Marx e la teoria neo-hobbesiana dell’organizzazione dell’impresa capitalistica

Marx e gli autori neo-hobbesiani concordano sulla necessità di una “autorità” nella fabbrica capitalistica, ma dissentono sulle finalità ad essa attribuite.


Marx e la teoria neo-hobbesiana dell’organizzazione dell’impresa capitalistica Credits: https://www.flickr.com/photos/theselc/42257951365/

L’articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019 [1].

In un precedente articolo abbiamo sostenuto che Marx è l'unico economista che spiega la natura autocratica dell'impresa capitalistica, vale a dire è l'unico autore che spiega, con rigore scientifico, l’esistenza della "dittatura del capitalista" all'interno dei cancelli fabbrica, nella quale il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia [2].

L'autocrazia esiste, per Marx, perché è la condizione necessaria per l'esistenza del plusvalore (pluslavoro capitalistico) e, quindi, del profitto. Se non ci fosse l'autocrazia, cioè se i lavoratori potessero formulare la strategia e avessero il controllo strategico e operativo del processo produttivo, allora potrebbero decidere di erogare una quantità di lavoro pari alla quantità di lavoro necessaria, contenuta nei mezzi di sussistenza. In tal caso non sarebbero garantite le condizioni per l’esistenza del plusvalore e per la riproduzione della classe dei capitalisti, che vive sul lavoro dei salariati. La divisione della società in classi conflittuali è, in ultima analisi, la condizione necessaria per l'esistenza dell'autocrazia capitalistica.

Poiché la fabbrica capitalistica, e in senso lato l’impresa capitalistica, è finalizzata al profitto e, quindi, all’estrazione coatta di plusvalore, essa implica necessariamente la coercizione del lavoratore al pluslavoro. Il lavoratore di conseguenza non è mai libero delle proprie azioni, ma è costretto ad accettare e eseguire gli ordini del capitalista, rivolti, in definitiva, alla produzione del plusvalore. Nella fabbrica, come sostiene Engels, “il legislatore assoluto è il fabbricante. Egli emana i regolamenti di fabbrica a suo beneplacito” [3].

Si potrebbe pensare che, se riferite alla fabbrica moderna, le tesi di Marx ed Engels siano obsolete. Si potrebbe, ad esempio, sostenere che oggi alla Toyota esista la "democrazia industriale”, poiché l'operaio è coinvolto in processi decisionali cruciali. Ad esempio, l’operaio è libero di arrestare la catena di montaggio quando lo ritiene opportuno. Ma non è così. L'operaio non è libero di scegliere il suo comportamento. Si tratta, in realtà di una falsa e fittizia libertà. Egli, infatti, può bloccare la catena di montaggio solo quando i pezzi prodotti risultano difettosi.

Egli non è libero di finalizzare il blocco della catena di montaggio ad una riduzione del tempo di lavoro (aumento delle pause) e, quindi, ad una riduzione del pluslavoro, poiché ciò sarebbe in conflitto con l’obiettivo strategico del capitalista, quello di accrescere oltre ogni limite il pluslavoro. Il blocco della catena di montaggio è, in effetti, finalizzato a migliorare l'efficienza del processo lavorativo, in termini di qualità degli oggetti prodotti. Il lavoratore è, difatti, obbligato a fermare la catena di montaggio ogni qualvolta un prodotto è fuori specifica, ovvero non è conforme agli standard stabiliti dal management. Il comportamento dell'operaio è, in definitiva, un comportamento coatto (obbligato), vale a dire un comportamento non libero, soggetto al dispotismo autocratico.

Perciò, anche nella fabbrica moderna non c'è "democrazia industriale" effettiva. Anche oggi è valida la tesi di Marx che, citando Fourier, afferma che la fabbrica capitalistica è, in definitiva, una "autocrazia", un "ergastolo mitigato" per estrarre coercitivamente plusvalore, vale a dire per ottenere il massimo pluslavoro umano non pagato.

Gli autori borghesi elaborano una teoria delle organizzazioni che, essendo riferibile ai temi tipici del pensiero di Hobbes, è possibile definire neo-hobbesiana. Tale teoria è, come si dirà qui di seguito, in antitesi con il pensiero di Marx. Il primo e illustre autore neo-hobbesiano qui preso a riferimento, per spiegare tale antitesi, è F. W. Taylor, il fondatore dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro (OSL) [4].

Taylor sostiene che fino ad ora i lavoratori e i capitalisti si sono scontrati per la divisione del Surplus Sociale. Tale conflitto esiste perché il Surplus Sociale (torta da dividere) è limitato, insufficiente e non basta per il benessere di tutti. Per Taylor l'imprenditore-manager è un tecnocrate che utilizza i principi della OSL per realizzare l'abbondanza del Surplus Sociale. Con l'impiego dei principi della OSL il manager può superare le contese e i conflitti di classe (lo Stato dell'Anarchia di Hobbes). L'efficienza produttiva è, cioè, la strada per superare definitivamente disordini, tensioni e conflitti. È la via che porta al Summum Bonum, il benessere sociale (lo Stato della Civitas di Hobbes).

La ricetta suggerita da Taylor è abbastanza semplice. Bisogna concentrarsi sull'entità del Surplus Sociale (dimensioni della torta da suddividere) fino a quando esso diventi così grande che non è più necessario litigare su come debba essere diviso. Ma per avere l'abbondanza del Surplus Sociale occorre aumentare la produttività del lavoro. È necessario sviluppare le forze produttive e il rendimento della manodopera. L'equazione: maggior rendimento è uguale a maggior benessere per tutti è il postulato su cui si basa il punto di vista neo-hobbesiano di Taylor.

Questo postulato può essere letto anche come la proposta da parte dei capitalisti ai lavoratori di uno "scambio politico". Da un lato le imprese offrono maggiore benessere materiale (consumo di massa: un’automobile per tutti) e dall'altro esse richiedono il consenso dei lavoratori ad una struttura della produzione gerarchica e autoritaria (l'autocrazia). L'esistenza della autocrazia sarebbe cosÌ legittimata e spiegata dalla sua maggiore efficienza in termini di benessere materiale per tutti i lavoratori.

Evidentemente, in un siffatto contesto economico e sociale non ha senso che i lavoratori si oppongano alle decisioni del manager. Ciò sarebbe contraddittorio e irrazionale, essendo il manager un agente alla ricerca del Bene Sociale per l'intera Nazione. Il taylorismo è, quindi, la base teorica di ogni forma di corporativismo, interclassista. Infatti, per Taylor, il manager non lavora per realizzare solo il benessere della classe dei capitalisti, ma per tutta la società, compresi i salariati. Tutte le classi sociali sono chiamate, perciò, a collaborare, in modo armonioso e organico per il benessere della nazione.

La lotta di classe degli sfruttati è, così, sterilizzata e, al limite, bandita dai comportamenti sociali possibili. Alla Toyota, ad esempio, vige, oltre al principio di «zero difetti», anche il: «principio di zero conflitti sociali». A partire dalla fine degli anni cinquanta del secolo scorso, il proletariato della Toyota è stato sconfitto e, da allora, non ci sono stati più scioperi. L’esistenza della società capitalistica senza classi in lotta è, come sopra detto, la base teorica di ogni forma di corporativismo. In proposito Marx osserva: È innanzitutto una falsa astrazione considerare una nazione, in cui il modo di produzione è fondato sul valore e per di più organizzata capitalisticamente, come un corpo collettivo che lavora unicamente per i bisogni nazionali [5]. Ne deriva che ogni forma di corporativismo si basa su quella che Marx definisce “una falsa astrazione”, ovvero su una falsa ipotesi con evidenti scopi apologetici.

In definitiva, per Taylor l'autocrazia, imposta con autorità e dispotismo dal manager tecnocrate, esiste e si afferma perché è la struttura più efficiente in termini di benessere dei lavoratori, i quali sono coscienti di essere sfruttati, ma ciò nonostante scambiano gerarchia dispotica per maggiore efficienza in termini di prosperità materiale e benessere. In altre parole, l'autocrazia esiste e si afferma perché è la migliore forma organizzativa tra quelle esistenti e sperimentate. L'autocrazia ha molti limiti (è dispotica e autoritaria), ma non ha alternative credibili.

Ma l'argomentazione di Taylor non è scientificamente fondata, ovvero è apologetica. Marx ed Engels hanno più volte messo in guardia contro una accettazione acritica dei presunti meriti dell'autocrazia. Per comprendere la natura apologetica degli argomenti di Taylor occorre rispondere al seguente quesito: ‘è l'autocrazia capitalistica in grado di realizzare il benessere stabile di tutti i lavoratori, che promette, per dare senso alla proposta dello scambio politico tra benessere e dispotismo?’

La risposta è negativa. Le crisi ricorrenti e di ampiezza crescente, la disoccupazione strutturale in aumento, la crescente miseria (assoluta e relativa) dei lavoratori, il fallimento delle politiche neo-liberiste e di quelle neo-keynesiane, dimostrano che le autocrazie capitalistiche non sono in grado di realizzare la loro «missione» e le loro promesse di benessere duraturo per tutti. Questa conclusione rafforza il punto di vista di Marx. Ciò che si può dire è che l'autocrazia è uno strumento per estrarre plusvalore, ovverosia è uno strumento per lo sfruttamento del lavoro. Altro non si può dire!

Come osserva Engels, il capitalismo, sebbene abbia ricoperto un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle forze produttive, dimostra di essere incapace di dominare ancora in avvenire le forze produttive che, crescendo, sono sfuggite al suo potere… la società corre verso la rovina come una locomotiva il cui macchinista è troppo debole per aprire le valvole di sicurezza che si sono bloccate [6].

All'interno dell'approccio neo-hobbesiano, oltre al paradigma di Taylor, esiste un'altra tradizione di ricerca che è antitetica a quella di Marx. I suoi principali esponenti sono: Coase, Williamson e Arrow. Essi, eliminando la divisione in classi della società, negano l’esistenza dell' autocrazia, e affermano che l’impresa capitalistica è una gerarchia non dispotica, ovvero una struttura democratica, nella quale il manager è assunto dai lavoratori-capitalisti, proprietari dell'impresa. Il manager è come un direttore che coordina e dirige "l'orchestra" verso la migliore performance.

Lo stesso termine "autocrazia" è da essi accuratamente evitato, perché il fine dell'organizzazione non è quello di estrarre plusvalore, inteso come pluslavoro umano non pagato. L'obiettivo del manager è quello di minimizzare il costo delle transazioni (Coase, Williamson), o quello di minimizzare i tempi necessari per prendere le decisioni (Arrow) [7].

Per concludere, può essere utile osservare che esiste un punto sul quale Marx ed Engels concordano con la tradizione di ricerca neo-hobbesiana. Gli argomenti usati da Marx ed Engels nella polemica con gli anarchici sul “principio di autorità” e sulla possibilità dell’anarchia sono difatti molto simili a quelli usati dai teorici neo-hobbesiani, per argomentare la maggiore efficienza (minori costi e minori tempi decisionali) delle strutture gerarchiche.

Per Bakunin nella futura società socialista “non dovrebbe esistere nessuna autorità”. Engels in una lunga lettera a Cuno risponde con le seguenti argomentazioni: Come faranno costoro a far marciare una fabbrica e le ferrovie, a comandare un bastimento senza una volontà che decida in ultima istanza… questo naturalmente non ce lo dicono. Anche l’autorità della maggioranza sulla minoranza cessa di esistere. Bakunin… dimentica ancora una volta di dirci come sia possibile una comunità anche solo di due uomini senza che ognuno di essi rinunci a qualcosa della sua autonomia [8].

Note

[1] Il materiale didattico del seminario è scaricabile qui.

[2] K. Marx, Il Capitale, libro I, sezione IV, capitolo 13, macchine e grande industria

[3] Citazione di Engels in K. Marx, Il Capitale, libro I, sezione IV, capitolo 13, macchine e grande industria

[4] F.W. Taylor, L'organizzazione scientifica del lavoro, Etas, Milano,1967

[5] K. Marx, Il Capitale, libro III, sezione VII, capitolo 49, per l’analisi del processo di produzione

[6] F. Engels, Antiduhring, Editori Riuniti, Roma, 1971

[7] K. J. Arrow, I limiti dell’organizzazione, Il Saggiatore, Milano, 1986

[8] F. Engels, Lettera a Teodoro Cuno, 24-1-1872

03/08/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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