L’ingenua presunzione di quel realismo, spacciato al tempo come socialista, di poter comprendere e rappresentare il reale attraverso una riproduzione documentaria “scientificamente” esatta è, per Brecht, una vana tentazione metafisica [1]. Pur nella sua obiettiva dipendenza dal piano dell’apparenza la realtà non gli sembra più penetrabile a uno sguardo immediato, la semplice resa fenomenica di processi visibili esteriormente non gli appare più sufficiente. Per mezzo dell’effetto di straniamento [Verfremdung] lo sguardo naïf può, dunque, essere trasmesso al pubblico e favorire quell’atteggiamento di stupore mediante il quale niente più appare ovvio, attraverso cui ogni cosa può essere colta nella sua irripetibile individualità.
Alla luce del concetto di naïf, invece, lo stesso effetto di straniamento può essere considerato una provocazione che stimola il pubblico ad assumere un’attitudine ingenua di stupore di fronte a tutto ciò che sulla scena o nel mondo fenomenico si cela dietro la maschera altrimenti impenetrabile del dato, del naturale e di ciò che sembra noto [2].
La ricerca di questo connubio dialettico tra l’atteggiamento riflessivo e critico dello straniamento e l’immediatezza del naïf [3], costituisce un paradigma ideale anche per dar conto della tanto discussa aspirazione al classicismo indubbiamente presente nell’ultima parte dell’opera brechtiana [4] e sviluppatasi in stretto rapporto con la categoria di ingenuo.
Proprio questa caratterizzazione che dà Brecht al concetto di naïf ha fatto pensare a chi si è occupato di questa parte dell’opera brechtiana a un più o meno esplicito richiamo al famoso saggio di Schiller Sulla poesia ingenua e sentimentale. Tuttavia diversi interpreti, preoccupati di mantenere ben evidenti le differenze tra Brecht critico del classicismo e i due “dioscuri” di Weimar, hanno mirato a evidenziare la disparità tra il concetto di naïf utilizzato da Brecht e quello di cui si è servito Schiller. Così, ad esempio, Hans Mayer in Brecht e la Tradizione [5] si è sforzato di dimostrare che il concetto di cui Brecht si era servito era incommensurabile con quello utilizzato da Schiller per indicare uno “stadio presentimentale” [6]. Schiller, infatti, aveva contraddistinto la poesia moderna con il concetto di sentimentale per differenziarla dall’immediatezza implicita nel concetto di ingenuità che utilizzava per contraddistinguere la poesia degli antichi. Per Schiller, questa concezione ingenua della poesia sarebbe da ritenere oggi del tutto inadeguata a caratterizzare una società come la nostra, segnata da un’intima scissione.
È difficile dubitare che il concetto utilizzato da Brecht abbia un significato ben diverso da quest’ultimo [7]. Tuttavia, benché Mayer non sembri accorgersene, il termine naïf era utilizzato da Schiller anche in un’altra accezione. Con questa Schiller intendeva caratterizzare la produzione di Goethe, di un autore cioè che all’interno del mondo moderno aveva cercato di riconquistare l’ingenuità caratteristica dell’arte antica. A tal fine non era stato possibile nemmeno per Goethe cancellare la scissione del mondo contemporaneo e della sua espressione artistica, ma era stato piuttosto necessario prendere l’avvio proprio da questa. Goethe, secondo la definizione che ne dà Schiller, sarebbe, dunque, uno spirito greco condannato a vivere in un mondo nordico, che può riconquistare la sua patria originaria solo attraverso un percorso razionale. Esclusivamente così egli poteva appropriarsi dell’ingenuità degli antichi, ingenuità che, tuttavia, aveva perduto per sempre il carattere di immediatezza che la aveva contrassegnata. Si trattava, infatti, di una ingenutià [Naivität] di secondo grado che doveva portare necessariamente in sé il momento della riflessione [8]. È quindi con questa seconda accezione del termine che può essere paragonato il concetto usato da Brecht [9]. Questi, come Goethe, utilizzerebbe la categoria di naïf nel senso originario che aveva dato a questo concetto Batteux, cioè come recupero della semplicità classica [10]. Si tratta, però, di una semplicità artificialmente riconquistata, che deve essere considerata di natura dialettica [11].
Ora al di là dell’interesse filologico di quanto può aver ripreso Brecht da Schiller a noi interessa evidenziare delle più profonde affinità su un certo modo di intendere l’ingenuo e la possibilità di un recupero non neoclassicista dello spirito classico, perché tale raffronto ci permetterà di illuminare un nuovo aspetto della questione che ci sta a cuore: la possibilità di una forma drammatica in grado di portare a compimento le esigenze poste, ma non realizzate dalla teoria del teatro epico.
Per quanto riguarda la problematica concernente la possibilità di accordare la tensione al classicismo degli ultimi anni con il precedente sperimentalismo, si può osservare che l’attributo di classica può essere considerato atto a connotare la riflessione e l’ultima produzione di Brecht solo a patto di mantenere la stessa cautela critica con la quale Schiller poteva definire ingenua la poetica di Goethe.
Note:
[1] Sulle differenze tra la teoria dell’arte di Brecht finalizzata a un intervento trasformativo della realtà e la teoria del “rispecchiamento” di derivazione lukácsiana ha posto l’accento Jean François Chiantaretto nel suo Bertolt Brecht. Penseur Intervenant, Editions Publisud, Paris 1985.
[2] Confronta a tal proposito Nef, Ernst, Brechts neue Naivität, in Arbeitskreis Bertolt Brecht, Nachrichtenbrief 12, Oktober 1963, pp. 1-7.
[3] Sebbene spesso la critica non abbia analizzato questa connessione, anche per l’irrigidimento dogmatico subìto dalla dialettica nei paesi dell’est, qui è possibile vedere come l’esigenza del recupero del naïf si incontri con quella del recupero della dialettica. Si potrebbe osservare, schematizzando un po’, che all’est si è insistito esclusivamente sull’elemento dialettico nel tentativo di ricondurre la teoria brechtiana al materialismo dialettico (ad esempio Rülicke-Weiler, Käthe, Die Dramaturgie Brechts, Henschelverlag Kunst und Gesellschaft, Berlin 1968), all’ovest è stato, invece, unicamente analizzato l’elemento del naïf. Non si deve dimenticare, però, che Wekwert ha scritto dell’importanza data da Brecht alla dialettica all’interno dello stesso articolo dedicato al concetto di naïf; mostrando così implicitamente come questi due elementi potessero esser connessi. Cfr Wekwert, Manfred, “Auffinden einer ästhetischen Kategorie”, in Sinn und Form, Zweites Sonderheft Bertolt Brecht, Berlin 1957, p. 260 ss.
[4] Va tenuto presente che nel 1952 il poeta annotava nel suo diario di lavoro di aver intrapreso la lettura del carteggio tra Schiller e Goethe. Nelle stesse pagine Brecht faceva riferimento anche alla lettura di uno scritto di Lukács. È ipotizzabile che si tratti proprio del saggio dedicato dal filosofo ungherese a questo carteggio.
[5] Mayer, Hans, Bertolt Brecht und die Tradition, Verlag Günther Neske, Pfullingen 1961, tr.it. di Magris, C,. Brecht e la Tradizione, Einaudi, Torino 1972.
[6] In ciò Mayer sarà seguito da Schumacher che nella sua Bildmonographie ha scritto che per Brecht il naïf sarebbe “tutt’altro che ingenuo”, in quanto “esso mira a far apparire evidente, rendere sorprendente la dialettica” (Schumacher, Ernst, Brecht. Theater und Gesellschaft im 20. Jahrhundert, Henschelverlag, Berlin 1981, p. 308). Schöttker, invece, ha cercato di mostrare un’intima affinità tra Brecht e il giovane Lukács nella critica alla concezione schilleriana del naïf. “Nel suo esemplare della Teoria del romanzo di Lukács dell’anno 1920, le cui tracce di lettura indicano una ripetuto confronto con il testo, Brecht ha sottolineato al margine il seguente passo che allude al trattato di Schiller: “la Naivität del poeta dovrebbe esser considerata un’espressione positiva unicamente per l’interiore mancanza di artisticità del puro riflettere”. Quindi, il concetto di Brecht andrebbe distinto da quello di Schiller in quanto: “Brecht non parlerebbe di Naivität come fenomeno della coscienza, ma del naive come qualità di un testo o di una rappresentazione nel senso della sua semplicità.” Schöttker, Detlev, Bertolt Brechts Ästhetik des Naiven, J. B. Metzler Verlagsbuchhandlung, Stuttgart 1989, p. 87.
[7] Brecht, come abbiamo visto attento lettore sin dagli anni giovanili della Theorie des Romans di Lukács, non poteva ignorare che fosse impossibile all’interno del mondo moderno recuperare l’immediatezza artistica degli antichi. Cfr. Brecht, B., Grosse kommentierte Berliner und Frankfurter Ausgabe, a cura di W. Hecht, J. Knopf, W. Mittenzwei, K. Delef-Müller, Aufbau Verlag, Berlin und Weimar, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1989-2000, 30 voll, vol. 15, p. 118.
[8] Come ha scritto Peter Szondi: “il contrario del sentimento di naïf è certamente l’intelletto riflettente, e la disposizione sentimentale è il risultato dell’aspirazione, anche alle condizioni della riflessione, al ripristino del sentimento ingenuo.” Szondi, Peter, Lektüren und Lektionen. Versuche über Literatur, Literaturtheorie und Literatursoziologie, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1973, p. 473.
[9] Ovviamente, sebbene non si intenda qui riferirsi a una diretta ripresa da parte di Brecht del concetto di Schiller, ci sembra il caso di sottolineare gli aspetti che accomunano la concezione del naïf nei due autori, piuttosto che di evidenziarne, come è stato fatto fino a ora, le differenze.
[10] Ipotesi avanzata già da Schöttker che notava, appunto, la somiglianza tra il concetto di semplicità nella poetica del diciottesimo secolo e l’uso fattone da Brecht, cfr. Schöttker, D., Bertolt …, op. cit., p. X.
[11] Come ha osservato, già nel 1934, Arnold Zweig la prosa indubbiamente moderna di Brecht si sarebbe sviluppata nello spirito degli antichi, realizzando, così, qualcosa di radicalmente nuovo, ma dotato della stessa immediata semplicità, Cfr. Zweig, A., “Brecht-Abriß”, in Neuen Deutschen Blättern n. 2, 1934, p. 123.