La crisi dei governi di centro-sinistra Prodi, D’Alema e Amato
Il primo governo Prodi si fonda sull’asse tra il Partito democratico di sinistra (Pds) e il Partito popolare italiano (Ppi) [1] con l’appoggio esterno del Partito della rifondazione comunista (Prc), il partito dei comunisti contrari alla svolta riformista del Pds. Tale appoggio viene meno nel momento in cui Pds e Ppi, nel 1998, non danno garanzie di passare dopo la politica di “risanamento”, pagata principalmente dalle classi sociali più deboli, a una politica riformista a partire dalla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, pattuita a inizio legislatura con il Prc. Tuttavia Pds e Ppi evitano le elezioni sostituendo i voti del Prc con quelli di una parte della destra capeggiata da Francesco Cossiga, che fa il suo ingresso nel governo in cambio della garanzia dell’entrata in guerra dell’Italia nella coalizione che si accinge ad aggredire quanto restava della Federazione jugoslava. Anche la maggioranza dei deputati del Prc entrano nel nuovo governo, sostenendo una scissione dal partito che avrebbe portato alla nascita del Partito dei comunisti italiani (Pdci), anche se la maggioranza dei militanti rimane nel Prc. Il nuovo governo è capeggiato da Massimo D’Alema, che rimane in carica sino alla pesante sconfitta nelle elezioni amministrative del 2000. La legislatura è portata a termine dal governo Amato, che conduce la coalizione sino alla pesante sconfitta delle elezioni politiche del 2001 vinte dalla Casa delle libertà capeggiata da Berlusconi, a causa dell’alto astensionismo dei ceti popolari, che si sentono traditi dai partiti che li hanno governati.
1. Il decennio berlusconiano (2000-2010)
Il primo decennio del terzo millennio è stato segnato dal governo Berlusconi, a eccezione degli anni 2006-2008 caratterizzati dal secondo governo Prodi. In questi anni Berlusconi ha accentuato i tratti populisti del suo governo, giustificando ogni sua scelta di rottura con lo spirito della Costituzione con l’appello alla legittimazione popolare, avuta facendo leva sui valori comunitari, identitari e tradizionalisti con il supporto della Lega e della destra di provenienza missina. Oltre che dal richiamo al plebiscitarismo, il governo Berlusconi è stato caratterizzato da altri elementi bonapartisti come l’esaltazione del capo carismatico di contro alla svalutazione degli istituti della democrazia rappresentativa, in nome della rapidità e dell’efficacia della decisione politica.
Il controllo dei grandi mezzi di comunicazione e l’astensionismo di sinistra
Grazie all’abile utilizzo dei grandi mezzi di comunicazione di massa, che è riuscito in modo altrettanto abile a porre sotto il proprio controllo, e alla debolezza di un’opposizione di centro-sinistra divisa e sempre più incapace di incarnare una credibile alternativa, Berlusconi concentra nelle sue mani un grande potere, cementificato dalla delusione provocata negli elettori di sinistra dai governi di centro-sinistra, che favorisce l’astensione dei ceti popolari, consentendo a Berlusconi di disporre di ampie maggioranze.
La crisi del governo Berlusconi
Tuttavia neppure il governo Berlusconi riesce a soddisfare le aspettative dei propri elettori, non potendo domare le lotte sociali, dal momento che le sue capacità egemoniche sono minate dai continui scandali giudiziari e dal comportamento libertino del leader che finisce con fargli perdere il consenso di una parte del mondo cattolico, rappresentato dall’Unione di Centro (Udc). L’accentuazione dei toni populisti di Berlusconi porta anche alla rottura con lo storico alleato Fini, che però non è seguito dalla maggior parte dei suoi ex compagni di partito.
2. I governi del presidente (2011-14)
Il governo tecnico Monti
Le intemperanze comportamentali del presidente del consiglio, favoriscono la speculazione che colpisce in modo durissimo il Paese, facendo crescere in modo pazzesco il debito pubblico. Sfruttando questa occasione il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ottiene la sostituzione del governo Berlusconi con un governo tecnico, capeggiato dall’economista ultra-liberista Mario Monti. Forte di un consenso bipartisan e non dovendo rispondere del suo operato a un elettorato popolare, il governo Monti si assume in pieno la responsabilità di fare “il lavoro sporco”, ossia di far pagare i costi della crisi ai ceti sociali subalterni, privi ormai di rappresentanza politica autonoma. In tal modo si riesce a bloccare l’attacco speculativo contro il paese, al prezzo di un ulteriore aumento dell’età pensionabile e della messa in questione dello stesso statuto dei lavoratori.
Le elezioni politiche del 2013 dal governo Letta al governo Renzi
Le non più rinviabili elezioni politiche del 2013 vedono un’affermazione, anche se di misura, del Partito Democratico guidato da Bersani, che non riesce però a costruire, come preventivato, una nuova coalizione di centro-sinistra e, silurato dai franchi tiratori moderati del suo stesso partito, non si dimostra in grado nemmeno di eleggere un presidente della Repubblica, mandando allo sbaraglio Romano Prodi. Si deve perciò ricorrere a un secondo mandato di Napolitano che impone un governo di larghe intese sostenuto sia dal centro-destra che dal centro-sinistra guidato dall’ex democristiano Enrico Letta. L’affermazione nel Pd di Matteo Renzi, post democristiano deciso a rottamate l’anima social-democratica del Partito democratico, provoca la sostituzione di Letta con Renzi quale capo dell’esecutivo. Renzi riesce a governare con l’ala più moderata che si è scissa da Forza Italia, dando vita al Nuovo Centro democratico, e con il sostanziale appoggio esterno di Berlusconi – nel frattempo condannato – grazia al patto del Nazareno. Il sostegno bipartisan, l’appoggio di Napolitano e dei poteri forti, l’affermazione netta alle europee – grazie alla bassa affluenza alle urne e a un’opposizione guidata da un comico televisivo ultra-populista – consente a Renzi di portare avanti un’efficace politica volta a trasformare rapidamente l’Italia da una repubblica democratica parlamentare, in una repubblica liberista con vocazione presidenzialista. Ciò ha portato a un rafforzamento del potere dell’esecutivo a discapito del legislativo e del potere giudiziario e alla cancellazione sostanziale dello Statuto dei lavoratori, con una pressoché assoluta deregolamentazione del lavoro precario, presentato come unico antidoto alla disoccupazione. Nel frattempo la stella di Berlusconi, dopo le condanne della magistratura, appare sempre più in declino e, al suo posto, come nuovo astro nascente della destra, appare il populista e xenofobo Matteo Salvini. Il Pd guidato da Renzi mira a divenire il Partito della nazione cercando di marginalizzare con la propria demagogia centrista sia l’opposizione populista piccolo-borghese di Beppe Grillo che quella più aggressiva e reazionaria di Salvini. In tale scenario la figura del nuovo capo dello Stato, Sergio Mattarella, appare eclissata anche in rapporto al costante interventismo del suo predecessore.
La battuta d’arresto del governo Renzi e la resistibile affermazione dell’opposizione populista
Il consenso del governo – per altro sostenuto da un'imponente campagna mediatica e da una parte significativa dei poteri forti – diminuisce sensibilmente a causa delle misure che colpiscono, come il Jobs act, i lavoratori salariati o la Buona scuola che radicalizza la ormai decennale dequalificazione della scuola pubblica a vantaggio delle scuole private – contro la quale si mobilita la grande maggioranza degli insegnanti, in parte significativa ex-sostenitori del partito di governo. Renzi cerca di rilanciare il suo governo mirando a modificare la costituzione, rendendo indiretta la stessa elezione del senato e stravolgendo in senso ultra-maggioritario la legge elettorale.
Dalle comunali del 2016 al referendum costituzionale
La cocente sconfitta in alcune importanti città come Roma e Torino, nelle elezioni comunali del 2016, che passano al MoVimento populistico 5 stelle – divenuto il principale partito di opposizione vista l’inconsistenza dei partiti di sinistra, non in grado di capitalizzare la grande insoddisfazione dei ceti subalterni, e della destra sempre più spaccata fra Berlusconi e Salvini – costringono Renzi a una parziale marcia indietro. Il referendum costituzionale prima impostato, in stile bonapartista, come un plebiscito sull’operato del governo, alla luce dei sondaggi a lui svantaggiosi e della significativa perdita di popolarità dello stesso presidente del consiglio, viene ora considerato in maniera sempre più autonoma dalla sopravvivenza del governo e dalla legge elettorale ultra maggioritaria che è nuovamente posta in discussione, in quanto favorirebbe l’affermazione, di contro al partito della nazione vagheggiato dal presidente del consiglio, il demagogico MoVimento 5 stelle.
La fronda anti europeista e il ripensamento della questione dei profughi
Con una netta svolta il governo prende in modo sempre più deciso le distanze dalle precedenti posizioni filo-europeiste, nel tentativo di scippare al MoVimento 5 Stelle l’opposizione, peraltro più formale che reale, alle politiche di austerità dell’Unione europea, sempre più impopolari anche in Italia, anche perché scaricano con il regolamento di Dublino il problema dei profughi, provocati dalle guerre in Medioriente e in Afghanistan, principalmente sui paesi più facilmente raggiungibili via mare come il nostro. La critica a un'Unione Europea, sempre più attraversata da muri atti a impedire il passaggio dei profughi da un paese a un altro, è peraltro sostenuta dallo stesso Vaticano.
Il riposizionamento del Vaticano dopo la deriva reazionaria di Ratzinger
La chiesa cattolica, sotto la direzione del gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, sta progressivamente prendendo le distanze dalla precedente deriva reazionaria di Benedetto XVI, che aveva fatto perdere sempre più popolarità al cattolicesimo fra i ceti subalterni del terzo mondo e in particolare dell’America Latina – sempre più incalzato dalle chiese pentecostali, strumento della penetrazione statunitense, e dall’affermazione del Socialismo del XXI secolo. Avendo il cattolicesimo sempre più in tali paesi le proprie basi di massa, l’inedita sostituzione del precedente papa – che peraltro aveva già fortemente influenzato il suo predecessore Giovanni Paolo II – con un papa sudamericano molto più disponibile a una parziale conciliazione con la modernità (indispensabile per riconquistare consensi in un mondo occidentale sempre più secolarizzato), ha portato Francesco I a rivalorizzare le origini del cristianesimo quale religione capace di consolare e di dare una nuova speranza, per quanto in un mondo ultraterreno, alle masse dei diseredati.
Note
[1] Dalla successiva fusione di questi due partiti sarebbe in seguito nato il Partito democratico (Pd),