L’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015.
Alcuni autorevoli studiosi [1] ritengono che con l’automazione e lo sviluppo della robotica il pensiero di Marx sia diventato obsoleto. In particolare pensano che non sia più valida la Teoria del valore-lavoro, che è alla base del suo pensiero. Demolito questo pilastro, il pensiero di Marx cade come un castello di carte al soffiare del vento. Se il lavoratore non è più il soggetto attivo della produzione, può essere ancora il protagonista della trasformazione della società? Può quindi il pensiero di Marx essere ancora oggi la base scientifica di un progetto politico valido ed attuale? Oppure Marx è un “cane morto”? Questo articolo e i successivi cercheranno di mostrare come anche all’interno del capitalismo avanzato il pensiero di Marx conserva più che mai la sua attualità.
Per spiegare la Teoria del valore-lavoro di Marx bisogna necessariamente partire dal concetto di lavoro. In modo schematico, il processo lavorativo è divisibile in tre componenti: entrata, attività e uscita. La prima componente sono i mezzi di produzione, suddivisi a loro volta in oggetto e mezzo di lavoro, la seconda è il lavoro umano e la terza il valore d’uso o scopo della produzione. Ad esempio il cotone (oggetto di lavoro) mediante il fuso (mezzo di lavoro) è trasformato dal tessitore con l'operazione di filatura (lavoro umano) in refe, una forma di filato (valore d’uso).
Marx, come Ricardo, sostiene che il lavoro umano è un’attività finalizzata alla produzione di valori d’uso effettivi e perciò è l'unica fonte del valore. Per valore d’uso si intende un qualsiasi bene o servizio conforme allo scopo della riproduzione umana. Non tutte le attività umane sono però finalizzate a ciò, di conseguenza non tutte sono considerabili come lavoro. Ad esempio un atleta svolge un’attività fisica ma non compie lavoro perché la sua attività non è finalizzata alla creazione di valori d’uso. Perché si abbia un valore d’uso è perciò essenziale il lavoro umano. Le risorse naturali non possono essere considerate valori d’uso effettivi senza il lavoro umano. Infatti il carbone nella miniera è un valore d’uso solo in potenza, perché possa diventarlo in modo effettivo è necessario che qualcuno lo estragga dalla viscere della terra. L’ape produce del miele ma perché questo miele sia poi un valore d’uso effettivo è necessario il lavoro di raccolta dell’apicoltore.
Marx, per spiegare a Kugelmann [2] l’essenzialità del lavoro umano nella produzione dei valori d’uso, ricorre ad un "esperimento mentale". Egli sostiene, sulla base dell'evidenza empirica, che ogni bambino sa che una nazione in cui cessa il lavoro perirà, non in un anno, ma in poche settimane [3]. Non esiste in sostanza una “Terra della Cuccagna” dove la Natura produce i valori d'uso necessari per la riproduzione umana. La società umana non può riprodursi in assenza di lavoro umano.
Possono gli animali o le macchine sostituire il lavoro umano? Marx esclude questa ipotesi. In Teorie del plusvalore [4], dove parla della dissoluzione della scuola di Ricardo, accusa McCulloch di aver trasformato gli uomini in bestie e in macchine. Questi sosteneva, come James Mill, che, essendo il vino prodotto dalla fermentazione, anche i batteri compiono lavoro. Se tutti svolgono un lavoro, la centralità del lavoro umano viene meno, e con esso anche la Teoria del valore-lavoro. Il punto di vista di McCulloch e di James Mill è sostenuto anche da altri autorevoli studiosi, tra i quali Piero Sraffa [5].
Il cavallo da tiro in assenza dell'uomo, che guida il suo lavoro, non arerebbe nemmeno un ettaro di terra. Non è quindi un lavoratore, ma solo un mezzo di produzione, ovvero una estensione dell’uomo che ne permette di migliorare il lavoro. Analogamente un trattore non guidato dall'uomo non ara la terra. Neanche le macchine possono essere quindi considerate dei sostituti del lavoro umano. Questo discorso si può estendere anche alle macchine moderne, i robots, che sono progettati e guidati dagli uomini, in assenza dei quali, come l'automa giocatore di scacchi Deep Blue, rimangono inutilizzati all'interno della loro teca. Le macchine naturali – gli animali – e artificiali non guidate dall'uomo non sono in grado di svolgere nessuna attività utile per esso. Essi non sono che elementi passivi nel processo produttivo.
Le macchine e gli animali sono produttori di valori d'uso solo in potenza. Il cavallo nella stalla è solo potenzialmente un cavallo da tiro, utile all'aratura. Ugualmente il trattore parcheggiato in garage è solo un potenziale trattore. Lo diventa in modo effettivo, solo quando opera sotto la guida dell'uomo che ne finalizza l'uso all'aratura. Il robot, analogamente alle altre macchine, non è un lavoratore. Non ha infatti come proprio fine immanente quello della produzione di valori d'uso utili per l'uomo. È, come il cavallo o il trattore, un mezzo potenziale di lavoro. Diventa un mezzo effettivo solo se attivato dall'uomo, che lo guida finalizzandone l’attività. Diventa attivo, come dice Marx, solo quandol'uomo “lo evoca dal regno dei morti”. Infatti ciò che fin da principio distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera [6]. L’elemento attivo nel processo produttivo è quindi solo l’uomo. Anche il pizzaiolo napoletano recentemente intervistato da Repubblica, sull’introduzione in Francia di un robot pizzaiolo, ha ben chiaro che nessuna macchina può sostituire l’uomo nell’attività creativa per la produzione di una pizza di elevata qualità.
A questo ragionamento può però essere posta la seguente obiezione: tutto ciò vale per il lavoro artigiano ma non per quello di fabbrica. Marx sostiene che questo ragionamento ha validità anche nel processo lavorativo di fabbrica, dove le cose si complicano, ma per cui valgono le stesse regole. Al lavoro umano è sostituito il "lavoro umano sociale", specificatamente capitalistico e caratteristico dell'industria, ma tutto il processo è sempre rappresentabile con le tre componenti del processo lavorativo esaminate in precedenza.
Quindi, in conclusione, il lavoro è una attività finalizzata alla produzione di valori d'uso svolta esclusivamente dall'uomo. Questa è una verità che vale anche nell'economia del capitalismo robotico. Il lavoro, anche se rattrappito, storpiato, annichilito e nascosto nelle “pieghe” del macchinismo resta pur sempre un'attività che appartiene esclusivamente all'uomo! [7]
Note
[1] Paolo Sylos Labini, Valore e distribuzione in un’economia robotizzata, Economia Politica, vol. 2, n. 3, pp. 359-363 (1985). Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, Einaudi (1967)
[2] Karl Marx, Lettera a Ludwig Kugelmann, 11 luglio 1868
[3] Traduzione dell'autore della traduzione in inglese della lettera a Kugelmann dell’11 luglio 1868.
[4] Karl Marx, Storia dell’economia politica. Teorie sul plusvalore, terzo libro, Editori Riuniti (1993)
[5] Piero Sraffa, citato in: H. Kurz e N. Salvadori, Sraffa and the Labour Theory of Value, 2010, p. 17
[6] Karl Marx, Il Capitale, libro I, capitolo 5
[7] Gianfranco Pala, Il nano e l'automa, Kappa (1984)