della filosofia critica a permettere il suo superamento-rovesciamento qualitativo, da cui sorgerà nel giovane Hegel l’esigenza di un sistema autonomo. Attraverso l’analisi dei concetti della religione che gli sembrano maggiormente funzionali, e che del resto padroneggia meglio, Hegel intende fondere le strutture razionali della ragion pratica indagate da Immanuel Kant con un’analisi in grado di porsi anche sul piano storico-fenomenologico. Al di là di tante, piuttosto inutili, elucubrazioni mentali sulle tematiche teologiche affrontate dal giovane Hegel negli scritti di questi anni, si è finito spesso per dimenticare che la formazione universitaria del giovane Hegel era stata caratterizzata proprio da studi di questo genere. Inoltre a differenza dell’amico Schelling molto volubile nei suoi interessi, il carattere metodico e diligente di Hegel lo porterà a lasciare questo tipo di interessi solo dopo averli sviscerati adeguatamente. Ovviamente con queste notazioni di carattere esistenziale non si pretende di aver esaurito questa problematica, che sarà chiarita ad altri livelli in seguito.

Mirri, al contrario, lascia addirittura intendere che la pubblicazione dell’edizione critica delle opere di Hegel possa costituire una sorta di prova inconfutabile delle sue tesi ermeneutiche: “oggi la pubblicazione dei testi giovanili di Hegel (non è giusto nemmeno parlare di «frammenti», poiché non appartengono a un «tutto» che li giustifichi come tali) secondo l’effettivo ordine di pubblicazione fa giustizia di gran parte dell’interpretazione critica consueta. Anzitutto eliminando l’idea di un’opera unica che svolga un tema unico individuato – chissà perché – nella «religione popolare»; in secondo luogo, e soprattutto, togliendo al concetto di «religione popolare» il ruolo preminente che il Nohl gli aveva assegnato: vedremo che esso è solo un occasionale e passeggero svolgimento di ciò che Hegel aveva appreso a Tubinga dal prof. Böck in occasione della preparazione della dissertazione «pro magistero»” [2]. In questo passo colpisce il giudizio relativo a quasi tutta la ricerca anteriore sui testi del giovane Hegel come sostanzialmente priva di senso, dato che si sarebbe, “chissà perché”, occupata di un tema totalmente marginale, quello della religione popolare, derivato unicamente dal magistero di Böck nel seminario di Tubinga. Per altro “Aug. Fried. Böck, professore di eloquenza e poesia, «privo di comprensione per la nuova metafisica», ebbe scarsa risonanza come filosofo (…) Lesse diritto naturale (Feder) e estetica (Mendelssohn)” [3].

Al contrario di quanto sostenuto da Mirri, occorre sottolineare, avvalendosi di una ricerca ormai secolare, che si tratta di un tema più o meno direttamente presente non solo nelle opere di Stoccarda, ma in quasi tutti i filosofi di cui si è occupato Hegel negli anni della sua formazione, volendo tacere la sua attualità storica in relazione agli eventi della Rivoluzione francese. Contro il riduzionismo alla Mirri ha osservato Roberto Finelli che: “una cosa è il rifiuto, sul quale non è difficile sulla base della nuova edizione convenire, di assegnare a quegli scritti la natura di segmenti di un’opera che Hegel fin dall’inizio avrebbe intenzionalmente progettato e perseguito in modo unitario e altra invece il rifiuto di vedere nei testi di Tubinga una tematica non solo omogenea ma già teoreticamente originale di uno Hegel che, se trae il suo alimento di fondo dall’illuminismo morale di Kant, esprime pure, nell’elaborazione che ne compie, un’impostazione già sua propria, la quale culmina proprio in quel concetto di Volksreligion” [4]. Si legga, invece, quanto scrive Mirri nella sua introduzione ai testi intitolati da Nohl Religione popolare e cristianesimo: “nell’ordinamento [datogli da Nohl], infatti, le ragioni di una presunta continuità argomentativa avevano prevalso su quelle della realtà storica della composizione (il lettore se ne potrà rendere facilmente conto da un rapido confronto del testo del Nohl con l’edizione odierna articolata in quindici diversi testi); nell’interpretazione, l’edizione del Nohl suggeriva l’idea di un’opera complessiva – seppure discontinua e in parte frammentaria o incompiuta – sul tema della «religione popolare»; la quale avrebbe costituito, per il giovane Hegel, il criterio e il metro di giudizio per la valutazione del cristianesimo, che sarebbe stato giudicato severamente appunto perché «non popolare»” [5]. Ciò che colpisce – oltre al richiamo al lettore, che una volta conosciuta la nuova versione non potrebbe far altro che accettare la tesi interpretativa proposta dal curatore – è la caduta di Mirri, nella critica alla continuità sostenuta da Nohl, in una sorta di differenza indifferente tra le tematiche affrontate nei diversi manoscritti e anche all’interno di essi, quasi perdendo di vista che sono opera dello stesso autore, composti in un arco temporale piuttosto ristretto, in cui si ripropongono, a diversi gradi di sviluppo, problematiche quanto meno affini. Così la certamente complessa e discutibile problematica della religione popolare e della rivalutazione del sensibile è liquidata come allotria; per Mirri essa non sarebbe altro che “una problematica che distaccherebbe queste meditazioni (e inspiegabilmente solo queste, per alcune frasi e per un periodo di tempo assai limitato) da tutta la formazione giovanile di Hegel: fondamentalmente kantiana” [6]. Il che è perlomeno discutibile, dato che si assume, quasi fosse un dato di fatto, che l’intera formazione giovanile sia stata compiuta da Hegel all’ombra di Kant – tesi che abbiamo più volte e in buona compagnia provato a confutare precedentemente – e si riduce il giudizio sulla centralità o meno di una tematica al semplice dato quantitativo in cui si presenta un certo termine, in questo caso quello di religione popolare, lasciando inspiegabilmente da parte tutti i termini analogici che la richiamano all’interno dei manoscritti. Come ha osservato a ragione Finelli: “è nella valutazione del cristianesimo pertanto che questo Hegel, pur sostanzialmente kantiano, consuma la maggior distanza da Kant. A spiegare la quale torna di nuovo, come già nel tradursi della libertà del soggetto trascendentale in quella collettiva del Volk, la mediazione fondamentale di Rousseau, le cui pagine di critica del cristianesimo nel Contratto sociale anticipano esplicitamente quelle hegeliane” [7].

Questi primi tentativi di elaborazione autonoma da parte di Hegel – in particolare il frammento n. 16 decisamente il più corposo e importante tra quelli di Tubinga – risentono certamente dell’influsso del Saggio di critica di ogni rivelazione di Johann Gottlieb Fichte (pubblicato nel 1792) e poi de La religione nei limiti della sola ragione, data alle stampe da Kant l’anno successivo. La lettura del Saggio da parte del giovane Hegel è certa; essa è, peraltro, presumibilmente avvenuta ancor prima che fosse da Kant restituito al suo vero autore. Negli scritti di Tubinga di questi anni non solo vi è la diffusa presenza di tematiche a esso riconducibili e sembrano derivarvi diverse scelte terminologiche, ma quest’opera è direttamente citata in uno dei manoscritti. Vi è, infine, da tener presente la conoscenza indiretta delle tematiche affrontate in quest’opera tramite il magistero degli insegnanti dello Stift: “seguendo l’esempio di Storr nel suo tentativo di conciliare la filosofia religiosa di Kant con la teologia soprannaturalistica, il maggiore dei Flatt e il ripetitore Süskind avevano presto ampliato il confronto e il tentativo di Storr all’opera di Fichte” [8]. D’altra parte, il frammento n. 16, composto probabilmente nella primavera del 1793 – secondo il prezioso apparato filologico fornito dai curatori dell’edizione critica –, sembra presupporre almeno nella sua seconda metà la conoscenza diretta de La religione nei limiti della sola ragione. “La parte precedente è invece dominata, come il testo n. 12 e per i medesimi motivi, dalla Critica di ogni rivelazione di Fichte oltreché dalla kantiana Critica della ragion pratica” [9]. 

Bisogna comunque tener presente che Hegel, non pensando ancora a un eventuale pubblicazione dei suoi frammentari scritti, poteva tranquillamente astrarre dai problemi di censura e autocensura cui inevitabilmente era andato incontro Kant, radicalizzando ulteriormente la distinzione kantiana sulle orme di Fichte, accentuando la critica alla religione rivelata in generale e al cristianesimo in particolare – cui contrapporrà il modello della religione antica.

 

Note:

[1] G.W.F. Hegel, Scritti giovanili I, traduzione italiana di E. Mirri, Guida, Napoli 1993, pp. 142-43.

[2] Ivi, p. 138.

[3] Carmelo Lacorte, Il primo Hegel, Sansoni, Firenze 1959, p. 128.

[4] Roberto Finelli, Mito e critica delle forme. La giovinezza di hegel (1770-1801), Roma, Editori Riuniti 1996, pp. 26-7.

[5] G.W.F. Hegel, Scritti…, op. cit., p. 137.

[6] Ivi, p. 138.

[7] R. Finelli, Moto e critica…, op. cit., p. 78.

[8] C. Lacorte, Il primo…, op. cit., p. 218.

[9] G.W.F. Hegel, Scritti…, op. cit., p. 143.

08/10/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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