Kierkegaard

Un altro passo avanti nella distruzione della ragione: l’apologia del pensiero mitologico-religioso di Kierkegaard per contrastare la visione del mondo filosofico-scientifica che rischia di mettere in questione rapporti di proprietà sempre più ingiusti e irrazionali.


Kierkegaard Credits: https://www.skuola.net/filosofia-moderna/kierkegaard.html

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Segue da “Grand Hotel Abisso

Anti-idealismo e vita

Il pensiero di Søren Aabye Kierkegaard (1813-1855), come quello di Arthur Schopenhauer, è un pensiero che si costruisce in contrapposizione all’idealismo hegeliano e ai suoi sviluppi ateistici e rivoluzionari a opera della sinistra hegeliana.

Kierkegaard è vissuto sempre a Copenaghen, senza mai dover lavorare, grazie a una rendita lasciatagli dal padre. Come Schopenhauer rappresenta, quindi, il prototipo dell’intellettuale parassitario, che dedica la propria vita a sviluppare sofismi in grado di salvaguardare i propri meschini privilegi, resi possibili unicamente dallo sfruttamento e dalla mercificazione dell’uomo. Unico avvenimento degno di nota delle sua vita – tutta improntata a dare l’esempio dell’intellettuale disimpegnato, prototipo del riflusso della borghesia nel privato, dopo la conquista del potere, nella cura esclusiva del proprio particulare – è la improvvisa e del tutta ingiustificata rottura del lungo e intenso fidanzamento con Regina Olsen, proprio alla vigilia del matrimonio. Come già Schopenhauer, Kierkegaard è sostanzialmente un misantropo e un misogino, così chiuso nel suo individualismo egoistico e antisociale da non poter accettare neppure il legame etico naturale della famiglia, oltre che, naturalmente, della società civile e dello Stato. Anzi, come vedremo, sviluppa un pensiero esplicitamente volto a contrastare l’importanza riconosciuta da Hegel alla sfera dell’eticità, sfera collettiva e intersoggettiva, a cui contrapporrà il proprio individualismo egoista e asociale.

Il contesto storico in cui si sviluppa, per così dire, il suo pensiero è quello della Danimarca, strettamente connessa dal punto di vista economico, sociale, religioso e culturale alla Germania, da cui il paese scandinavo dipende anche dal punto di vista culturale. Kierkegaard si reca più volte in Germania nel corso della sua formazione e nel 1841-42 segue, in particolare, con entusiasmo le lezioni anti-hegeliane del vecchio e, sempre più reazionario, Schelling.

Anche Kierkegaard cresce e si forma nello spirito della restaurazione e del romanticismo, divenuta una ideologia dominante reazionaria. Come per Schopenhauer il suo principale obiettivo è portare gli intellettuali, generalmente di origine borghese, ad abbandonare la passione per le questioni politiche e sociali. L’impegno politico aveva condotto diversi giovani intellettuali di origine borghese ad assumere posizioni democratiche radicali – rivoluzionarie in quell’epoca di restaurazione – e disponibili a stabilire un fronte comune anche con le masse popolari, pur di rovesciare l’ancien régime. In particolare. proprio in questi anni in Germania erano gli intellettuali della sinistra hegeliana a guidare il movimento culturale e politico del Vormärz(alla lettera prima di marzo), che era stato il principale centro dell’opposizione alla Prussia – postasi alla testa della restaurazione con l’adesione alla Santa alleanza – e aveva preparato la strada alla rivoluzione democratica del marzo 1848.

Anzi, proprio nel 1848, i due esponenti più radicali della sinistra hegeliana, Karl Marx e Friedrich Engels, avevano per la prima volta offerto una direzione consapevole al movimento potenzialmente rivoluzionario del proletariato. Dinanzi all’incubo di una rivoluzione, che rischiava di mettere in discussione i suoi meschini privilegi da rentier, ovvero da parassita sociale, Kierkegaard fa di tutto – al livello teorico e pratico – per convincere gli intellettuali a rinchiudersi nella loro torre d’avorio. Proprio per questo non fa che sottolineare e vantare il proprio distacco snobistico dalla vita politica e dalla questione sociale.

Kierkegaard riprende dal secondo Schelling queste attitudini aristocratiche e antidemocratiche, mentre riprende da Schopenhauer le attitudini decadenti che lo portano ad autoincensarsi per la propria completa estraneità al mondo storico e politico. Da questo punto di vista Kierkegaard anticipa le posizioni dichiaratamente inattuali di Nietzsche, tese a sottolineare la propria completa estraneità allo spirito del progresso e alla stessa modernità. Anche per questo la sua fama, come del resto quella di Schopenhauer e di Nietzsche, sarà del tutto postuma. Le loro posizioni reazionarie diverranno punti di riferimento dell’ideologia dominante unicamente nel momento in cui la borghesia ha conquistato del tutto il potere politico, oltre che economico, e il suo becchino, il proletariato, sta prendendo sempre più coscienza di classe, attraverso il grande sviluppo dei sindacati e dei partiti socialisti.

Infine, come già Schopenhauer, la ipocondria tipica dell’impolitico di Kierkegaard viene meno durante l’ondata rivoluzionaria del 1848, che si sviluppa anche nella sua Danimarca. Come il secondo Schelling e Schopenhauer, spaventato da una rivoluzione che pare poter mettere in discussione i suoi irrazionali privilegi, si politicizza immediatamente in senso controrivoluzionario.

Il presunto cristianesimo vissuto di Kierkegaard

Kierkegaard è un pensatore programmaticamente a-sistematico, come un po’ tutti i pensatori irrazionalisti, la sua filosofia è una ricerca interiore di matrice agostiniana, è un’apologetica religiosa, il suo è un sedicente cristianesimo vissuto, interiore, che coinvolge l’esistenza del singolo e non un cristianesimo razionale come quello hegeliano, né un insieme di pratiche esteriori come quello della Chiesa. Kierkegaard si pone in aperto contrasto con la gerarchia ecclesiastica del proprio tempo, che considera troppo progressista e razionalista, troppo influenzata dalla filosofia hegeliana, al punto da rifiutare i sacramenti anche in punto di morte. Per altro il cristianesimo radicalmente individualista di Kierkegaard appare inconciliabile con la dimensione socievole, collettiva e intersoggettiva di una ecclesia.

La riscoperta di Kierkegaard

L’alternativa offerta da Kierkegaard all’idealismo rimane ininfluente nella filosofia dell’Ottocento e solo alla fine di questo secolo comincia ad acquistare una certa risonanza prima nel pensiero teologico – in particolare con Karl Barth – e poi, nel Novecento, in ambito filosofico. Concetti importanti del pensiero kierkegaardiano, dalla centralità del singolo, alla possibilitàe all’angoscia saranno ripresi da pensatori esistenzialisti fra gli anni venti e trenta del Novecento come Karl Jaspers, Martin Heidegger e Jean Paul Sartre principalmente in chiave non religiosa, mentre quasi esclusivamente Gabriel Marcel li riprenderà in chiave cristiana.

Contro lo hegelismo un abisso separa il finito dall’infinito

La filosofia di Kierkegaard muove da una critica radicale al sistema hegeliano. Mentre Feuerbach critica Hegel rovesciando il rapporto fra finito e infinito, il cui nesso, però, rimane saldo, Kierkegaard separa completamente il finito dall’infinito. Dal punto di vista di Kierkegaard tra uomo e dio c’è un abisso incolmabile, vi è, infatti, una differenza ontologica qualitativamente assoluta tra il finito (l’uomo) e l’infinito (dio).

Il rapporto filosofia-religione

Mentre in Hegel la religione si risolve nella filosofia, che affronta lo stesso contenuto della religione però al livello superiore del concetto, in Kierkegaard non è possibile nessuna conciliazione fra ragione e fede, perché il contenuto religioso è irrazionale, è scandaloso e paradossale dal punto di vista di una morale razionale. Tutte le categorie del pensiero religioso sono, a parere di Kierkegaard, impensabili, come incomprensibile è destinata a rimanere l’assoluta trascendenza divina; inconcepibile è poi il mistero della fede cristiana per cui la divinità si fa carne e muore per gli uomini sulla croce e, tuttavia, il fedele crede nonostante tutto.

Il singolo al di sopra dell’universale

L’insegnamento del cristianesimo è incentrato, dal punto di vista di Kierkegaard, sul valore assoluto del singolo che è da considerare superiore allo stesso genere umano, mentre in Hegel il singolo sarebbe, al contrario, fagocitato dall’universale. Perciò secondo Kierkegaard Hegel avrebbe una mentalità pagana, mentre dal punto di vista di quest’ultimo il pensiero kierkegaardiano sarebbe antireligioso, dal momento che la religione mira e si sviluppa attraverso un rapporto sempre più stretto fra comunità umane e divinità. Al contrario, secondo Kierkegaard l’autonomia del singolo non può essere assorbita dall’universale. Il sistema hegeliano, riprendendo una critica presente già nel secondo Schelling, avrebbe l’assurda pretesa di dare un senso a tutto, di poter spiegare ogni cosa da un punto di vista razionale e di poter trovare una risoluzione grazie alla ragione a tutte le contraddizioni. A parere di Kierkegaard, tale conciliazione delle contraddizioni può apparire realizzata se consideriamo lo sviluppo dell’intero sistema hegeliano, se invece, al suo interno, ritagliamo una singola esistenza, tutto cambia: le contraddizioni nell’orizzonte temporale finito dell’uomo, e non in quello eterno dello spirito, restano, secondo Kierkegaard, necessariamente irrisolte. Il limite dell’idealismo sarebbe, quindi, nell’incapacità di cogliere la realtà della vita concreta, l’esistenza nella sua peculiarità che, a parte di Kierkegaard, non può essere dedotta dall’universale.

Contro la sintesi dell’et et, la scelta dell’aut aut; ovvero la possibilità contro la necessità

Alla riflessione oggettiva di Hegel (distaccata e disinteressata), Kierkegaard contrappone quella soggettiva connessa all’esistenza (in cui il singolo è necessariamente coinvolto). Mentre la prospettiva di Hegel è l’universalità dello spirito, quella di Kierkegaard è la singolarità dell’uomo, mentre la dialettica hegeliana supera le contraddizioni nella sintesi (et et), sul piano dell’esistenza la contraddizione non si risolve, ma impone una scelta tra alternative inconciliabili (aut aut). Se la storia, al centro della filosofia hegeliana, è regolata dalla necessità (libertà intesa come comprensione della necessità), la singola esistenza si muoverebbe, nella prospettiva di Kierkegaard, nell’ambito della possibilità (libertà intesa, dunque, come possibilità), che implica una scelta pratica, una scelta di vita, che determina cosa l’individuo sarà e che si presenta come irreversibile. ll tempo del singolo è essenzialmente finito e lineare, in quanto è destinato a morire, mentre lo spirito, al contrario è immortale. Le possibilità nell’esistenza del singolo si escludono a vicenda, senza mediazioni, senza possibilità di giungere a una sintesi. All’uomo si offrono, quindi, le alternative dell’esistenza, fra le quali è condotto a scegliere, mentre Kierkegaard non può scegliere, la sua attività è quella di un contemplativo che ha moltiplicato la sua personalità con pseudonimi, in modo da accentuare il distacco da se stesso e dalle forme di vita che descrive, che egli stesso si è impegnato a non scegliere. Da qui la rottura con Regina Olsen, che pure amava. Kierkegaard è consapevole che la sua scelta di vita è inconciliabile con la scelta del matrimonio.

Riassumendo schematicamente:
Hegel:
- Universale (universalità dello spirito)
- Essenza-ragione
- Et -et (sintesi conciliatrice della dialettica)
- Necessità
VS
Kierkegaard:
- Singolare (singolarità dell’uomo)
- Esistenza
- Aut -aut (alternative inconciliabili – scelta)
- Possibilità

Segue nel numero 291 de “La Città futura” on-line dal 11 luglio.

13/06/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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