1849 I guerrieri della libertà di Valerio Evangelisti, Mondadori, Milano 2019, voto: 9+; un altro magnifico libro di Valerio Evangelisti, che ci fa rivivere un grande momento rivoluzionario – troppo spesso a torto dimenticato – ovvero la Repubblica romana del 1849. In un’epoca buia di restaurazione liberale come la nostra, è decisamente necessario, per tenere alto l’ottimismo della volontà, fare l’esperienza estetica di un grande movimento rivoluzionario che, per altro, ha interessato la sventurata città di chi scrive, sede del papato. Per altro la Repubblicaromana costituisce il momento più alto e avanzato di quella rivoluzione mancata che fu il Risorgimento. L’unico momento in cui la sinistra del tempo, i democratici mazziniani, riuscirono a coinvolgere nella lotta per l’indipendenza, per la repubblica e per la democrazia le masse popolari, superando per una volta il pregiudizio secondo il quale non bisognava mettere in discussione la proprietà privata per mantenere unito, in senso interclassista, il fronte democratico rivoluzionario. Rinviando la decisiva questione della riforma agraria a dopo la conquista dell’indipendenza, della Repubblica e della democrazia, facendo affidamento sul suffragio universale per poter realizzare questa riforma tanto agognata dalla grande maggioranza delle masse popolari. Questo assurdo rinvio della questione dei rapporti di produzione e di proprietà non poteva che portare al fallimento della rivoluzione, dal momento che i quadri rivoluzionari non ottennero il decisivo appoggio delle masse popolari, composte essenzialmente da lavoratori della terra ignoranti, che si sarebbero mobilitati solo con la parola d’ordine della riforma agraria. A Roma, invece, per la prima e unica volta, ci sarà un’ampia mobilitazione delle masse popolari, di ampi strati dei ceti sociali subalterni che, se estesa a livello nazionale, avrebbe davvero consentito la realizzazione della rivoluzione indipendentista, repubblicana e democratica.
Evangelisti – che realizza un’altra opera esemplare di realismo socialista del XXI secolo – riesce a sintetizzare in modo mirabile due grandi generi letterari come il romanzo epico-storico e la tragedia moderna. Inoltre riesce in modo altrettanto ammirevole a farci godere questa esperienza estetica d’eccezione attraverso personaggi tipici delle masse popolari e i grandi protagonisti rivoluzionari di questo magico momento storico. La scelta di raccontare la storia dal punto di vista di un proletario scarsamente politicizzato consente anche l’indispensabile effetto di straniamento che spinge il lettore non solo a vivere intensamente questi epici momenti storici, ma a rifletterci sopra, al contempo, in modo critico. In tal modo, pur essendo necessariamente partigiano per le forze rivoluzionarie, Evangelisti ci presenta un quadro dialettico non nascondendo, ma facendo emergere tutte le contraddizioni presenti nello stesso campo progressista e rivoluzionario e nei diversi gruppi sociali subalterni, per il livello generalmente poco sviluppato della coscienza di classe.
L’opera, senza mai annoiare, riesce a essere al contempo molto valida dal punto di vista didattico, consentendo una conoscenza davvero approfondita di una pagina essenziale e, a torto, poco conosciuta della nostra storia di rivoluzionari.
La commedia umana, volume II, di Honoré (de) Balzac, a cura di M. Buongiovanni Bertini, Splendori e miserie delle cortigiane, voto 9-; un altro dei capolavori immortali di Balzac, capace di rovesciare tutti i luoghi comuni e i pregiudizi classisti, razziali e maschilisti dell’epoca mostrando come una cortigiana, poverissima, di origine ebrea, abbia una grandezza d’animo superiore a gran parte del grande mondo parigino. Molto significativa anche la scelta di personaggi principali come Julien e Herrera, alias Vautrin, funzionali a rappresentare un esemplare utilizzo dell’effetto di straniamento. Si tratta, in effetti, di due personaggi decisamente negativi, con cui è quasi impossibile identificarsi e che ci permettono di osservare da un punto di vista straniato la grandezza e la miseria non solo delle cortigiane, ma della stessa classe dominante francese dell’epoca. Questi mondi opposti, ma strettamente interrelati, ci sono presentati dal punto di vista di Julien, arrivista provinciale pronto a tutto pur di avere successo nel gran mondo parigino e dal punto di vista di un rappresentante eccezionale del mondo del crimine. In tal modo possiamo comprendere come nella società capitalista il mondo del crimine sia legato non solo, come è naturale, ai bassifondi e agli arrivisti, ma agli stessi esponenti della classe dominante. Questi ultimi apprezzeranno a tal punto le doti criminali di Vautrin da porlo a capo dello stesso apparato repressivo dello Stato, al posto peraltro di un altro criminale, soltanto meno assoluto e spietato.
Spietata è, al solito, anche la critica ai personaggi tipici del blocco sociale allora dominante in Francia, dal rappresentante del grande capitale finanziario, ai vari esponenti dell’aristocrazia, sino ad alcuni dei principali esponenti della classe dirigente. Da questo punto di vista il realismo con cui li mette a nudo Balzac è non solo efficacissimo, ma (a ragione) spietato. Discorso analogo vale per i rappresentanti degli arrampicatori sociali, dei parvenu. Mentre molto più sfaccettata e dialettica è, a ragione, la rappresentazione dei bassifondi, del sottoproletariato di cui si mostrano acutamente splendori e miserie.
I limiti del libro sono quelli di un po’ tutta l’opera di Balzac, ossia una visione troppo patriarcale della donna, destinata in quanto tale a sacrificarsi completamente per l’uomo che ama e la totale assenza di una qualche alternativa, in grado di indicare una prospettiva di superamento, dinanzi a una società sempre più marcia. Non a caso Balzac analizza con eccezionale acume i legami fra il gran mondo, il mondo di mezzo e i bassifondi, ma non prende mai in considerazione l’unica reale alternativa, sociale e politica, ovvero il proletariato moderno.
Il Dottor Stranamore di Stanley Kubrick, Gran Bretagna 1964, voto: 8,5; grande film di denuncia della fobia anticomunista dominante nell’esercito statunitense che ha tenuto, durante la guerra fredda, il mondo con il fiato sospeso dinanzi ai rischi di una guerra atomica che avrebbe messo a repentaglio la stessa sopravvivenza del genere umano. Davvero esemplare come film antimilitarista e come mordente satira delle concezioni codine e irrazionalistiche dominanti nell’esercito statunitense, sino ai più alti vertici. Particolarmente incisiva è la figura del Dottor Stranamore, che denuncia la funzione decisiva che hanno avuto nella guerra fredda e nel rischio di una guerra nucleare i criminali nazisti reclutati dagli Stati Uniti e posti in ruoli di altissima responsabilità. Il personaggio rappresenta inoltre il mito reazionario del completo dominio delle macchine sugli uomini, che dovrebbero sostituire gli stessi politici eletti “democraticamente” scegliendo, sulla base dei principi dell’eugenetica e del darwinismo sociale, la ristretta minoranza che avrebbe la possibilità di sopravvivere in caso di guerra atomica. Purtroppo del tutto ideologica e irrealistica è la rappresentazione dei sovietici, a dimostrazione di come anche gli intellettuali occidentali più critici – rispetto alla fobia anticomunista e ai rischi che essa comportava per la sopravvivenza stessa del genere umano – erano influenzati dall’ideologia dominante, che tendeva a disumanizzare i rappresentanti dell’Unione sovietica e, più in generale, i comunisti.
Promare di Hiroyuki Imaishi, animazione, fantascienza, Giappone 2019, voto: 6-; se dal punto di vista formale il film è quasi intollerabile, essendo una rivisitazione autoriale dei classici cartoni animati dei terribili anni Ottanta, mentre dal punto di vista del contenuto Promare presenta alcune notevoli inattese sorprese. Il melenso contenuto dei cartoni animati di robot è in parte significativamente rovesciato, a partire dalla intollerabile bipartizione manichea tra buoni senza macchia e cattivissimi. Il discorso si complica, diviene maggiormente dialettico, la classe dirigente si scopre essere criminale, come la comunità scientifica posta al suo servizio, per non parlare degli apparati repressivi dello Stato, mentre si rivelano progressisti un gruppo di punk e, soprattutto, il gruppo che l’ideologia dominante bollava come terrorista. Peccato rimanga il superomismo e l’individualismo tipico di questo genere di film di animazione per cui le masse popolari divengono, al massimo, vittime da salvare o spettatori attoniti dinanzi alle gesta dei supereroi di turno.
Il commissario Montalbano, 14x1, Salvo amato, Livia mia, di Alberto Sironi e Luca Zingaretti, serie tv Rai, Italia 2020, voto: 5+; un giallo di scarso spessore, anche se ben realizzato per essere una serie tv italiana. Non ci sono cadute da segnalare, ma nemmeno acuti. La vicenda e il movente dell’assassinio sono piuttosto inverosimili. La cosa più preoccupante è che, in una serie tratta da uno “scrittore di sinistra”, ci sia la sostanziale apologia di un commissario che non si fa scrupoli, pur di risolvere i suoi casi, di porsi al di sopra della legge. Colpisce inoltre che uno scrittore sedicente “comunista” siciliano realizzi così tanti racconti e sceneggiature in cui non ci si occupa minimamente della criminalità organizzata, dello sfondo sociale ed economico dei crimini, della questione meridionale, ma si riduca a narrate piccoli delitti provinciali ignobili, assolutamente non tipici, poco realistici e senza nessun aspetto di denuncia. Anche a questo proposito resta la problematica di considerare comunisti intellettuali vicini al Pci e di confondere la sinistra borghese della classe dominante, con la reale sinistra schierata a difesa degli sfruttati.
La gomera - l'isola dei fischi di Corneliu Porumboiu, Drammatico, Romania, Francia, Germania 2019, voto: 5; thriller ben girato, ma privo di contenuti sostanziali e con troppo concessioni all’ideologia continentale dominante, ossia al post-moderno.
Odio l'estate di Massimo Venier, Italia 2020, voto: 5-; temevamo decisamente peggio. Invece, per essere un prodotto meramente culinario dell’industria culturale italiana non è male. Evita cadute nel volgare, tolta una occasione, non porta acqua al mulino della destra, a tratti diverte e gli attori se la cavano abbastanza bene. Per quanto si cerchi di introdurre un minimo di contenuti sostanziali, il film resta un prodotto essenzialmente d’evasione, piuttosto fastidioso per la solita morale interclassista, propagandata in ogni modo e occasione dall’ideologia dominante.
Il Commissario Montalbano 14x02 La Rete Di Protezione, di Alberto Sironi e Luca Zingaretti, serie tv Rai, Italia 2020, voto: 2; episodio senza capo ne coda, del tutto inverosimile. Resta davvero un mistero il successo e i consensi unanimi nei confronti di questa serie e il fatto che sia considerata un prodotto di qualità.
Ultras di Francesco Lettieri, Italia 2020, voto: 2; uno spaccato meramente naturalistico di settori del sottoproletariato urbano napoletano che rappresentano, nel modo più superficiale e banale, il fenomeno degli ultras. Non poteva mancare l’autocompiacimento nel rimestare nel torbido e il gusto di mettere in luce solo gli aspetti più squallidi e grotteschi dell’esistenza; il film resta del tutto prigioniero della tenebra del quotidiano.
Made in USA - Una fabbrica in Ohio di Steven Bognar e Julia Reichert, Usa 2019, voto: 1+; assurdamente premiato agli oscar come miglior documentario, il film aggiorna la strategia nazista di salvare il capitalismo in crisi, trovando un capro espiatorio straniero, in questo caso la Repubblica Popolare Cinese, che per altro acquista e riapre una delle tante fabbriche chiuse negli Stati Uniti. Il documentario, con la presunta “oggettività”, mostra in modo del tutto soggettivistico e ideologico quanto sia buono il capitalismo americano rispetto a quello cinese. Aspetto interessante è che i cinesi cominciano a investire negli Stati Uniti, segno che il prezzo della loro forza-lavoro è cresciuto e quello degli Stati Uniti è così calato che diviene produttivo per i cinesi investire negli USA. Altro aspetto di rilievo è che il capitalismo funziona ovunque allo stesso modo e che, quindi, anche quello di un paese, che dovrebbe essere in transizione al socialismo, fa di tutto per aumentare il pluslavoro e il plusvalore.