A voce alta la forza della parola di Stéphane de Freitas e Ladj Ly, documentario, Francia 2017, voto: 7; riportato nelle sale in Italia dopo il successo de I miserabili, del coautore Lady Ly, è certamente un buon documentato ben realizzato e che lascia al quanto da riflettere allo spettatore. Innanzitutto sulla differenza fra la tradizione comunista italiana, apparentemente più forte e innovativa di quella francese, e quest’ultima, in realtà in grado di mantenere per maggior tempo la necessaria connessione sentimentale con la propria classe di riferimento. D’altra parte proprio la tradizione comunista italiana con la sconfitta nella guerra fredda – nonostante la già durevole rottura con il blocco sovietico – ha proceduto a una radicale cancellazione del proprio passato, facendogli perdere qualsiasi contatto con il suo ceto sociale di riferimento per divenire il partito dei colti benestanti. In tal modo, la periferia è stata completamente abbandonata al degrado, si è incanaglita ed è divenuta la base di manovra delle attuali tendenze neofasciste. Al contrario, per quanto più fedele alla linea il Pcf non si è suicidato, non ha perso immediatamente e del tutto la sua influenza salutare sul sindacato e sulle periferie. In tal modo queste ultime non sono state abbandonate al degrado, in esse si mantiene viva una significativa volontà di riscatto sociale, anche se spesso non supera le piccole ambizioni individuali o esplode in rivolte luddiste. D’altra parte grazie a questa, fino a poco tempo fa, forte presenza del Partito comunista francese è rimasta anche una discreta attenzione dell’opinione pubblica e dello stesso cinema per le periferie, senza il paternalismo, il gusto per il torbido e l’assoluta mancanza di prospettiva con cui guarda a esse il cinema italiano. Inoltre, cosa del tutto assente in Italia, nel cinema francese si dà grande importanza alla scuola nelle periferie, come strumento di mobilità sociale e di acquisizione di una propria identità e dignità e si punta molto sull’integrazione degli immigrati. I limiti del documentario è che si resta troppo legati a una singola esperienza, per quanto significativa, dei grandi temi sociali che il film riesce comunque a toccare. Inoltre si insiste troppo – in modo sofistico – sull’arte oratoria, sull’importanza della retorica, senza dare alcun rilievo alla questione etica e morale della verità o meno che si esprime con il linguaggio. In tal modo passa, del tutto acriticamente, ad esempio, la demonizzazione del governo siriano laico sotto attacco del terrorismo integralista e oscurantista e dell’imperialismo, nonostante la Francia abbia grandissime colpe sia come paese ex colonizzatore, sia essendo ora come in prima linea nel tentativo di distruggere uno degli ultimi presidi di laicismo nel mondo arabo.
Emma di Autumn de Wilde, commedia, USA 2020, voto: 6,5; commedia sofisticata in costume molto ben confezionata e ben interpretata. Tipica commedia moderna, in cui si ironizza e si fa critica sociale solo sugli arrivisti delle classi sociali non elevate, mentre gli aristocratici vengono trattati con i guanti. Manca inoltre un vero e proprio dramma, qualcosa di veramente sostanziale, al di là delle traversie che affrontano due ricchi cugini di secondo grado nobili prima di sposarsi. Rimane, dunque, la struttura tradizionale sostanzialmente conservatrice della commedia, in cui nonostante una serie di qui pro quo e di traversie di secondaria importanza alla fine tutto si ricompone, anche a livello sociale. Quindi, non si va al di là di un sano e ormai un po’ scontato politically correct.
In viaggio verso un sogno - The peanut butter falcon di Tyler Nilson e Michael Schwartz, Usa 2019, voto 6+; edificante e godibile storia di un giovane ragazzo down deciso ad abbandonare il centro per anziani in cui è stato recluso, dopo l’abbandono dei suoi genitori, nel quale viene spesso definito “ritardato”. Nella sua fuga verso un sogno, ingenuo e infantile, incrocia un altro umiliato e offeso anch’egli in fuga. Fra i due si stabilisce con il tempo un rapporto di reciproco riconoscimento e di amicizia che si cementa quando vengono raggiunti dall’assistente sociale dal volto umano. In tal modo, si ricostruisce quella famiglia che al ragazzo down era sempre mancata. Certo, il tutto è relativamente poco realistico, ma vi è comunque per lo meno lo sforzo di raccontare una storia al di fuori delle ideologie irrazionaliste, che abbia un senso, conosca uno sviluppo e si concluda in senso progressivo con un superamento, per quanto poco verosimile, della situazione di partenza.
Doppio sospetto di Olivier Masset-Depasse, drammatico, Francia e Belgio 2018, voto 5,5; thriller ben costruito e ricco di colpi di scena. Anche se alla fine la ricerca del colpo di scena diviene fine a se stessa e la soluzione appare la più irrazionale, inverosimile, non realistica e del tutto priva di catarsi. Il film resta, perciò, una merce ben confezionata dell’industria culturale europea che mira, in modo esclusivo, all’evasione dello spettatore dai problemi del mondo reale. Si tratta, dunque, di una forma di alienazione che non può che lasciare un senso di insoddisfazione nello spettatore.
Buñuel nel labirinto delle tartarughe di Salvador Simó, animazione, Spagna, Paesi Bassi, Germania 2018, voto: 5,5; film che ricostruisce, in modo sostanzialmente documentaristico – pur essendo un film di animazione – le drammatiche vicissitudini che accompagnano la realizzazione del terzo film di Buñuel, un documentario di taglio antropologico su una delle zone più arretrate e povere d’Europa. Il film è sostanzialmente privo di spirito critico, portando lo spettatore a impersonarsi nella figura piuttosto discutibile del giovane regista anarcoide e avanguardista. Tanto che il docuimentario realizzato non crea problemi al franchismo, che si limita a proiettarlo senza il nome del produttore, un noto esponente anarchico. L’aspetto che più colpisce è il totale distacco fra gli intellettuali d’avanguardia impegnati nelle riprese e le masse popolari, senza nessuna connessione sentimentale, né riconoscimento e, quindi, capacità di immedesimarsi realmente nella misera vita dell’altro.
Lontano, lontano di Gianni Di Gregorio, commedia, Italia 2019, voto: 5; commedia godibile, ma priva di spessore. Il film prende spunto da un problema sostanziale: le pensioni da fame percepite dai lavoratori salariati italiani rispetto al costo della vita, che li spingono a emigrare in paesi dove è più basso il costo della vita. Dinanzi alle difficoltà burocratiche, finanziarie e agli affetti che non si vogliono abbandonare alla fine i tre anziani amici decidono di donare quanto sono stati in grado di raccogliere a un giovane emigrato africano che ha un bisogno maggiormente sostanziale di emigrare in Canada. In tal modo si sminuisce il problema delle pensioni da fame e del costo della vita, lasciando a intendere che i reali bisognosi sono unicamente quelli degli immigrati extracomunitari, che per altro potrebbero farcela grazie alla elemosina che ricevono da tre poveri pensionati autoctoni. Per quanto in un’epoca di razzismo come la nostra mostrare le condizioni di vita più terribili vissute dal proletariato extacomunitario sia in sé giusto, d’altra parte individuare questa inverosimile soluzione alle disumane condizioni di vita dei lavoratori stranieri e alle pensioni da fame dei lavoratori salariati italiani non è certamente una soluzione plausibile, né tanto meno universalizzabile.
L'Uomo Invisibile, di Leigh Whannell, horror, fantascienza, thriller, USA 2020, voto: 5; per quanto ben confezionato e politically correct il film resta una valida rivisitazione di un grande classico del cinema d’evasione, utile per distrarti per un po’ di tempo dai problemi della vita reale e dare la possibilità alla forza lavoro di riprodursi per un nuovo giorno di sfruttamento. In definitiva, merci come queste dimostrano esclusivamente quanto sia sostanzialmente improduttivo e antieconomico il modo di produzione capitalistico, visto che impegna tante risorse, energie e forza lavoro esclusivamente per massimizzare i profitti di una sempre più esigua minoranza e distrarre i subalterni, di modo che non prendano coscienza di classe. Per altro tali merci dell’industria culturale hanno, più o meno, l’effetto di una sostanza stupefacente che costringe il proprio pubblico a farsi consumare, consentendo così al sistema un pieno controllo sul “tempo libero” dei subalterni.
L'hotel degli amori smarriti di Christophe Honoré, commedia, Francia 2019, voto 4-; commediola francese tutta incentrata sull’amore, priva com’è di aspetti sostanziali, finisce ben presto con l’annoiare. Unici aspetti da segnalare sonno la valida interpretazione di Chiara Mastroianni, alcune significative considerazioni sul rischio del deterioramento dei rapporti di coppia, causa l’incuria. Carina è, inoltre, la trovata di far ricomparire gli amori del passato e metterli a confronto con il presente. Infine, lodevole è lo sforzo di rovesciare il consueto rapporto fra uomo e donna, in cui la parte dominante spetterebbe “naturalmente” al primo. Per il resto, alla fine del film rimane quasi esclusivamente allo spettatore il rimpianto per il tempo perso a vederlo.
Buio di Emanuela Rossi, drammatico, Italia 2019, voto 2+; il film vorrebbe essere dedicato alle donne che resistono alla schiavitù domestica imposta dall’uomo, suffragata dalla tradizione religiosa e dal catastrofismo, ma, purtroppo, non va al di là delle buone intenzioni. A dimostrazione, ancora una volta, del fatto che gli intellettuali di “sinistra”, una volta smarrita la bussola del marxismo – ossia dell’unica reale concezione alternativa e autonoma del mondo – finiscono, volenti o nolenti, per riprodurre l’ideologia dominante, ossia (per quanto concerne l’Europa continentale) il postmoderno. Anzi, spesso, tali intellettuali tradizionali fraintendono il loro voler essere radicali, portando tale ideologia alle estreme conseguenze, producendo delle opere assolutamente insostenibili.
The Wandering Earth, di Frant Gwo, fantascienza, Cina, 2019, fruibule su netflix, voto: 2; film insostenibile in quanto completamente deturpato nel montaggio, per tagli sconsiderati non sappiamo se imposti dalla produzione o dalla versione internazionale. Colpisce come anche in Cina non si riesca a immaginare nient’altro che un futuro distopico – quasi si trattasse di un ineluttabile destino – in cui si arriverà, dopo una serie crescente di catastrofi climatiche, alla distruzione dello stesso sistema sociale. Certo, a ragione, si indicano come cause del disastro ambientale il disinteresse di una società interessa esclusivamente al profitto immediato individuale e la mancata cooperazione internazionale, che finisce con il realizzarsi solo quando la situazione appare quasi completamente compromessa. D’altra parte lasciano molto a desiderare, oltre agli effetti speciali, le soluzioni individualistiche individuate, che dimostrano anche in questo caso la subalternità ideologica agli Stati uniti.
Doppia pelle di Quentin Dupieux, commedia. Francia 2019, voto: 0,5; film assolutamente insostenibile, programmaticamente postmoderno nel senso più assurdo e irrazionale del termine. Non si capisce proprio perché si debbano sprecare tante risorse e forza lavoro per produrre delle merci che hanno come esclusivo valore d’uso lo snobismo di intellettuali decadenti che, per tagliare ogni ponte con le masse popolari – che temono e disprezzano – sostengono film del genere, ossia opere che unicamente un ideologo del tutto parassitario e narcisista può far finta di “saper” apprezzare.