Si tratta di un’annata veramente buia per il cinema italiano, nella quale ci hanno a tal punto deluso i film incensati dalla critica che abbiamo deciso, in modo volutamente provocatorio, di mettere ai primi posti due oneste commediole senza pretese, in grado di divertire lasciando anche qualcosa di progressista su cui riflettere allo spettatore. Mentre abbiamo deciso di punire con valutazioni decisamente basse proprio i film più pretenziosi, incensati dalla (a)-critica e particolarmente deludenti. A ulteriore dimostrazione che nella valutazione finiscono necessariamente per incidere le aspettative e il punto di partenza. Nel senso che da un regista che si considera ed è universalmente considerato un grande artista non ci si può che aspettare decisamente di più che da un onesto artigiano o da un esordiente che si presenta ed è presentato decisamente al di sotto del suo reale e non disprezzabile valore.
10 giorni senza mamma di Alessandro Genovesi, Italia 2019, voto: 6,5, una buona commedia che diverte lasciando anche qualcosa di sostanziale su cui riflettere allo spettatore. Nonostante sia una commedia, ha contenuti progressisti sia per ciò che concerne la significativa denuncia della schiavitù domestica della donna che per quanto riguarda il dispotismo che impera nei luoghi di lavoro capitalistici, in modo particolare ai nostri giorni. Peraltro riesce a comunicare in forma piuttosto intelligente contenuti progressisti a un grande pubblico, tanto da giungere al terzo posto per incassi fra i film italiani.
Il campione di Leonardo D'Agostini, Italia 2019, voto: 6,5, meritatamente premiato ai Nastri d’argento come miglior regista esordiente, D’Agostini realizza una commedia divertente che lascia qualcosa di non accidentale su cui riflettere al pubblico, senza cadute nel grottesco, nel postmoderno o nei luoghi comuni anti intellettuali della imperante ideologia di destra.
Euforia di Valeria Golino, Italia 2018, voto: 6,5; non male per essere un film italiano di quest’anno particolarmente oscuro. Evita sia il grottesco che il postmoderno e ha significativi spunti realisti, anche se in un impianto generalmente naturalistico. Fra i candidati ai David avrebbe meritato il premio per la miglior regia, mentre fra i candidati a miglior film lo collocheremo secondo, dopo l’inarrivabile Sulla mia pelle.
Martin Eden, di Pietro Marcello, Italia 2019, voto: 6,5; notevole film dal punto di vista formale – presumibilmente il migliore fra i film italiani di quest’anno – alquanto discutibile dal punto di vista del contenuto. Contraddizione tipica delle giovani generazioni di cineasti italiani cinefili, ultra specializzati nel proprio campo, ma non adeguatamente formati in quasi tutto il resto. Così finiscono per ripetere, in modo sostanzialmente pedissequo, l’ideologia dominante, senza nemmeno esserne pienamente consapevoli. Così il senso che lo scrittore, sotto certi aspetti rivoluzionario, J. London aveva voluto dare al suo romanzo – senza riuscirvi in pieno per la verità – non è certamente trasmesso dal film. Così il personaggio principale, che per London e anche per il regista sarebbe dovuto essere un prodotto esemplare dell’individualismo reazionario nietzschiano, da conoscere per poterlo criticare, finisce per apparire, sotto certi aspetti allo spettatore, quasi come un eroe con cui impersonarsi e da emulare. Ora, se è vero che tali ambiguità erano presenti già nel libro e dipendevano dalla stessa contraddittorietà dello scrittore legato sentimentalmente ai subalterni, ma pesantemente condizionato dall’ideologia dominante, si riproducono tali e quali nel film. A tale scopo sarebbe stato assolutamente necessario utilizzare il brechtiano effetto di straniamento da parte del protagonista, interpretato da Luca Marinelli, il quale contribuisce a rendere ambiguo il film e quasi incomprensibile la tragedia finale proprio perché mira, a torto, a immedesimarsi con il personaggio e a farci immedesimare lo spettatore. In tal modo, la maggioranza degli spettatori privi di coscienza di classe finiscono per fare propria la grande confusione mentale del protagonista. In tal modo un’opera che avrebbe dovuto essere tanto per l’autore che per il regista funzionale alla critica dell’ideologia reazionaria dominante, finisce per contribuire involontariamente alla sua parziale diffusione nella maggior parte dell’odierno pubblico, anche perché la stragrande maggioranza dei critici, essendo anche loro ciecamente cinefili, non gli sono di nessun aiuto.
Bangla di Phaim Bhuiyan, Italia 2018, voto: 6, piacevole film sul quartiere più multietnico di Roma e su una storia d’amore che significa anche superare le barriere nazionali, etniche, religiose e dell’ideologia dominante. Il film ha il difetto di essere avanzato dal punto di vista della sfera dell’eticità immediata della famiglia, ma di essere qualunquista per quanto concerne le superiori sfere etiche dei rapporti sociali e politici. Si finisce così per far propria la visione dominante, per cui i giovani lavoratori farebbero sostanzialmente bene a disinteressarsi di questioni sociali e politiche. Non affrontando sul serio le gravi contraddizioni dell’ambiente socio-economico in cui si svolge la storia, il film finisce per offrirci una mera istantanea naturalistica di una realtà sotto diversi aspetti tragica, che andrebbe affrontata con strumenti maggiormente adeguati. Al contrario, volendo far apparire la storia come veristicamente narrata da un protagonista privo di qualsiasi coscienza storica e sociale, si finisce per esaltare la visione della realtà dal punto di vista maggiormente inadeguato a una sua corretta valutazione, ovvero il punto di vista del cameriere.
Saremo giovani e bellissimi di Letizia Lamartire, Italia 2018, voto: 6; al suo esordio la regista evita i principali limiti del cinema italiano, ossia il postmodernismo e il gusto di rimestare nel torbido – scadendo così nel grottesco – e realizza un film sufficientemente interessante e avvincente sul complesso passaggio dalla sfera etica della famiglia a quello della società civile. Peccato che manchi qualsiasi riferimento al mondo storico e politico.
Il testimone invisibile di Stefano Mordini, Italia 2018, voto: 6, interessante thriller con qualche risvolto significativo, peccato si tratti di un remake del noir spagnolo Contratiempo uscito appena due anni prima, al quale non aggiunge nulla di sostanziale.
Storia di Nilde, di Emanuele Imbucci, docu-fiction biografico per la tv, Italia 2019, voto: 6, certamente il film è molto discutibile dal punto di vista tanto del contenuto, quanto della forma, ma visti gli attuali rapporti di forza e il penoso servizio pubblico televisivo nazionale non è da sottovalutare l’importanza della diffusione di questo film su una dirigente di rilievo del partito comunista italiano – anche se finita su posizioni revisioniste – in prima serata tv su Rai 1. Non a caso ha suscitato delle scomposte e controproducenti reazioni della destra, che hanno rafforzato il necessario rilievo di una donna che oltre a essere parte attiva nella resistenza, si è coraggiosamente battuta per l’emancipazione delle donne ed è stata la prima presidente della camera di sesso femminile, senza per questo dover assumere i peggiori attributi dei suoi predecessori di sesso maschili.
Tutte le mie notti di Manfredi Lucibello, Italia 2018, voto: 6-; pur con poche risorse, il regista realizza un film a tratti abbastanza avvincente e intrigante che tocca anche un tema sostanziale, ovvero lo sfruttamento sino alla morte della prostituzione minorile da parte di alti esponenti del mondo imprenditoriale. L’incapacità di sviluppare adeguatamente il contenuto potenzialmente sostanziale, rendendo tipico il caso rappresentato, e la povertà dei mezzi a disposizione – dal momento che Lucibello non riesce a fare coma Bangla di necessità virtù – finisce alla fine per appesantire il film e renderlo noioso.
Fiore gemello di Laura Luchetti, Italia 2018, voto: 6-; film programmaticamente cosmopolita, pensato per aver successo nei festival internazionali, tanto da essere fra i film italiani selezionati a concorrere quale miglior film europeo. Il film è intellettualistico, elitario, evidenziando la completa incapacità dell’intellettuale, secondo una cattiva tradizione già giustamente stigmatizzata da Gramsci, di stabilite la benché minima connessione sentimentale con il proprio pubblico, come dovrebbe al contrario fare una genuina opera d’arte popolare-nazionale.
Una storia senza nome di Roberto Andò, Italia, Francia 2018, voto: 5,5; film italiano piuttosto originale, a tratti intrigante anche se non risolto nel finale e deturpato dall’attrice protagonista, assurdamente candidata ai David di Donatello.
La profezia dell'armadillo di Emanuele Scaringi, Italia 2018, voto 5,5; il film riproduce fedelmente l’ideologia dei centri sociali nei suoi aspetti progressivi e nei suoi limiti, dovuti alla mancanza di una visione autonoma del mondo, che li porta – non di rado – a essere egemonizzati dall’ideologia dominante, postmoderna.
Hotel Gagarin di Simone Spada, Italia 2018, voto 5,5; commediola all’italiana a tratti divertente, con qualche spunto appena sufficiente per un dignitoso medio metraggio, ma del tutto insufficiente nella sua forma di lungometraggio.
A casa tutti bene di Gabriele Muccino, Italia 2018, voto 5,5; tipico prodotto dell’industria culturale cinematografia italiana, commediola ben confezionata e capace di rivolgersi a un grande pubblico, rimanendo sostanzialmente e colpevolmente indifferente rispetto ai grandi temi sostanziali della nostra epoca e del nostro paese.
La befana vien di notte di Michele Soavi, Italia 2018, voto 5,5; ben confezionato e autoironico prodotto dell’industria culturale italiana, campione di incassi in Italia (dopo il film di C. De Sica) senza mai scadere nel volgare e nel trash, non poco di questi tempi.
Capri-Revolution di Mario Martone, Italia, Francia 2018, voto: 5+; film utile a comprendere quanto gli intellettuali italiani di sinistra, privi di un’autonoma visione del mondo, siano egemonizzati dall’ideologia dominante postmoderna, al punto da credersi tanto più radicali quanto più appaiono postmoderni.
Lo Spietato di Renato De Maria, Italia 2019, voto: 5; prodotto culinario dell’industria culturale che denuncia la penetrazione della criminalità organizzata nel nord Italia dal punto di vista, privo di straniamento, del killer protagonista.
Il sindaco del rione sanità di Mario Martone, Italia 2019, voto: 5; la meritoria ripresa di una grande opera teatrale di Eduardo De Filippo è completamente vanificato dalle pessime modifiche imposte dal regista al testo originale per renderlo più attuale e meno ambiguo. In realtà, come avviene purtroppo sempre più spesso, invece di comprendere la profonda e realistica contraddittorietà del classico da mettere in scena, si cerca stolidamente di scioglierne la contraddittorietà, rendendo l’opera irrealistica, inverosimile e decisamente ambigua, visti gli attuali sviluppi della mafia. Anzi, dopo la trattativa Stato-mafia, un film del genere rischia di scadere, magari inconsapevolmente, nel rovescismo storico, proprio per lo sciagurato vizio di attualizzare in modo del tutto irriflessivo la ben più grande opera di Eduardo.
Selfie di Agostino Ferrente, Francia Italia documentario 2019, voto: 4,5; filmetto insensatamente sopravvalutato in particolare dalla (a)-critica cinefila e postmoderna. Si tratta, in effetti, di una piuttosto scontata apologia del punto di vista del cameriere, su questioni sostanziali come lo stato d’abbandono dei quartieri periferici in particolare meridionali, dove lo Stato si manifesta quasi esclusivamente attraverso i suoi apparati repressivi, volti essenzialmente a reprimere il disagio sociale. L’assurda pretesa che tali questioni sostanziali possano essere congruamente intese e interpretate da due sedicenni sostanzialmente privi di cultura, anche dal punto di vista cinematografico, non poteva che portare la montagna a partorire un topolino. In altri termini delle tragiche vicende che sono stati costretti a vivere, anche per la mancata scolarizzazione, non possono che restituire un vissuto privo, necessariamente, di elementi sostanziali. L’intento del film vorrebbe essere la dimostrazione che un altro mondo è possibile, ovvero che anche in una situazione del genere è possibile rinunciare alla scorciatoia di una vita violenta al servizio della criminalità organizzata. Il dramma è che senza il barlume di una autonoma visione del mondo, di una comprensione critica della realtà, di un minimo di coscienza di classe l’altro mondo possibile non può che concretizzarsi, in quel contesto, in una condizione di ultra-sfruttamento senza effettiva possibilità di riscatto. In tal modo i due protagonisti, che dovrebbero almeno in teoria costituire una denuncia vivente dell’operato e dell’assenza dello Stato, finiscono con il rappresentare il modello di chi ne subisce in modo del tutto acritico e inconsapevole la forma di dominio sociale, senza essere nemmeno in grado di aprire un varco nella tenebra del quotidiano, mediante un barlume di spirito di utopia.
5 è il numero perfettodi Igor Tuveri, Italia 2019, voto: 5-; ennesimo film essenzialmente gastronomico tratto da un fumetto, condito con la ormai consueta autoironia. Spiccano Toni Servillo nel ruolo del personaggio principale e l’ambientazione napoletana.
Troppa grazia di Gianni Zanasi, Italia, Spagna, Grecia 2018, voto: 5-; il film parte con degli spunti interessanti, è ben interpretato e a tratti dotato di una pungente ironia, ma non avendo nulla di sostanziale da comunicare, si perde completamente nel finale.
Il commissario Montalbano, L'altro capo del filo, voto 4,5; episodio sostanzialmente inutile imperniato su una vicenda al quanto inverosimile e priva di qualsiasi interesse. L’unico aspetto sostanziale resta il rinvio alla scottante questione degli immigrati, sulla quale si evita di prendere una posizione chiara e decisa.
Ride di Valerio Mastandrea, Italia 2018, voto: 4,5: deludente esordio alla regia da parte di un bravo attore che dimostra di non avere nulla di sostanziale da comunicare e di subire passivamente l’influenza della cultura dominante postmoderna.
Domani è un altro giorno di Simone Spada, Italia 2019, voto: 4,5; stanco e mediocre remake di un bel film spagnolo di un paio di anni fa. Non può che colpire negativamente che un regista “emergente”, alla sua seconda opera, non abbia veramente nulla di significativo o di nuovo da esprimere.
Ti presento Sofia di Guido Chiesa, Italia 2018, voto: 4,5; remake di una recente commedia argentina, che consente al film di evitare i vizi peggiori del cinema italiano, ovvero il rimestare nel torbido e il postmodernismo, ma non il minimal-qualunquismo.
La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, Italia, Francia 2019, voto: 4; banale e pericoloso film – basato sulla pessima sceneggiatura dell’eroe di carta nazionale – completamente schiacciato sulla rappresentazione più naturalistica della cronaca nera più scandalistica, finisce in modo più o meno consapevole con il naturalizzare le tragiche vicende del sottoproletariato napoletano. Si tratta, a conti fatti, della narrazione maggiormente funzionale a non far emergere la cattiva coscienza dei benpensanti, che possono persino godersi lo spettacolo di un mondo così naif e in nessun modo comunicante con il loro.
Il signor diavolo di Pupi Avati, Italia 2019, voto: 4; come la quasi totalità dei film horror tende a dar credito alle arcaiche superstizioni, improntate a una visione mitologico-religiosa del mondo e tende a discreditare la ragione e con essa la scienza, il materialismo storico, la democrazia e la stessa civiltà. Il film ha in partenza qualche spunto significativo, nel quadro piuttosto realistico che presenta del potere oscurantista della Democrazia cristiana, che deve il suo dominio all’ignoranza in cui mantiene le masse contadine, nel caso specifico del Veneto. Poi il genere, con i suoi aspetti irrazionalistici, tende a prendere il sopravvento e finisce con l’emergere lo spietato sguardo cinico del regista, incapace di instaurare una qualsiasi forma di connessione sentimentale con il proprio popolo.
Pinocchio di Matteo Garrone, Italia, Gran Bretagna, Francia 2019, voto: 4; il solito e ormai scontato film completamente gratuito di Garrone, funzionale soltanto a dimostrare il suo ossequio, dal punto di vista del contenuto e della forma, all’ideologia attualmente dominante della quale, non a caso, è considerato il miglior interprete italiano. Secondo uno schema ormai pienamente consolidato il contenuto è puramente un pretesto, del tutto esteriore con il quale il regista non ha nessuna connessione sentimentale – né appare interessato a darne una interpretazione personale e innovativa – per mettere in evidenza le proprie autocompiaciute “doti” stilistiche, al solito prodotto del connubio fra naturalismo e gusto per il grottesco, una nuova forma di secentismo programmatico. Se ne sconsiglia la visione, in particolare ai bambini. Resta l’arcano di come un regista tanto ignavo quanto conformista possa essere considerato il beniamino italiano della (a)-critica.
Il vizio della speranza di Edoardo De Angelis, Italia 2018, voto: 4; il regista è ormai divenuto il più grande esponente di questo genere che sta divenendo dominante nel cinema (pseudo) d’autore italiano, incentrato sul rimestare nel torbido, contemplando gli aspetti più appariscenti dello stato putrescente del capitalismo italiano.
Il traditoredi Marco Bellocchio, Italia 2019, voto: 2,5; mediocre film sostanzialmente omertoso e incapace di una reale denuncia su una questione essenziale e, purtroppo, attualissima come la malavita organizzata, di cui si sottacciono le decisive connessioni con il mondo politico e socio-economico.
A mano disarmata di Claudio Bonivento, Italia 2019, voto: 4-; film che più che denunciare la mafia e le sue indispensabili collusioni con la classe dominante e dirigente sembra denunciare i rischi gravissimi per chi, svolgendo il suo lavoro di reporter, prova a denunciare le pesanti minacce che riceve da parte della manovalanza della mafia. Inoltre presenta come un modello addirittura rivoluzionario una giornalista di “La repubblica” che, quanto meno da quanto appare nel film tratto da un suo libro, sembra aver scoperto ben poco sui legami della mafia con il mondo politico ed economico. Addirittura quando seguendo, contro voglia, l’indagine su Mafia capitale viene a sapere che il presidente del municipio della sua città è coinvolto, lo incontra mettendolo a conoscenza del fatto che è indagato ed esternando il suo disappunto in quanto si era spesa pubblicamente per lui.
Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani, Italia 2018, voto: 4-; mera merce culinaria dell’industria culturale – abbastanza ben confezionata, specie nel montaggio, tanto da essere campione degli incassi fra i film italiani del 2018 – con alcuni luoghi comuni che sembrano incoraggiare la xenofobia.
Il primo re di Matteo Rovere, Italia, Belgio 2019, voto: 4-; mediocre film sullo scontro fra la mera volontà di potenza nietzschiana e l’attitudine al fondamentalismo religioso. Film assurdamente pompato dalla sedicente critica cinefila.
Il nome della rosa, miniserie televisiva italo-tedesca del 2019, creata e diretta da G. Battiato per la Rai, voto: 4-; tutti gli aspetti più significativi e rivoluzionari del romanzo omonimo, da cui è tratta la serie, sono sacrificati sull’altare dell’industria culturale, mirando a fare dell’opera un prodotto meramente culinario di livello, per altro, al quanto modesto.
Non ci resta che il crimine di Massimiliano Bruno, Italia 2019, voto 3,5; sgangherata commedia all’italiana senza arte né parte, brutta copia di Non ci resta che piangere.
Il Commissario Montalbano, Un Diario Del 43, voto: 3,5; episodio particolarmente piatto e mediocre, dal contenuto ambiguamente revisionista.
Ricordi? di Valerio Mieli, Italia, Francia 2018: voto 3+; noioso e ripetitivo film postmoderno, tipicamente italiano, tutto incentrato sull’intersecarsi in una sorta di continuo flusso di coscienza di presente e passato. Come è tipico nei prodotti dell’industria culturale italiana, davvero penosa, manca qualsiasi apertura al futuro, al principio speranza e allo spirito d’utopia.
Pagine nascoste di Sabrina Varani, documentario, Italia 2018, voto: 3+; prodotto nei fatti reazionario, imbevuto della peggiore ideologia post-moderna e neo-romantica – per cui scompare la cosa stessa e si rappresenta la prospettiva ultra-soggettivistica di una scrittrice che affronta il tema in una prospettiva edipica – nonostante si affronti una problematica estremamente significativa e considerata tabu dall’ideologia dominante come il colonialismo italiano.
Ma cosa ci dice il cervello di Riccardo Milani, Italia 2019, voto: 3+; merce puramente culinaria dell’industria culturale alquanto sciatta, al di là del montaggio, e piuttosto influenzata dall’ideologia di destra dominante, per cui la salvezza per i cittadini qualunquisti oppressi verrebbe da agenti dei servizi segreti che operano ponendosi al di sopra di qualunque legge e regola d’ingaggio.
Il Primo Natale di Salvatore Ficarra e Valentino Picone, Italia 2019, voto: 3; classico film di Natale prodotto come merce puramente gastronomica dall’industria culturale, per consentire agli oppressi di evadere momentaneamente dalla propria tragica condizione di subalternità, senza assumere la benché minima consapevolezza di classe, storica e politica.
Suspiria di Luca Guadagnino, Usa, Italia 2018, voto: 3: remake senza capo né coda di uno dei peggiori e più assurdamente sopravvalutati film della storia del cinema, ovvero Suspiria di Dario Argento. Tanto quest’ultimo, quanto l’autore del remake sono fra i registi più stolidamente sopravvalutati anche da (a)critici di giornali sedicenti comunisti.
Momenti di trascurabile felicità di Daniele Luchetti, Italia 2019, voto: 3-; commediola all’italiana senza arte né parte: del tutto trascurabile.
Leonardo cinquecento di Francesco Invernizzi, Italia 2018, voto: 2,5; pessimo documentario che riesce a rendere noiosa e superflua la storia, di per sé estremamente interessante, di Leonardo da Vinci e delle sue opere.
Michelangelo Infinito di Emanuele Imbucci, Docu-fiction, Italia 2018, voto: 2,5; come fare di un grande artista rivoluzionario un mero portavoce della reazionaria ideologia oggi dominante, senza nemmeno rendersene conto, nel senso che sì è talmente privi di spirito critico che non si è neanche sostenitori consapevoli del pensiero unico.
Dolceroma di Fabio Resinaro, Italia 2019, voto: 2+; epigono degli epigoni del grande Altman di I protagonisti, il film non va al di là di una riproduzione in chiave grottesca di alcuni aspetti di Boris e del film Hotel Gagarin, con battutacce razziste tipiche dell’era Salvini.
Il Grande Spirito di Sergio Rubini, Italia 2019, voto: 2; classico prodotto dozzinale del cinema italiano, che ama rimestare nel torbido e riduce la complessità del reale ai soli aspetti grotteschi.
L'uomo che comprò la luna di Paolo Zucca, Italia 2018, voto: 2-; ennesimo insostenibile film ultra-grottesco italiano.
Go Home A casa loro di Luna Gualano, Italia 2018, voto: 1,5; film che esprime, nel modo più evidente, la completa assenza di una visione del mondo alternativa al pensiero unico dominante da parte della sinistra radical italiana.
Moschettieri del re la penultima missione di Giovanni Veronesi, Italia 2018, voto: 1+; tardo e fiacco epigono di Monticelli, il regista realizza uno squallido e gretto film alla maniera del maestro della commedia all’italiana.
Rapiscimidi Giovanni Luca Gargano Italia, Portogallo 2019, voto: 1; prototipo dei peggiori film italiani contemporanei, che riproduce la solita grottesca e insostenibile visione del mondo.
Favola di Sebastiano Mauri, Italia 2017, voto: 1-; mediocrissima riproduzione cinematografica del peggiore teatro dell’assurdo; assolutamente intollerabile.