Lenin e il taylorismo proletario

Lenin mostra, già prima della rivoluzione, un interesse per l’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor, mettendo in guardia i bolscevichi dal non commettere l’errore, simile a quello dei luddisti, di combattere il taylorismo in quanto tale e non il suo uso capitalistico.


Lenin e il taylorismo proletario

Questo articolo trae spunto dal seminario “L’organizzazione del lavoro nella fabbrica capitalistica” tenuto da Domenico Laise per l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2018-2019. [1]

Nel 1913 Lenin partecipa a un convegno sul taylorismo a San Pietroburgo. Nello stesso anno scrive un primo articolo, molto critico, comparso sulla “Pravda”, dal titolo: Il sistema scientifico per spremere sudore [2]. Tale sistema è quello elaborato e sperimentato da Taylor, con il quale: “si spreme il sudore secondo tutte le regole della scienza”. Lenin si domanda innanzitutto: ”In che cosa consiste questo sistema scientifico?” La risposta è: “Nello spremere dall’operaio tre volte più lavoro in una eguale giornata lavorativa”. Precisa inoltre che “il progresso della tecnica e della scienza significano nella società borghese il progresso nell’arte di spremere il sudore”.

Un anno dopo, nel 1914, Lenin ritorna sul tema e scrive un altro breve articolo dal titolo: Il taylorismo asserve l’uomo alla macchina [3].

Lenin, in questo nuovo articolo, premette che “il capitalismo non può segnare il passo nemmeno un istante … La concorrenza … costringe … ad inventare sempre nuovi mezzi di produzione per ridurre i costi di produzione. E il dominio del capitale trasforma tutti questi mezzi di produzione in strumenti per opprimere ancora di più l’operaio”. Il taylorismo è simile, cioè, alle altre innovazioni scientifiche. Esso è, difatti, una innovazione scientifico-organizzativa che accresce la forza produttiva del lavoro sociale, vale a dire è un veicolo che accresce la produttività del lavoro sociale.

Lenin, nell’articolo del 1914, descrive, brevemente, la logica che è alla base del taylorismo con il seguente esempio. “Alla mano dell’operaio viene fissata una lampadina elettrica. Si fotografano i gesti dell’operaio e si studiano i movimenti della lampada. Si scopre che certi gesti sono superflui e si obbliga l’operaio a evitarli, cioè a lavorare più intensamente, a non perdere nemmeno un secondo per riposarsi”. Osserva ancora Lenin: ”il capitale organizza e razionalizza il lavoro per accrescere il profitto. Il sistema Taylor − senza che i suoi autori lo sappiano e contro la loro volontà − prepara il tempo in cui il proletariato prenderà tra le sue mani l’intera produzione sociale … La grande produzione, le macchine, le ferrovie, il telefono; tutto questo offre migliaia di possibilità di ridurre di quattro volte il tempo di lavoro degli operai organizzati, assicurando loro quattro volte più benessere di oggi.”

In queste osservazioni, del 1914, sono evidenti i riferimenti impliciti al pensiero di Marx ed Engels. È l’uso capitalistico delle innovazioni scientifiche-organizzative tayloristiche che va combattuto, non il taylorismo in sé e per sé. A differenza delle strategie luddistiche, la lotta politica va indirizzata, perciò, verso l’uso capitalistico del taylorismo e non nei confronti del taylorismo in quanto tale. 

Prima della rivoluzione, Lenin torna di nuovo sul taylorismo nel Quaderno β degli Studi sull’imperialismo, che contengono gli estratti dei volumi e degli articoli letti e consultati nel preparare il Saggio popolare, ovvero L’imperialismo nella fase superiore del capitalismo, scritto nel 1916 e pubblicato nel 1917. Nel Quaderno β, tra le opere consultate ed esaminate, Lenin fa riferimento ai testi di Taylor e di Gilbreth, l’inventore dello “studio sui movimenti” lavorativi [4].

Secondo alcuni autori, l’interesse di Lenin per il taylorismo deriverebbe dal fatto che egli avesse l’intenzione di concludere il Saggio popolare sull’imperialismo con un capitolo sul taylorismo, da intendere come forma transitoria verso il socialismo [5].

Sia come sia, Lenin torna sul taylorismo nel 1918, subito dopo la rivoluzione. Nel marzo del 1918 egli detta allo stenografo una prima versione dei I compiti immediati del potere sovietico che non verrà pubblicata immediatamente, ma solo nel 1929 sulla “Pravda” [6].

L’obiettivo della repubblica dei soviet può, secondo Lenin, essere così formulato: “Dobbiamo introdurre in tutta la Russia il sistema di Taylor e l’aumento scientifico americano della produttività del lavoro, unendo questo sistema alla riduzione dell’orario di lavoro”. Tale sistema di Taylor, direttamente diretto dai lavoratori stessi se essi saranno abbastanza coscienti − sarà il mezzo più sicuro per una ulteriore e grandissima riduzione della giornata lavorativa … l’obiettivo si può esprimere all’incirca in questi termini; sei ore di lavoro fisico quotidiano e quattro ore di lavoro per l’amministrazione dello Stato per ogni cittadino adulto”.

Questa versione del taylorismo verrà chiamata in letteratura: “taylorismo proletario” o “taylorismo sovietico” [7].

Come già detto, questa prima versione dei I compiti del potere sovietico non viene pubblicata nel 1918. Essa apparirà sulla “Pravda” solo nel 1929.

La versione che viene pubblicata il 28 aprile del 1918 contiene delle modifiche sostanziali, dovute probabilmente allo scoppio della guerra civile. In questa versione pubblicata, Lenin non fa più riferimento alla riduzione della giornata lavorativa [8].

Il fatto è che mentre Lenin scriveoltre alle armate interne controrivoluzionarie anche 14 paesi, tra cui Inghilterra, Giappone, Francia, attaccano dall’esterno la giovane Repubblica Sovietica, per estirpare il governo dei soviet. Gli eventi precipitano: alla carestia, dovuta alla Prima guerra mondiale (1914-1918), si somma la carestia generata dallo scoppio della guerra civile e, in particolare, quella dovuta al caos in cui si trovano le ferrovie sovietiche, senza le quali non si può combattere nessuna guerra. Per rispondere a questo grande caos e all’anarchia a esso associato, Lenin è costretto a invocare misure coercitive e autoritarie, tipiche dell’adozione del taylorismo nella sua versione classica (centralizzazione autoritaria e dispotica del processo produttivo).

Lenin osserva: “la gente muore di fame nella Russia centrale, mentre il grano c’è ma è difficile trasportarlo per colpa del caos” [9]. Alla fine di marzo 1918 vengono concessi “poteri dittatoriali” al commissariato dei trasporti e ciò solleva le proteste dei “comunisti di sinistra” (Bucharin) e dei menscevichi (Martov). A ogni modo, negli anni successivi di guerra civile tutte le industrie sono sottoposte al “comunismo di guerra”.

Finita la guerra civile, nel 1922 iniziano gli anni della Nep, ma Lenin nei suoi ultimi due anni di vita non riprende il suo iniziale progetto di taylorismo sovietico. Egli ritorna per l’ultima volta, sul tema del taylorismo in occasione della presentazione di un libro sul taylorismo. Si tratta di un commento al libro di O.A. Ermanski: L’organizzazione scientifica del lavoro, edito nel 1922 [10]. Con la morte di Lenin, nel 1924, e la fine della Nep, l’interesse per il taylorismo proletario passa in secondo piano. Né Bucharin, né Trotskij, né Stalin manifestano, difatti, interesse per il progetto di Lenin di un taylorismo proletario. Nel 1929 ha inizio l’era dei piani quinquennali nei quali non c’è nessun riferimento al progetto originario di Lenin.

Tuttavia, nel 1935 nasce, quasi spontaneamente, un tipo particolare (sui generis) di “taylorismo proletario” che prende il nome di “stacanovismo”.

Non c’è più riferimento alla destinazione degli incrementi di produttività da finalizzare alla riduzione della giornata lavorativa, ma permane l’idea della necessità del coinvolgimento dei lavoratori nella progettazione dei processi che migliorano la produttività del lavoro. Come nel caso dei “sabati comunisti”, si guarda al lavoro stachanovistico come a un extralavoro, come a un servizio reso alla collettività, che non è retribuito, ma che sviluppa gli incrementi di produttività necessari per salvare la giovane Repubblica dei Soviet, che, a differenza della Comune di Parigi, resiste agli assalti degli eserciti dei controrivoluzionari. Lo stachanovismo è un esperimento importante che dimostra la potenza e la forza degli incentivi ideologici e che spiega come è potuta sopravvivere la rivoluzione bolscevica guidata da Lenin, attaccata contemporaneamente su una pluralità di fronti.

Stachanov raccolse 102 tonnellate di carbone in 5 ore e 45 minuti. Quattordici volte la media. Divenne una celebrità, fino ad arrivare alla copertina sul “Time”. L’impresa fu ripetuta a settembre, e il risultato migliorò ancora: 227 tonnellate. L’esperimento si diffuse rapidamente, fino a raggiungere e superare i 20 milioni di casi. Stachanov divenne una leggenda. Stalin lo tolse dalla miniera e lo mandò a studiare all’Accademia industriale, ma l’arrivo di Kruscev, nel 1953, segnò anche la sua disgrazia. Kruscev volle far piazza pulita dei simboli staliniani e nel 1957 allontana Stachanov da Mosca (con divieto di accesso) e lo “esilia” nel Donbass. Comincia a soffrire di problemi vascolari e, in seguito a una crisi, viene ricoverato. Per carenza di posti, lo portano in una clinica psichiatrica. Riceve un secondo riconoscimento, da Breznev, nel 1970. Morirà il 5 novembre del 1977.

In conclusione, che cosa insegna l’esperimento di Stachanov? Dimostra ciò che aveva correttamente intuito Lenin. Il principale limite del taylorismo classico è la spersonalizzazione del lavoratore. Gli standard lavorativi sono elaborati dall’alto, dall’ufficio Tempi e metodi. Il lavoratore deve solo eseguire gli ordini del caporeparto che gli ricorda, se ve ne è bisogno: “Tu sei pagato per eseguire un compito e non per pensarlo o idearlo”. 

Il lavoratore, nell’approccio tayloristico classico, non partecipa alla definizione degli standard. L’effetto è che il lavoratore, estraniato e alienato, perde ogni interesse per quello che fa. Il taylorismo di Taylor afferma, difatti, che bisogna dissociare la responsabilità dei lavoratori da quelle del dirigente. Alla base dello stacanovismo vi è, viceversa, lo sforzo per il potenziamento delle responsabilità individuali nel lavoro e per lo sviluppo della personalità del lavoratore, che lo porta ad assumere una sempre maggiore consapevolezza della corrispondenza dei suoi personali interessi con quelli della comunità. Nello stacanovismo non vi sono, pochi virtuosi specialisti (ingegneri dell’ufficio Tempi e metodi) da una parte, e una massa di “automi umani”, che eseguono, dall’altra. Nello stacanovismo non ci sono, cioè, gli “uomini con il cervello del bue” (ox brained) considerati dal taylorismo di Taylor.

Con lo stacanovismo tutti i lavoratori raggiungono un alto grado di specializzazione che consente loro di lavorare anche a una catena di assemblaggio, rendendosi perfettamente conto di tutte le fasi della produzione. In breve, lo stacanovismo è riuscito a organizzare il sistema lavorativo senza uccidere la personalità del lavoratore. E questo risultato è una delle eredità di Lenin, è, cioè, il prodotto della geniale intuizione di Lenin, che è posta, originariamente, già nel 1918, alla base della nozione di “taylorismo proletario”.

 

Note: 

[1] Il materiale didattico del seminario è scaricabile qui.

[2] Lenin, V., (1913), Il sistema scientifico per spremere sudore, in Opere complete, vol. XVIII, pp. 573-575, Editori Riuniti, Roma, 1966.

[3] Lenin, V., (1914), Il taylorismo asserve l’uomo alla macchina, in Opere complete, vol. XX, pp. 141-143, Editori Riuniti, Roma, 1966.

[4] Lenin, V., (1916), Quaderno β, in Opere complete, vol. XXXIX, pp. 122-130, Editori Riuniti, Roma, 1971.

[5] Lenhart, R., (1977), Lenin, i contadini e Taylor, p. 14, Coines ed., Roma.

[6] Lenin, V., (1918), variante iniziale dell’articolo I compiti immediati del potere sovietico, in Opere complete, vol. XLII, pp. 48-53, Editori Riuniti, Roma; pubblicato per la prima volta nel 1929 sulla “Pravda”. n,86, 14 aprile. 

[7] Lenhart, R., (1977), Lenin, i contadini e Taylor, p. 133, Coines ed., Roma.

[8] Lenin, V., (1918), I compiti immediati del potere sovietico, in Opere complete, vol. XXVII, pp. 211-248, Editori Riuniti, Roma.

[9] Lenin, V., (1918), Conclusioni del dibattito sui compiti immediati, Opere complete, vol. XXVII, pp. 281-282, Editori Riuniti, Roma.

[10] Lenin, V., (1922), Un cucchiaio di fiele in un barile di miele, in Opere complete, vol. XXXIII, pp. 335-336, Editori Riuniti, Roma.

30/04/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: