Critica delle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo capitalistico

Il fatto che lo sviluppo della forza produttiva nei diversi rami industriali si manifesta non solo in proporzioni, ma spesso in direzione contraria, non è dovuta unicamente all’anarchia determinata dalla concorrenza al particolare carattere del modo borghese di produzione; si ricollega anche con le condizioni naturali, che diminuiscono sovente il loro rendimento, nella misura stessa in cui la produttività aumenta. Come conseguenza si hanno movimenti in senso contrario in queste diverse sfere produttive: al progresso da una parte corrisponde il regresso dall’altra.


Critica delle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo capitalistico

1. Horror da caduta: l’inquietudine che viene dal profondo

È interessante notare che la soluzione a quello che era l’arcano della caduta tendenziale del tasso di profitto, maturata in anni di studio sui classici dell’economia borghese, appaia in un primo momento estremamente semplice. Scrive Marx al proposito: “la progressiva tendenza alla diminuzione del saggio generale del profitto è dunque solo un’espressione peculiare al modo di produzione capitalistico per lo sviluppo progressivo della produttività del lavoro” [1].

Marx si limita in un primo momento a ribaltare l’espressione borghese “aumento della produttività” mostrando come questa, nell’ambito della produzione capitalistica, comporti necessariamente il suo opposto: la caduta tendenziale del saggio di profitto. Se tutti gli economisti classici erano stati concordi nell’indicare lo sviluppo esponenziale della produttività, come il compito storico della produzione capitalistica gli stessi si erano rifiutati, però, di riconoscere nella caduta tendenziale del saggio del profitto il necessario ribaltamento dialettico. Ciò è comprensibile se si considera che tutti i “classici” ritenevano assoluto il modo capitalistico di produzione. Quindi, non potendo ammettere che lo stesso modo di produzione capitalistico conteneva un limite all’ulteriore sviluppo della produzione, erano costretti ad attribuire tale limite alla natura.

Marx, al contrario, consapevole del carattere storico del capitalismo, poteva mostrare già nei Lineamenti, che in tale modo di produzione: “l’aumento della produttività del lavoro è sinonimo di: A) aumento del plusvalore relativo, o del tempo di plusvalore relativo che l’operaio cede al capitale. B) diminuzione del tempo di lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro, C) diminuzione della parte di capitale che in genere si scambia contro lavoro vivo, rispetto alle parti di esso che partecipano al processo di produzione come lavoro oggettivato e valore presupposto. Il saggio di profitto è perciò inversamente proporzionale all’aumento del pluslavoro relativo o del plusvalore relativo, allo sviluppo delle forze produttive e alla grandezza del capitale impiegato nella produzione sotto forma di capitale costante” [2]

Sostanzialmente simile è l’esposizione rintracciabile nel tredicesimo capitolo del III libro del Capitale, dove Marx espone “la legge in quanto tale”: “lo stesso numero di operai e la stessa quantità di forza lavoro, divenuti disponibili per mezzo di un capitale variabile di una data entità, in conseguenza di particolari metodi di produzione che si sviluppano nella produzione capitalistica, mettono in movimento, impiegano, consumano produttivamente, durante il medesimo periodo di tempo una massa crescente di mezzi di lavoro di macchinario e capitale fisso di ogni genere, di materie prime e ausiliarie e, per conseguenza, un capitale costante di sempre maggior valore. [...] Insieme alla progressiva diminuzione relativa del capitale variabile nei confronti del capitale costante, tale tendenza dà luogo a una più’ elevata composizione organica del capitale complessivo, ciò che ha per immediata conseguenza il fatto che il saggio del plusvalore, ove il grado di sfruttamento del lavoro rimanga costante e anche aumenti viene espresso da un saggio generale del profitto che decresce continuamente” [3].

2. Forze centripete e forze centrifughe dall’astratto al concreto

Marx con il capitolo tredicesimo sembra essere giunto, con estrema semplicità, alla soluzione di quel problema che tutta l’economia politica aveva fino a quel momento cercato invano di risolvere. Il seguente capitolo quattordici ha però in serbo, per l’incauto lettore spintosi fino a questo punto, un vero e proprio “coup de theatre”: “il processo della caduta del saggio di profitto diventerebbe ben presto una faccenda seria per la produzione capitalistica se, accanto alla forza centripeta, non agissero tendenze paralizzanti operanti continuamente in senso centrifugo”. Lo stesso Marx, dunque, dopo aver esposto la legge nel suo astratto funzionamento, passa alla sua verifica dialettica; si tratta di considerare se nel contraddittorio funzionamento del modo capitalistico di produzione non agiscano delle forze contrastanti. Ed ecco presentarsi ben sei cause antagonistiche che richiederanno una riformulazione della legge ad un livello di maggiore complessità.

3. Sei cause in cerca d’autore

Il quattordicesimo capitolo si apre così: “qualora si confronti l’imponente sviluppo delle forze produttive del lavoro sociale quale si presenta solo negli ultimi trenta anni, con la produttività di tutti i periodi precedenti [...] si comprende come la difficoltà, di spiegare la diminuzione del saggio di profitto, venga ora sostituita dalla difficoltà opposta, consistente nello spiegare le cause per cui questa diminuzione non è stata più forte o più rapida” [4].

Si passerà, qui, ad analizzare, queste cause antagonistiche in grado di contrastare, se non di neutralizzare, la legge come è stata esposta fino a ora [5].

È necessario anche in rapporto all’analisi delle cause antagoniste alla caduta del saggio di profitto ritrovarne le origini nei manoscritti preparatori alla critica dell’economia politica. Ciò permetterà di constatare la sostanziale continuità nell’esposizione svolta da Marx. Si consideri, ad esempio, nei Lineamenti Fondamentali, questo passo dove vengono individuate le principali cause frenanti la caduta del saggio di profitto: “la continua svalorizzazione di una parte del capitale esistente; la trasformazione di una gran parte di capitale in capitale fisso che non funge da agente diretto della produzione; lo sperpero improduttivo di una parte notevole di capitale” [6]. Immediatamente dopo, Marx aggiunge un’ulteriore causa antagonista alla caduta del saggio del profitto che occorre sottolineare in quanto risulterà centrale nel successivo sviluppo della trattazione: “la caduta viene anche frenata mediante creazione di nuovi rami di produzione nei quali occorre più’ lavoro immediato rispetto al capitale, o in cui la produttività del  lavoro non si è ancora sviluppata” [7].

Prima di procedere a un necessario approfondimento della legge, occorre soffermarsi brevemente, sul metodo generale d’analisi utilizzato da Marx.

Punto di partenza è sempre la critica dell’economia politica. Individuandone le carenze, Marx risale alle cause che le hanno prodotte. Al livello più generale i “classici” non erano riusciti a comprendere le contraddizioni immanenti al modo capitalistico di produzione in quanto lo ritenevano universale. Così i limiti del capitalismo venivano attribuiti alla natura. In questo modo gli economisti politici si limitavano a registrare empiricamente i fenomeni senza poterli comprendere.

Queste considerazioni critiche, portarono Marx alla necessità di basarsi su di un nuovo metodo: il materialismo storico-dialettico. Ciò consente a Marx, tramite l’astrazione storicamente determinata, di analizzare le leggi del capitalismo nel loro funzionamento autonomo. Solo in seguito, tali leggi considerate astrattamente, vengono verificate sperimentalmente con le diverse forze talora contrastanti, che caratterizzano il concreto, in quanto sintesi di molteplici determinazioni. Solo, così, Marx può rielaborare la legge in questione a un livello più complesso.

4. Scandalo e orrore

Si cercherà nel presente paragrafo di analizzare più particolarmente le cause antagonistiche alla caduta del saggio di profitto al fine di comprenderne meglio la funzione loro assegnata da Marx. Passaggio, indispensabile per tentare di giungere a una connessione della legge nella sua dinamicità interna, con l’intero impianto di questo, centrale, terzo libro de Il capitale.

Marx nel tredicesimo capitolo ha dimostrato come mantenendo fermo il saggio del plusvalore, ogni aumento della componente costante del capitale nei confronti della variabile, si traduca inevitabilmente in una flessione del saggio di profitto. L’apparente limpidezza dell’esposizione, viene nel quattordicesimo paragrafo rimessa in discussione dallo stesso Marx che introducendo nuovi dati, complica il problema, contrastando, l’altrimenti lineare decorso della legge.

Si mostra infatti come il saggio di plusvalore, in un primo momento considerato costante, in realtà possa variare indipendentemente dai movimenti della composizione organica. Anzi, Marx dimostrerà come il fine ultimo dell’aumento della composizione tecnica del capitale è proprio la necessità di accrescere le condizioni di sfruttamento della forza lavoro occupata, sia mediante il prolungamento della giornata lavorativa (plusvalore assoluto), sia intensificando i ritmi di lavoro (plusvalore relativo). Proprio l’aumento del saggio del plusvalore si tradurrà, inevitabilmente, in un’azione frenante se non paralizzante, sulla tendenza a decrescere del saggio di profitto.

Note:

[1] Marx, Karl, Il capitale. Critica dell’economia politica [Das Kapital. Kritik der politischen Ökonomie], Editori Riuniti, Roma 1989, terzo libro, p. 261.

[2] Id., Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica [Grundrisse der Kritik der politischen Ökonomie], in Marx-Engels Opere, vol. XXX, Editori Riuniti, Roma 1986, p. 480.

[3] Id., Il capitale cit., terzo libro, pp. 261-62.

[4] Ivi, p. 283.

[5] Sarebbe utile confrontare il metodo espositivo utilizzato da Marx in questa sezione, con quella pagina di grande interesse metodico con cui si apre questo III libro del Capitale.

[6] Id., Lineamenti cit., vol. II, p. 462.

[7] Ibidem.

01/12/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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