Hegel e il carattere reazionario della religione

Non solo le idee nazionali sono anche il frutto del cosmopolitismo illuminista della rivoluzione francese, ma in Hegel, a differenza di pensatori più conservatori, non vi è tendenzialmente opposizione tra mito greco e lotta per l’unificazione nazionale dei principati tedeschi, come del resto tra universalità razionale e interesse storico-positivo.


Hegel e il carattere reazionario della religione

Al dispotismo orientale del mondo ebraico, cui sono riconducibili in ultima istanza il dogmatismo e l’aridità intellettualistica della teologia confessionale, fa riscontro nel giovane Hegel l’assetto repubblicano e libero del popolo greco che ha prodotto Socrate, l’ideale dell’uomo illuminato [1]. Si tratterà, allora, di purificare il cristianesimo dalle sue origini ebraiche, di superarne i limiti dovuti al suo essere espressione della decadenza del mondo antico, che gli avevano impedito di elevarsi a una concezione moderna, vale a dire filosofica della teologia [2].

A partire da ciò, in alcune riflessioni di questi anni, Hegel si spinge fino a denunciare il carattere reazionario della religione, che ai suoi occhi rappresenta un ultimo appiglio per quei regimi dispotici, entrati in crisi con l’Illuminismo e la Rivoluzione Francese. Egli insiste così sull’uso che fa il dispotismo, anche illuminato, della religione: “e se coloro che hanno questa fede considerano il ruolo della dottrina fondata sui miracoli non dannoso né pregiudizievole per la moralità, ma giovevole al dispotismo, essi ne apprezzano il compito solo per il fatto che sono un potente freno per la rozza plebe” [3]. Solo attraverso la trasformazione della plebe priva di storia in un popolo capace di appropriarsi riflessivamente del suo patrimonio culturale sarà possibile ovviare a questo problema [4]. Tale problematica si lega alla dura critica di impianto illuminista condotta da Hegel nei riguardi dell’antropomorfismo delle credenze, cui non si sottrae la stessa religione greca. Tuttavia, gli elementi riconducibili alla religione primitiva, legati allo spirito infantile che si esprime nelle credenze, non possono essere sradicati dall’esterno, eliminati sulla base di principi intellettualistici, dato il loro stretto legame con i costumi di un popolo: “questo senso infantile ha dato origine alle istituzioni, alle istanze e alle rappresentazioni religiose (particolarmente sacrifici, preghiere, espiazioni) che alla ragione appaiono spesso bizzarre e ridicole, spesso degne di disprezzo; soprattutto quando essa vede che i cuori buoni degli uomini ne appaiono ingannati, per sete di potere, sempre indegnamente. Ma allo spirito e alla fantasia, che si rifanno a quel senso, esse sono spesso gradite, sublimi, anzi sovente commoventi in massimo grado; ed esse divengono santificate e perpetuate dall’uso” [5]. 

Solo grazie a un generale sviluppo storico si possono eliminare gli elementi superstiziosi che si annidano nelle credenze: “quanto più, per un verso, svanisce lo spirito che originariamente aleggiava in queste istituzioni, divenendo allora i sacri riti ed usi un peso che la pietà prima non avvertiva, e quanto più, per l’altro la ragione guadagnava terreno, tanto più quei riti sono vicini ad una sicura rovina” [6]. 

Alla critica della religione – in cui a fianco di reminiscenze illuministe si trovano notazioni che sembrano anticipare la polemica più radicale della sinistra hegeliana [7] – si aggiungono sin da ora notevoli controtendenze, senza che, anche in questo caso, Hegel sembri in grado di giungere a una sintesi dialettica. La religione pare costituire una necessità insopprimibile, fondata sul principium individuationis, sull’imprescindibile darsi storico del trascendentale, su quella che diverrà di lì a poco la tragedia dell’Assoluto. A parere di Hegel, nel momento in cui l’imperativo categorico si esprime nei principi di una religione positiva perde certo in purezza, ma ottiene una penetrazione più efficace nelle masse popolari. In tal modo, per mezzo del passaggio da una concezione puramente soggettiva della religione a una popolare si favorisce il processo storico, che segna il progressivo affermarsi della ragione sulla sensibilità. Benché nella credenza religiosa l’uomo proietti fuori di sé la legge morale, alienando in una personificazione extra umana una razionalità ancora in fieri, egli favorisce inconsapevolmente il progressivo conciliarsi dei suoi bisogni sensibili con il fine ultimo posto dalla ragione [8].

Note:

[1] Come ricorda Rosenkranz: “i confronti fra Cristo e Socrate lo occupavano vivamente. Ebbro di grecità non si limitava a paragonarli, ma non era neppure alieno da dare per certi aspetti la sua preferenza a Socrate. Esaltava allora costui per non aver creato cerimonie mistiche, per non aver condizionato i suoi discepoli con alcuna forma di vincolo verso la sua persona, per non aver legato il loro destino al suo” Rosenkranz, Karl, Georg Wilhelm Friedrich Hegels Leben [1844], tr. it. a cura di Bodei, Remo, La vita di Hegel, Vallecchi, Firenze 1966, p. 71. Ancora a proposito di Socrate, osserva Hegel: “come in generale il modo di ammaestramento deve essere sempre giudicato secondo il genio ed il tono con cui ci si può rivolgere ad un popolo, così noi troviamo anche qui maniere sempre diverse. Socrate, che viveva in uno stato repubblicano, dove ogni cittadino parlava liberamente con gli altri, e una fine urbanità nei rapporti era propria finanche alle persone più umili, ammaestrava nella conversazione la gente nel modo più semplice del mondo” Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, p. 115; id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 201. Questa concezione, tipica di molti intellettuali tedeschi dell’epoca, è così descritta da Rosenzweig che, fedele alla tradizione liberal-bismarckiana, vi vedeva una fuga utopica di fronte al compito di dare al popolo tedesco l’unità nazionale: “com’è triste lo spirito dei popoli cristiani, com’è stupenda l’immagine di quel genio che irradia l’anima. «Ahi! Dai lontani giorni del passato» – l’immagine di quello spirito del popolo, che aveva una madre indulgente, la politeia, una madre priva di durezza che non rimprovera, che non costringe le tenere membra entro fasce troppo strette” Rosenzweig, Franz, Hegel e lo stato [1920], ed. italiana a cura di Bodei, Remo, Il Mulino, Bologna 1976, p. 37. A questo proposito, si dovrebbe osservare che non solo le idee nazionali sono anche il frutto del cosmopolitismo illuminista della rivoluzione francese, ma che in Hegel, a differenza di pensatori più conservatori, non vi è tendenzialmente opposizione tra mito greco e lotta per l’unificazione nazionale dei principati tedeschi, come del resto tra universalità razionale e interesse storico-positivo.

[2] Hegel si domanda: “dove mai si è visto un mutamento dei concetti religiosi precedere un felice mutamento nel corso della cultura scientifica, che da quello sarebbe determinato? non è piuttosto l’ampliamento delle scienze e del loro spirito di ricerca a trascinare sempre dietro di sé l’illumminamento dei concetti teologici, e proprio con la più decisa opposizione dei custodi di questi concetti Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 122; Scritti…, cit., p. 209. Come mostra Hegel, la stessa ortodossia confessionale ha dovuto spesso rinunciare agli aspetti più radicali della sua dottrina sotto la spinta del progressivo affermarsi della critica illuminista, consentendo così alcune interpretazioni filosofiche, prima considerate eretiche: “i campioni dell’ortodossia, difendendo la religione cristiana contro i giganti da cui è stata assalita, hanno assunto a poco a poco alcuni dei loro concetti; e l’unico espediente per salvare la loro fortezza principale è stato quello di abbandonare le posizioni avanzate indifendibili” ivi, p. 121; p. 207.

[3] Ivi, p. 142; p. 234.

[4] In caso contrario: “quanto abietto sia l’edificio di uno stato o solo di classi di uomini in cui sono in voga questi principi, e in cui i rapporti naturali sono distorti da questa immorale filastrocca religiosa, ci viene insegnato dalla storia di tutti i tempi, e ce lo insegna ancora oggi la triste immagine degli stati in cui questo sistema domina tuttora, per esempio lo Stato della Chiesa o di Napoli” ivi, p. 143; p. 236.

[5] Ivi, p. 124; p. 212.

[6] Ibidem. Da queste notazioni è possibile osservare come sia già presente nella riflessione hegeliana il concetto di spirito, sviluppato a partire dall’Esprit du peuple, che si porrà in progressivo contrasto con l’astratta ragione dell’illuminismo e del kantismo. Per quanto riguarda la genesi storica di questo concetto, ha osservato a ragione Rosenzweig, che “la grande storiografia del XVIII secolo aveva perfezionato un metodo di ricerca, che riconduceva una realtà storica ampiamente articolata alle sue «cause» accostate l’una all’altra con ordine, enumerabili. Con la nozione di esprit général Montesquieu condensa quel tipo di ricerca in un più solido criterio interpretativo di filosofia della storia; Herder lo ripropone di tanto in tanto e Hegel infine lo fa trapassare nel XIX secolo con il suo concetto di spirito del popolo” Rosenzweig, F., Hegel e … op., cit., p. 38.

[7] Si consideri, ad esempio, questo passo: “la gratitudine verso colui che per noi ha ottenuto questo e per noi è morto, – come se molti milioni di persone non si fossero sacrificati per scopi più modesti, offrendosi sorridenti, senza sudare freddo e sangue, con gioia, per il loro re, la loro patria, i loro cari, come se fossero morti per tutto il genere umano – la gratitudine per questa morte, che è l’elemento più importante, il centro della nostra religione, l’elemento più solenne per l’attività della nostra fantasia, deve condurre alla venerazione di Cristo e di Dio, alla quale appartiene fra l’altro la diffusione del suo nome, ecc. ed infine anche la pietà, la carità, ecc. È per queste vie indirette che noi siamo portati alla morale, per linea discendente, non ascendente” Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 151; Scritti…, cit., p. 244. Osserva, a questo proposito, Finelli: “il cristianesimo è religione positiva perché non pone la virtù morale come scopo primario dell’uomo bensì l’obbedienza e il servizio di Dio, in cambio dei quali si può sperare nella beatitudine eterna” Finelli, Roberto, Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel (1770-1801), Roma, Editori Riuniti 1996, p. 74. Va, inoltre, ricordato che la tematica della riappropriazione da parte dell’uomo delle sue qualità generiche alienate in cielo è presente già nelle correnti più radicali dell’illuminismo ed è possibile ritrovarla nella Dissertatio pro Magistero di Schelling, nel momento in cui descrive l’età della ragione, vero e proprio compimento della storia umana.

[8] Si consideri, ad esempio, questo passaggio: “se la virtù, diceva Platone, apparisse fra gli uomini, tutti i mortali dovrebbero amarla. Platone credeva sì in uomini virtuosi, ma ricercava la virtù stessa per ispirare negli uomini l’ammirazione appassionante” Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 148; Scritti…, cit., p. 241. Lo stesso discorso vale per alcune considerazioni relative alla figura di Gesù: “inoltre questo ideale ha anche il grande vantaggio di non essere una fredda astrazione; la sua individualizzazione, per cui noi lo sentiamo parlare e lo vediamo agire, comporta che esso sia già affine al nostro spirito ed ancora più vicino al nostro sentire. Qui dunque, per il credente, non vi è un uomo virtuoso ma è apparsa la virtù stessa” ivi, p. 149; p. 242.

12/11/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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