L’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015.
In una serie di precedenti articoli si è osservato come l’introduzione dei robot nella produzione di fabbrica determina una sempre maggiore automazione del processo lavorativo, anche se le macchine non sostituiscono mai del tutto il lavoro umano, che rimane sempre l’unico elemento attivo. I capitalisti introducono l’automazione con il fine di ridurre i costi di produzione. Essi, in concorrenza tra loro, per vendere le proprie merci e conquistare i mercati, introducono le innovazioni tecnologiche e le nuove macchine nella produzione per ridurne i costi. In un sistema dominato dall’anarchia della produzione, il capitalista che riesce a produrre le merci a costi minori vince la sfida competitiva. Questa concorrenza è una vera e propria guerra tra “fratelli nemici”, dove alcuni soccombono, mentre altri riescono a sopravvivere.
Come osservato sopra, il robot è introdotto dai capitalisti poiché riduce il costo del lavoro totale, dato dal numero dei lavoratori moltiplicato per il salario di ogni singolo lavoratore. Seguendo Marx, il salario di ciascun lavoratore non è altro che il lavoro contenuto nelle merci salario, ovvero è il lavoro richiesto per produrre le merci necessarie perché i lavoratori possano riprodursi come classe sociale, permettendo di continuare il processo di accumulazione del capitale.
Con la robotica la forza produttiva del lavoro sociale si sviluppa enormemente oltre ogni limite precedentemente immaginabile, permettendo di produrre sempre più merci in tempi equivalenti. Il valore di ogni merce, perciò, diminuisce in quanto sono necessarie meno ore di lavoro, o meno lavoratori, per produrre la stessa massa di merci. Tuttavia se la singola merce richiede meno lavoro per essere realizzata, allora anche il valore della merci salario diminuisce, poiché occorrono meno ore di lavoro per produrre le merci necessarie alla riproduzione della classe lavoratrice. Ciò causa una diminuzione del salario unitario e, quindi, un aumento del plusvalore relativo.
Inoltre, essendo possibile produrre più merci con lo stesso numero di lavoratori, i capitalisti possono ridurre il numero dei lavoratori alle proprie dipendenze per produrre la stessa quantità di merci. I robot riducono, quindi, il costo della forza-lavoro, diminuendo sia il salario unitario sia il numero di lavoratori.
I lavoratori non più necessari al capitalista, se non trovano un altro lavoro, andranno ad ingrossare le fila dei disoccupati strutturali, ovvero accresceranno il cosiddetto esercito industriale di riserva. Ciò determina una riduzione del salario, poiché con l’aumento dell’esercito industriale di riserva è possibile pagare meno i lavoratori per la stessa quantità di lavoro erogato. Essendo diminuita la domanda e aumentata l’offerta della merce forza-lavoro, il suo prezzo scende come per ogni altra merce. I capitalisti si avvantaggiano di questa situazione per portare il salario della forza-lavoro sempre più vicino al minimo possibile, ovvero quello strettamente necessario per riprodurre la classe dei lavoratori.º
Tuttavia, nei precedenti articoli, abbiamo visto che nel capitalismo la forza-lavoro non è solo un costo. Essa, infatti, costituisce “il materiale sfruttabile”, ovvero la sorgente del valore e, quindi, del plusvalore. Riducendo il numero dei lavoratori diminuisce anche la quantità di plusvalore totale ottenuto dal capitalista. Egli nella continua ricerca del proprio massimo profitto, diventa "il becchino di sé stesso", ovvero si "scava da solo la propria fossa" (eutanasia). L’utilizzo dei robot per sostituire il lavoro vivo determina, difatti, una riduzione del plusvalore totale.
A questa riduzione del plusvalore totale, dovuto alla diminuzione del numero dei lavoratori, si oppone la riduzione del salario relativo dei lavoratori. La giornata lavorativa (data) di ognuno è infatti formata dalla parte retribuita, il salario, e da quella non pagata, che determina il plusvalore del capitalista. Incrementando la produttività del lavoro con l’introduzione delle macchine il capitalista aumenta il plusvalore ottenuto da ogni singolo lavoratore, poiché il salario unitario diminuisce. Ciò determina un aumento del plusvalore totale, che si contrappone alla riduzione determinata dalla diminuzione del numero dei salariati. Quindi, si hanno due tendenze contrastanti. Come osserva Marx, nell'uso del macchinario per la produzione di plusvalore vi è una contraddizione immanente [1].
Quale di queste due tendenze contraddittorie prevale sull’altra? Per comprenderlo utilizzeremo un esempio fatto dallo stesso Marx [1]. Immaginiamo che il nostro capitalista disponga di 24 operai per una giornata lavorativa di 12 ore. In assenza di robot, si suppone che ognuno di essi lavori 11 ore per guadagnarsi il proprio salario, mentre l’ultima ora è un pluslavoro non retribuito, che costituisce il plusvalore intascato dal capitalista. Ciò determina un plusvalore totale di 24 ore. Con l’introduzione dei robot, si suppone che il capitalista possa ridurre il numero dei lavoratori a 2 unità. Ora, con la maggiore produttività, saranno necessarie solo 2 ore di lavoro per ottenere il salario di ogni lavoratore, le altre 10 ore di lavoro di ogni lavoratore finiranno direttamente nelle tasche del capitalista. Il plusvalore totale sarà, quindi, costituito da 20 ore di lavoro. Come osserva lo stesso Marx, è impossibile spremere da 2 operai più plusvalore di quanto se ne spreme da 24 operai [1]. C'è, quindi, un limite assoluto oltre il quale è impossibile aumentare il plusvalore attraverso il calo del numero dei lavoratori e la riduzione del salario.
In altri termini, l’aumento del plusvalore unitario, mediante l’introduzione dei robot, non è in grado di compensare la riduzione del plusvalore dovuta alla diminuzione del numero degli occupati. Di conseguenza l’introduzione dei robot causa una riduzione del plusvalore totale. I robot riducono il numero degli occupati, ovvero “il materiale sfruttabile”, ad un livello tale da diminuire il plusvalore totale. Questa è l’inevitabile contraddizione dell’introduzione della robotica, che porta, a lungo andare, anche alla caduta tendenziale del saggio di profitto.
La robotica non conduce, perciò, alla “Terra della Cuccagna”, come sostengono molti economisti borghesi, ma al declino (eutanasia) del modo di produzione capitalistico. Il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro ad un minimo, mentre pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza [2]. Il capitale da una parte ricerca il massimo plusvalore unitario, dall’altra, diminuendo il numero degli occupati, riduce il tempo di lavoro ad un minimo, che è diverso da zero, determinando così il deperimento del plusvalore totale.
Marx sostiene, in altri termini, che la Teoria del valore-lavoro deperisce con l'introduzione degli automi. Tuttavia deperire non è "perire", non si ha, quindi, la trasmutazione ipotizzata da Marcuse, analizzata in un precedente articolo. La legge del valore continua ad essere valida anche nell’epoca della robotica, ma è una validità anacronistica e contraddittoria. Con il deperimento della legge del valore il "tardo" capitalismo assume il carattere di un modo di produzione che è sempre più putrescente, arbitrario e dispotico. Assume cioè i caratteri del capitalismo finanziario, basato non tanto sulla produzione di plusvalore ma sulla conquista “manu militari” e sulla speculazione finanziaria per la spartizione del residuo ed esiguo plusvalore.
In conclusione, il deperimento della legge del valore causato dalla robotica e l’avanzare della contraddizione determinano i presupposti, o condizioni oggettive, per il superamento del capitalismo. Occorre notare che tali condizioni oggettive sono necessarie ma non sufficienti per superare il capitalismo; infatti, è richiesta anche la coscienza da parte dei lavoratori salariati della necessità di tale superamento e l’agire di classe conforme a tale coscienza, ovvero le condizioni soggettive. Condizioni che, in una fase non rivoluzionaria, devono essere sviluppate mediante un opportuno Programma minimo di classe.
Note
[1] Karl Marx, Il Capitale, Libro Primo, cap. 13: Macchine e grande industria.
[2] Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, II Vol., p. 400, La Nuova Italia, Firenze, 1970