Nel conflitto sempre più aspro che si accende dopo la morte di Lenin nel Partito comunista dell’Unione Sovietica - che porta progressivamente a svuotare di significato lo stesso centralismo democratico - finisce per uscire sconfitta la posizione più radicale, sempre più rappresentata da Trockij. Quest’ultimo, divenuto progressivamente il più carismatico dirigente dell’ala sinistra del partito, intende radicalizzare in senso socialista la rivoluzione e impegnare tutte le residue forze del paese per l’espansione a livello internazionale del processo rivoluzionario, considerata conditio sine qua non dello sviluppo della transizione al socialismo in un paese, l’Urss, in larga parte arretrato e durissimamente provato dalla spaventosa guerra civile.
Tuttavia, proprio nei paesi più sviluppati in senso capitalistico, in cui si era arrivati più vicino alla conquista del potere da parte delle forze rivoluzionarie come l’Italia, l’Austria, la Germania e la stessa Ungheria – dove in un primo momento si era formata una Repubblica consiliare – le forze della rivoluzionarie sono sconfitte e sempre più chiaramente si affermano, di conseguenza, le forze della reazione, tanto che tutti questi paesi finiscono sotto il controllo di governi fascisti che si pongono come obbiettivo la distruzione del paese dei Soviet. Inoltre lo Stato rivoluzionario è stremato dalle prove subite e non appare possibile chiedergli ulteriori gravi sacrifici e una disciplina di ferro per una rivoluzione mondiale che non appare più all’ordine del giorno, anche perché le stesse speranze in un successo delle forze rivoluzionarie in un paese arretrato, ma enorme come la Cina, subiscono una netta battuta d’arresto. Perciò tende ad affermarsi la componente di centro-destra del partito, sempre più rappresentata da Stalin, che mira, in continuità con la Nep, a una distensione dei rapporti internazionali con il mondo capitalista, per allentare lo stato di assedio e trovare il modo di aggirare l’embargo che colpisce il paese, mirando a favorire gli investimenti esteri che appaiono indispensabili per il decollo dell’industria di base.
Ad affermarsi è, dunque, la linea più moderata e realista che ritiene possibile, e in quelle determinate condizioni necessario, mirare allo sviluppo del socialismo anche in un solo paese, tanto più che si tratta di uno Stato sovranazionale dalle dimensioni fuori del comune come l’Urss, che rappresentava la sesta parte del mondo.
Il portato storico universale della figura di Lenin
Lenin muore nel gennaio del 1924, avendo dato un contributo decisivo al sorgere per la prima volta di uno Stato che miri a superare in senso progressivo le contraddizioni strutturali del modo di produzione capitalistico, anche se a causa del sostanziale fallimento della rivoluzione in occidente non si è ancora potuta realizzare la transizione al socialismo, tanto più che non si può certo risolvere con un decreto il contradditorio processo di costruzione di un modo di produzione superiore a quello capitalista in un paese nel quale, in larghissima misura, non ha avuto modo nemmeno di affermarsi il modo di produzione capitalistico. Senza contare che tale sviluppo, del tutto inedito nella storia mondiale, deve provare a realizzarsi in un perpetuo stato d’eccezione, imposto dal costante stato d’assedio da parte delle potenze imperialiste internazionali.
Gli enormi successi conseguiti da Lenin sul piano della storia universale dipendono indubbiamente dalla sua eccezionale capacità di comprendere e contribuire a realizzare le ancora inconsapevoli aspirazioni e i bisogni reali di milioni di appartenenti ai ceti subalterni. Ciò, dunque, che ha contribuito a renderlo per sempre un personaggio storico universale è la sua abilità, del tutto fuori dal comune, a render chiaro e a insegnare a tradurre in azione le aspirazioni delle grandi masse popolari. Ciò spiega gli enormi onori e le testimonianze di profonda riconoscenza da parte del popolo russo che gli sono state tributati dopo la morte in Urss, che hanno portato a una vera e propria venerazione della sua figura che Lenin, certamente, non avrebbe approvato.
Il realismo di Stalin
La sua morte fa emergere e scoppiare il conflitto presente da tempo in uno stato più o meno latente nel suo partito, che con il porsi al di fuori e contro l’ordine costituito sovietico da parte degli altri partiti, aveva finito con il divenire il partito unico della rivoluzione, al cui interno, dopo i tragici eventi della rivolta di Kronstadt, ispirata alle parole d’ordine dell’Opposizione operaia, erano state momentaneamente vietate le correnti organizzate. Tale divieto divenne, disgraziatamente, permanente a causa tanto di cause oggettive a partire dal costante stato di assedio, quanto da errori soggettivi, a cominciare dall’utopistica prospettiva di forzare soggettivisticamente i tempi storici necessari a maturare la reale possibilità del superamento dello Stato, data la capacità acquisita dalla società civile di autogestirsi.
Ciò non consente al conflitto all’interno del partito di ricomporsi sulla base del centralismo democratico, né dopo la morte di Lenin si afferma una nuova figura capace di individuare sintesi avanzate, in grado di salvaguardare quel patrimonio essenziale costituito dall’unità del partito comunista. Al contrario lo scontro tende ad acuirsi e a polarizzare il partito e, almeno in parte, il paese nello scontro fra la linea maggioritaria, all’interno della quale si afferma sempre di più come figura dominante il segretario del partito Stalin, e l’opposizione prima interna e poi anche esterna della minoranza di sinistra al cui interno spicca sempre di più la tragica figura di Trockij che, per quanto in minoranza, gode ancora nel partito e nel paese di una enorme popolarità per aver riorganizzato e guidato alla vittoria l’Armata rossa nella guerra civile. Ciò fa sì che le posizioni della sinistra, minoritarie nel partito e nel paese, riscuotano un consenso decisamente superiore all’interno delle forze armate, acuendo la paura della maggioranza, che si impone in modo sempre più apertamente maggioritario sulla minoranza, di un possibile ricorso di quest’ultima a una nuova rivolta armata.
La rivoluzione tradita e l’omicidio di Trockij
D’altra parte tanto nel partito, quanto nel paese, le posizioni della sinistra, per quanto ora godano dell’aperto sostegno di una personalità di grande prestigio e capacità come Trockij, nella nuova congiuntura storica che si apre dopo la sostanziale battuta d’arresto del processo rivoluzionario tanto in occidente quanto in oriente, non potevano che apparire utopiste ai più, esponendosi sempre di più alle accuse da parte della maggioranza – in un conflitto interno al partito che tende a degenerare in una guerra civile dove ogni colpo, per quanto sporco, pare permesso – di soggettivismo idealistico e avventurismo. Ciò favorisce la netta affermazione prima all’interno del partito e poi anche nel paese della linea decisamente più realista della maggioranza guidata in modo sempre più autoritario e spregiudicato da Stalin, che appariva decisamente meglio in grado di interpretare adeguatamente, in quella sempre più drammatica situazione storica, il corso del mondo.
Le ragioni stesse della Rivoluzione d’Ottobre, ovvero la scommessa di rompere l’anello più debole della catena di Stati imperialistici al fine di favorire e accelerare la conseguente rottura degli anelli più forti, con l’affermazione del socialismo in paesi in cui erano presenti le condizioni oggettive necessarie a una sua realizzazione, sembravano drammaticamente venir meno. Ciò non poteva che favorire la maggioranza, sempre più forte grazie all’implicito sostegno della maggioranza silenziosa del paese, nel suo tentar di fare di necessità virtù, dando a intendere che si fossero venute a creare delle concrete e reali possibilità per lo sviluppo del socialismo anche in un solo grande paese, tanto più che le alternative proposte dalla minoranza apparivano ai più, fortemente condizionati nel bene e nel male dal sano buon senso umano, decisamente estremiste se non avventuriste.
La conseguenza fu il deciso prevalere degli uomini del corso del mondo, dinanzi all’opposizione che appariva sempre più dominata da “cavalieri della virtù” tanto indomiti e generosi quanto necessariamente votati al minoritarismo e alla sconfitta. In tal modo, però, il troppo unilaterale prevalere delle posizioni votate al realismo e all’antiutopismo non potevano che produrre, anche dal punto di vista soggettivo, un oggettivo indebolimento della propensione a cambiare in modo radicale, a rivoluzionare il corso del mondo, nel proprio paese e sul piano internazionale. Ciò favorisce, nell’acuirsi dello scontro, l’accusa di tradimento della Rivoluzione che la sinistra rivolge all’ala maggioritaria e realista, fino a presentare la propria sconfitta come un nuovo Termidoro, che finirà inevitabilmente per aprire la strada a una dittatura militare. D’altra parte le critiche dei sinistri vengono considerate dalla maggioranza sempre più provocatorie e disfattiste, cosicché tanto da una parte quanto dall’altra si fa un uso sconsiderato della pesante accusa più morale che politica di tradimento.
Così nel 1927 il confronto-scontro interno trascende, il riconoscimento delle ragioni dell’altro, fondamento dell’intellettuale collettivo, della comunità politica del partito, viene meno. L’avversario politico su una determinata questione, che potrebbe divenire un possibile alleato in un’altra occasione, diviene un nemico da battere e abbattere a ogni costo per salvare la rivoluzione. Ecco così che Trockij, e a seguire i principali esponenti della sinistra interna, vengono considerati degli elementi spuri, allotri ed espulsi per aver nei fatti costituito una corrente, forma di lotta politica allora messa al bando, in nome dello stato d’eccezione più o meno imposto dallo stato di assedio.
Trockij e gli altri esponenti della sinistra, sconfitti, ma mai domati, tentano di organizzare una struttura politica nei fatti costretta a operare in clandestinità, per portar avanti quando possibile ancora possibile dento il Partito e negli altri casi dal di fuori la lotta contro il “tradimento della rivoluzione”. Tale rete di coordinamento dell’opposizione alla linea maggioritaria nel partito e nel paese, che agisce nei fatti come una organizzazione politica illegale e alternativa al partito unico della rivoluzione, viene sgominata dalla polizia politica e Trockij è costretto ad andare in esilio, da cui persevererà indomito nella sua denuncia e lotta contro quella che considera la rivoluzione tradita, sino alla sua uccisione in Messico da parte di un agente dell’Unione sovietica, in quanto considerato un nemico della Rivoluzione e del suo stesso paese, ormai impegnato nella prova del fuoco della Seconda guerra mondiale.