Il diritto di opporsi di Destin Daniel Cretton, Usa 2019, voto: 8,5; ottimo film di denuncia sullo spaventoso razzismo che domina, ancora ai giorni nostri, negli Stati Uniti e, in particolare, negli Stati ex schiavisti del sud. Il film è anche un’efficacissima e documentata denuncia – essendo tratto da una storia vera – del classismo razzista del sistema giuridico statunitense, paese che pretende di imporre in tutto il mondo, anche con la violenza, i diritti umani. Come appare evidente nel film, agli organi inquirenti della magistratura e della polizia non interessa nulla ricostruire la verità storica e comminare la giusta pena ai delinquenti, quanto piuttosto nei casi eclatanti, come l’omicidio di una giovanissima caucasica a loro preme, esclusivamente, di sbattere (quanto prima) il mostro in prima pagina. Lo scopo è quello di criminalizzare la povertà e di rassicurare le classi dominanti che le classi “pericolose” sono tenute in uno stato di costante terrore dagli apparati repressivi dello Stato imperialista. Questi ultimi sono pronti a colpire, nel caso in questione, un afroamericano che svolge un lavoro autonomo e ha addirittura una relazione d’amore o sessuale con una caucasica.
Il film è anche meritorio nel mostrare che la questione dirimente non è la discriminazione razziale, ma la discriminazione di classe, visto che anche poveri caucasici subiscono ogni forma di violenza per poter raggiungere l’obiettivo di tranquillizzare i benpensanti con il sistema ben rodato della decimazione delle classi subalterne. Infine, il film non si limita alla pur meritoria denuncia realistica e tipica dell’irrazionalità dell’esistente, ma apre una significativa prospettiva catartica, nella direzione della formazione di intellettuali organici alle classi subalterne, in particolare afroamericane, che possano dare una direzione consapevole alla giusta indignazione e frustrazione dei ceti umiliati e offesi.
Un film da non perdere, naturalmente bistrattato dalla critica, anche di “sinistra”, in quanto troppo in contrasto con il pensiero unico dominante e i tipici prodotti dell’industria culturale. In ultimo, il film ci mostra lo stadio di spaventosa arretratezza del nostro paese, dove sembra impossibile riuscire a ideare, realizzare, produrre e distribuire film così rivoluzionari.
Sorry We Missed You di Ken Loach, Gran Bretagna, Francia, Belgio 2019, voto: 8+; grande film di denuncia sulle condizioni di sfruttamento del proletariato moderno che, purtroppo, tendono a tornare a essere tanto drammatiche da non differire più di tanto da quelle del secondo dopoguerra. Anzi, mentre allora il morale era comunque alle stelle, per la sconfitta – da parte principalmente delle avanguardie dei ceti subalterni – del tentativo del nazismo di rilanciare a livello internazionale, razzismo, schiavismo e colonialismo, oggi sembra che gli oppressi non siano ancora in grado (in particolare nei paesi a capitalismo avanzato) di mettere in campo, quantomeno, una significativa resistenza alla restaurazione post guerra fredda.
Piccole donne di Greta Gerwig Usa 2019, voto 6,5; film appassionante e commovente, che tocca non solo tematiche di rilievo nei rapporti all’interno della sfera etica della famiglia, ma questione sostanziali, dalle guerra di Secessione negli Stati uniti alla condizione di oppressione e schiavitù domestica delle donne. Sostanzialmente giusta la recriminazione del movimento delle donne che, lamentando la scarsa considerazione nei premi cinematografici di film realizzati da donne, ha criticato le giurie che hanno snobbato questo film. Presumibilmente il suo essere snobbato anche dalla critica cinefila “radicale” dipende da una delle sue caratteristiche migliori, ossia il non concedere nulla all’ideologia dominante e, dunque, al postmoderno, al minimal-qualunquismo, al formalismo, al gusto per il grottesco e l’inverosimile. Ciò che invece manca del tutto, colpevolmente, nel film è il conflitto sociale. La realtà che ci viene mostrata è decisamente inverosimile, edulcorata e idealistica, volta a promuovere l’interclassismo e la beneficenza verso i più poveri, sostenendo in modo illusorio e mistificante la possibilità di una proficua collaborazione pacifica fra classi sociali con interessi necessariamente contrapposti.
Richard Jewell di Clint Eastwood, biografico, Usa 2019, voto: 6,+; film indubbiamente ben fatto dal punto di vista formale, ma pessimo, come un po’ tutti gli ultimi film del fascistoide Eastwood, dal punto di vista contenutistico. Il pesante condizionamento dell’ideologia reazionaria del regista emerge chiaramente già dal plot del film, incentrato sul classico statunitense ignorante e di estrema destra, il tipico supporter di Trump. Questo personaggio davvero disgustoso, diviene l’eroe che si batte addirittura contro il sistema statunitense, dagli apparati di sicurezza dello Stato ai suoi apparati ideologici, che critica, naturalmente, da destra. In ciò, dal punto di vista ideologico, il protagonista non è poi così lontano dal reale autore dell’attentato terroristico su cui si incentra questo, per altro certamente appassionante, film. Se a ciò si aggiunge l’esigenza degli apparati repressivi e ideologici dello Stato borghese di avere bisogno subito di un mostro da sbattere in prima pagina, diviene comprensibile, anche se non certo giustificabile, l’inquisizione subita dall’apparentemente principale indiziato che lascia, così, il reale terrorista libero di compiere ben quattro altri attentati. Per altro, il film – naturalmente, considerate le posizioni del regista – occulta completamente la vera natura e ideologia del reale terrorista seriale, appartenente a un gruppo di fondamentalisti cristiani, pronti a combattere anche con la violenza più estrema aborto e omosessualità. Senza contare che il terrorista stesso rivendicherà l’attentato in questione come rivolto a colpire il “socialismo globale”, senza che nemmeno questa reale motivazione sia minimamente ricordata da Eastwood, interessato soltanto a incensare il reazionario protagonista, dal momento che s’identifica del tutto con il suo modo completamente stravolto e ideologico di interpretare il mondo. Naturalmente questi aspetti sono egualmente occultati dalla critica italiana anche sedicente radicale.
1917 di Sam Mendes, Gran Bretagna 2019, voto: 3,5; purtroppo gli unici a fare film storici nei nostri tempi oscuri sono i britannici e questo fa sì che tali prodotti dell’industria culturale abbiano un contenuto revisionista, se non apertamente rovescista. 1917 conferma in pieno la regola, come dimostra, del resto, il fatto di aver mietuto premi a livello internazionale, indizio di un film completamente allineato al pensiero unico dominante, anche nella sinistra dell’imperialismo. Per altro il film è noiosissimo e revisionista anche dal punto di vista stilistico, dal momento che elimina, per puro formalismo, completamente il montaggio.
Il film, per altro, è rovescista già nel titolo, infatti non vi è nemmeno un lontano riferimento ai due eventi decisivi di quest’anno, ovvero le due grandi Rivoluzioni russe, che hanno svolto un ruolo determinante, non solo in quanto hanno portato alla fine della Prima guerra mondiale, sull’intero ventesimo secolo, tanto che il grande storico britannico Eric Hobsbawm ha introdotto il fortunato concetto di “secolo breve”. Questi eventi di enorme portata sono completamente cancellati da una piccola storia assolutamente inverosimile e revisionista, narrata per altro al regista da un parente, ovvero da una fonte del tutto inattendibile. Il film sembra proprio una rivisitazione in chiave revisionista del capolavoro dei film dedicati alla Prima guerra mondiale, ovvero Orizzonti di gloria del grande Stanley Kubrick. Mentre in quel film, in modo del tutto verosimile, erano gli alti comandi, rappresentanti delle classi dominanti, a mandare al macello i soldati, esponenti delle classi subalterne, in 1917 – al contrario – sono gli alti comandi a inviare due soldati in missione per impedire un attacco che sarebbe stato suicida. Al di là della veridicità o meno della versione inverosimile su cui si fonda 1917, è evidente che il grande film contro la guerra (imperialista) di Kubrick denunciava la regola, di quanto avveniva nella guerra mondiale, mentre Mendes al massimo mette in luce una rarissima eccezione, senza naturalmente mostrarla come tale. Ovviamente in 1917 scompare del tutto lo sfondo sociale e politico, ovvero le lotte sociali che danno senso a eventi altrimenti assolutamente assurdi e incomprensibili. Inoltre viene del tutto cancellato, in senso rovescista, il dato storico che i soldati nel 1917 facevano di tutto per non essere uccisi in guerra e spesso, seguendo la parola d’ordine socialista, tendevano ad ammutinarsi o a fraternizzare con il nemico, o a disertare, o a consegnarsi al nemico o ad auto ferirsi per paura di morire in scontri sempre più inutili e sanguinari. In 1917, invece, troviamo soldati pronti a combattere e a uccidere, senza pietà, anche nelle situazioni più inverosimili e disperate. In tal modo, spazzando via ogni possibilità di riconoscersi nell’altro, nel presunto nemico, le truppe degli Imperi centrali sono presentati come incarnazione del male radicale, pronte a pugnalare alle spalle l’altro, anche quando gli umani soldati britannici fanno di tutto per salvargli la vita. In conclusione 1917 è certamente il film più assurdamente sopravvalutato di questi primi mesi del 2020.
Dov'è il mio corpo? di Jérémy Clapin, animazione, Francia 2019, voto: 3+; forse il film di animazione più sopravvalutato dell’anno 2019, candidato persino ai premi oscar, è in realtà un film conformista all’ideologia postmoderna dominante nell’Europa continentale, senza capo né coda, senza arte né parte. Tipico esempio della lotta condotta dall’ideologia dominante contro il realismo e la ragione.
Hammamet di Gianni Amelio, Italia 2020; voto: 3; intollerabile operazione dell’industria culturale italiana per riabilitare persino Bettino Craxi, ovvero quanto di peggio abbia espresso la fase terminale della prima Repubblica. Il film è una vergognosa apologia, del tutto acritica, non a caso opera di un regista socialista proprio ai tempi in cui il Psi era dominato da Craxi. Per altro, anche dal punto di vista storico, il film risulta insostenibile, in quanto non arrivando alla vergognosa apologia diretta del Craxi politico, se ne fa una indiretta parlando degli ultimi anni della sua vita, dopo la fuga in Tunisia per evitare la galera. Quindi ci vengono raccontati nei minimi dettagli, tutti dal punto di vista dell’ex politico e della figlia – votata interamente al suo servizio – proprio gli anni della vita di Craxi che non hanno nessunissimo interesse per il resto del mondo. Tutto ciò al solo scopo rovescista di far passare uno dei peggiori governanti di milioni di italiani, come un uomo anziano e malato, addirittura vittima di una disumana magistratura inquirente. Anche per questo il film, lungo in una maniera sconsiderate, è noiosissimo. Da notare degli attacchi gratuiti e pesantissimi verso l’opposizione comunista e il tentativo, sostanzialmente, di riabilitare persino gli esponenti della più tarda e putrescente Democrazia cristiana. Altrettanto fastidioso, per quanto fra i pochi aspetti realisti, il pesante sessismo del protagonista, anche questo presentato in modo del tutto acritico, visto che tanto Craxi, quanto la figlia sono interpretati senza il minimo effetto di straniamento, per portare in modo subdolo il pubblico a riconoscersi in loro e a prendere le loro parti, sfruttando la naturale tendenza umana alla compassione.