Sarah & Saleem - Là dove nulla è possibile di Muayad Alayan, Palestina 2018, è indubbiamente uno dei pochi film usciti quest’anno da non perdere. Il film, in effetti, riesce nella non facile impresa di assicurare un significativo godimento estetico allo spettatore, lasciandogli al contempo molto da pensare. Tanto più che non si tratta di un pensiero fine a se stesso, ma indissolubilmente legato all’esigenza etica di un’azione in grado di contribuire all’ulteriore emancipazione del genere umano. Se, infatti, la spinta propulsiva della Rivoluzione di ottobre, cinese, cubana e vietnamita, ha consentito – insieme alla sconfitta del tentativo di rilanciare su scala internazionale colonialismo, schiavismo e razzismo da parte del nazi-fascismo a opera principalmente dell’Unione sovietica e della resistenza egemonizzata dai comunisti – di emancipare quasi tutti i popoli del mondo dal dominio coloniale, l’attuale restaurazione liberale ha interrotto questo essenziale processo di emancipazione del genere umano lasciandolo incompiuto. Tale incompiutezza e, anzi, la controffensiva delle forze che si battono per la de-emancipazione del genere umano appaiono, oggi, nel modo più evidente, nella Palestina occupata dai sionisti. Perciò la lotta per la liberazione della Palestina dal colonialismo sionista rappresenta un momento quanto mai attuale ed esemplare della lotta millenaria che si continua a combattere ancora oggi fra le forze che si battono per l’emancipazione del genere umano e quelle che fanno di tutto per impedirlo, operando in funzione della de-emancipazione. Perciò, opere d’arte come Sarah & Saleem sono senza dubbio di grande significato non solo dal punto di vista estetico, ma anche conoscitivo ed etico-politico.
Anche perché il film, come solo una grande opera d’arte necessariamente realista può fare, ci permette di comprendere degli aspetti particolarmente significativi della realtà storica e politica contemporanea nel modo più concreto e vicino alla vita reale degli spettatori, attraverso la storia particolare di individui tipici che assume una valenza universale. Nello specifico il film è incentrato su una emblematica storia realmente accaduta che, nel suo microcosmo, rispecchia il macrocosmo, ovvero la lotta a favore o contro l’emancipazione del genere umano. Inoltre, è una rappresentazione realistica del fascismo quotidiano necessariamente imperante in una situazione di oppressione colonialista di un intero popolo.
La storia potrebbe apparire un semplice avvenimento del tutto secondario che troverebbe al massimo poche righe di spazio nella cronaca, se non ricevesse un risalto universale per il luogo in cui avviene, ovvero nel caso più emblematico del colonialismo contemporaneo, là dove nulla è possibile. In effetti, la storia in questione pare quanto di più possibile possa avvenire sulla base della prassi del matrimonio borghese, ovvero il gratuito tradimento, per dare sfogo alla propria sessualità repressa. Ciò nonostante questa piccola storia ignobile, così banale come tante, che in quanto tale non meriterebbe in nessun modo di essere narrata, diviene una vera e propria tragedia nel contesto dell’occupazione dove nulla è possibile.
Da questo punto di vista emblematico è il dialogo che si svolge fra la protagonista ebrea del tradimento e una sua collaboratrice e amica. La prima – che comincia a prendere consapevolezza del tragico portato, in quell’assurdo contesto, della sua inconsapevole e ingenua scappatella – finisce con il confidare all’amica la causa della sua disperazione, ovvero il tradimento del marito. Al che l’amica, in modo del tutto naturale, sulla base della prassi del matrimonio borghese, la consola dicendogli che non c’è nessun motivo di disperarsi, si tratta di eventi piuttosto normali, consueti, che sostanzialmente non contrastano più di tanto con l’eticità borghese. Al contrario, sostiene altrettanto inconsapevolmente l’amica, tali scappatelle, queste storie essenzialmente di sesso non farebbero che rafforzare il matrimonio, facendo comprendere cosa è davvero importante e cosa è del tutto secondario e accidentale. Il sostanziale è, infatti, mantenere intatta la ipocrisia perbenista del benpensante, non consentendo a questi diversivi, di mettere in discussione la rispettabilità borghese. Il giudizio dell’amica ovviamente si rovescia completamente nel momento in cui viene a conoscenza del motivo reale per cui una semplice scappatella, in un contesto assolutamente irrazionale e immorale come quello dell’occupazione, acquista valenza tragica, ovvero la storia di sesso è avvenuta con il radicalmente altro, che non può in nessun modo venir riconosciuto da un appartenente al popolo della Herrenvolk democracy . Per cui, sebbene sia una dipendente la confidente non può trattenersi dall’esclamare, rivolgendosi alla sua amica-padrona, “ma come hai fatto a cadere così in basso, con tutti gli ebrei con cui potevi andare!?”.
In effetti nel contesto dell’occupazione e del sostanziale stato di apartheid in cui è costretta a vivere la minoranza dei nativi all’interno della Herrenvolk democracy, nessuno dei rappresentanti delle istituzioni e, in primo luogo del loro braccio armato, gli apparati repressivi dello Stato, come più in generale nessuno del “popolo” degli occupanti e del “popolo” dei colonizzati può credere alla semplice banalissima scappatella fra un uomo e una donna sposati. Anzi, paradossalmente, sono in primo luogo gli apparati di sicurezza degli oppressi a non credere alla possibilità che un colonizzato possa avere una semplice storia di sesso con una ebrea. Al punto che il nostro, viene convinto da un uomo politico di grande esperienza, che l’unico modo per venirne fuori è inventarsi di sana pianta una storia che, per quanto priva di qualsiasi fondamento reale, in quella tragica situazione non può che apparire l’unica credibile e verosimile. Ovvero il nostro qualunquista, che si è sempre tenuto alla larga da qualsiasi forma di lotta all’occupazione, deve spacciarsi per un eroe della resistenza, in grado di reclutare, sfruttando il proprio fascino, una donna del “popolo” degli occupanti.
In tal modo, non solo riottiene subito la libertà ed è scagionato immediatamente da ogni sospetto, ma comincia a farsi, involontariamente, la fama, del tutto immeritata, di essere appunto un eroico, quanto scaltro membro della resistenza. D’altra parte, la reale e banalissima piccola storia ignobile del tradimento per una semplice storia di sesso non può che apparire altrettanto incredibile e inverosimile, in quella tragicomica situazione da teatro dell’assurdo, agli apparati di sicurezza degli occupanti, che evidentemente non possono che avere un ruolo di primissimo piano all’interno della Herrenvolk democracy. Tanto più che, il marito della fedifraga è un alto ufficiale dell’esercito di occupazione, sino a quel momento destinato a una brillante carriera e rispettato ovviamente da tutti gli occupanti.
In primo luogo, è il marito a non dare credito alla piccola storia ignobile della moglie. Ma quando gli viene dimostrato che, per quanto inverosimile, è vera, decide di attuare una strategia difensiva anch’essa fondata sul completo stravolgimento della realtà per renderla credibile e accettabile nel contesto di un mondo a tal punto rovesciato, che il completamente falso appare indubitabilmente vero e la banalissima verità appare del tutto impossibile – per quanto tutto sia, in effetti, possibile – e la realtà in questione, in un contesto “normale”, sarebbe quanto di più banale e scontato. Quindi la storia attendibile e giustificabile è che il colonizzato abbia cercato di strumentalizzare la donna della Herrenvolk democracy la quale, però, appena emersa l’intensione del nemico colonizzato – in quanto tale potenziale terrorista – indignata aveva rotto qualsiasi relazione con l’arabo israeliano.
In tal modo, l’onore della famiglia occupante è salva, l’occupato che ha osato mettere in discussione la rispettabilità di una famiglia “per bene”, verrà condannato a una decina di anni di carcere, per i suoi intenti filo-terroristici. Tanto più che gli apparati di sicurezza hanno già per conto loro rapito con la violenza il malcapitato, in modo formalmente identico ai membri della sicurezza dei palestinesi occupati, e con metodi analogamente violenti e coercitivi vogliono fargli confessare l’“unica possibilità”, in quel cotesto del tutto disumano, credibile e accettabile dal senso comune.
Questa diabolica spirale si spezza grazie all’insorgere della reale vittima, la giovane moglie del palestinese incinta del primo figlio. Lei è l’unica a non poter dare credito alla versione ufficiale, pienamente accettata tanto dagli occupanti – che considerano il marito un terrorista – che dagli occupati che, specularmente, lo considerano un eroe della resistenza. La moglie sa bene, infatti, che il marito è un completo qualunquista e non avrebbe mai potuto compiere le azioni che gli sono unanimemente attribuite. Così, nonostante la sua situazione particolarmente difficile – in quanto vive la doppia oppressione di colonizzata e di donna condannata alla schiavitù domestica – è proprio lei a mettere radicalmente in questione la concezione ormai apparentemente del tutto acclarata della verità. Così, nonostante tutte le discriminazioni, è l’unica a comprendere immediatamente che il re è nudo e a farlo emergere, riuscendo a convincere la donna ebrea che la sua falsa testimonianza sta condannando l’innocente marito e di lei amante a dieci anni di carcere duro. La donna ebrea, nonostante subisca l’oppressione di genere da parte del marito, – che gli ha imposto la verità di comodo, essenziale per la sua carriera, minacciandola che se avesse detto la verità non sarebbe stata creduta da nessuno, anzi sarebbe stata considerata una traditrice e, in tal modo, non avrebbe potuto più curarsi del figlio, visto che sarebbe stato sicuramente dato in affidamento a lui, a seguito del minacciato divorzio – si convince della necessità di rompere quella mortifera trama di pregiudizi.
Al culmine della tragedia si viene così determinando la catarsi, grazi alle due donne che – in quanto entrambe oppresse, anche se in modo opposto, dai loro stessi uomini – finiscono finalmente per riconoscersi e ribellarsi insieme al ruolo di subalternità. In tal modo, riconquisteranno la loro libertà dalla schiavitù domestica cui le condannavano le rispettive famiglie patriarcali e riescono a imporre finalmente il riconoscimento della realtà, per quanto inverosimile potesse apparire nel mondo capovolto in cui sono costrette a vivere. Se la loro solidarietà di oppresse sarà decisiva per riaffermare la verità sul piano giuridico, evidentemente non possono molto contro il mondo distorto dell’occupazione. Per cui il palestinese, pur scagionato dall’accusa di aver voluto strumentalizzare per i suoi fini terroristici (ovvero in funzione della resistenza) la donna ebrea, resta comunque in carcere a scontare una pena, per quanto ridotta, a tre anni di carcere. D’altra parte,continuerà a essere considerato dal suo “popolo” di oppressi e subalterni un eroe, mentre la donna ebrea continua a essere considerata dal suo “popolo” di dominatori una traditrice.
Ecco che – esattamente come avveniva negli Stati Uniti, quando sulla base del “crimine” di misgeneration l’afro-americano era condannato al linciaggio, ma la stessa donna caucasica era condannata a una pena detentiva –nella Palestina occupata l’arabo israeliano dopo le angherie subite dovrà scontare tre anni di carcere, mentre la stessa donna ebrea vivrà una sorta di emarginazione e ostracismo dalla Herrenvolk democracy, dinanzi alla quale continuerà ad apparire come una traditrice.