Nella strategia liberista di attacco ai servizi pubblici ed alla pubblica amministrazione portata avanti con l’obiettivo di favorire le privatizzazioni, la demonizzazione mediatica dei lavoratori pubblici gioca un ruolo centrale per assicurarsi un adeguato consenso popolare. La realtà invece è: un contratto fermo da oltre 6 anni con perdita media di salario reale pari a 6.500 euro pro-capite e la stragrande maggioranza che percepisce un trattamento inferiore alla media europea.
di Federico Giusti
La campagna contro i lavoratori pubblici continua dalle pagine di alcuni giornali ed è di sicuro effetto per alimentare la disinformazione e i luoghi comuni. Come avvenuto anni fa con Brunetta, la campagna mediatica è finalizzata a costruire una opinione pubblica già schierata a sostegno del Governo. Ancora una volta l'agnello sacrificale è il pubblico impiego perchè proprio da questo settore dovranno pervenire soldi attraverso tagli ai servizi sanitari e la spending review.
In un triennio infatti i tagli alla sanità saranno di circa 9 milioni di euro, che si tradurranno nella chiusura di reparti ospedalieri e servizi socio-sanitari, nell'accorpamento di enti locali all'insegna del risparmio, con perdita di posti di lavoro e riduzione dei servizi erogati alla cittadinanza.
E' solo questione di tempo, poche settimane, e capiremo dalla prossima spending review le scelte del Governo, già oggi sappiamo che la prossima legge di stabilità potrebbe prevedere alcune misure lacrime e sangue, proseguendo al contempo nella riduzione del costo del lavoro con politiche liberiste e di mini jobs.
Nel frattempo va avanti una misteriosa trattativa nel pubblico impiego con Cgil, Cisl e Uil, misteriosa perchè nessun lavoratore, neanche i loro iscritti, sa di cosa discutano. La sentenza della Consulta sul blocco dei salari è stato un capolavoro della legislazione asservita al pareggio di bilancio: da una parte giudica illegittimo il blocco dei salari ma, allo stesso tempo, l’illegittimità non è retroattiva, serve solo da monito per una riapertura delle trattative che, nel migliore dei casi, porterà a nuovi contratti nel 2016 con perdita di tanti diritti collettivi e soprattutto con aumenti irrisori calcolati senza alcun recupero del potere di acquisto. Insomma, se il blocco è stato illegittimo era comunque giustificato, secondo la Corte Costituzionale, dal pareggio di bilancio con buona pace per tutti i lavoratori pubblici che, in nome del buon andamento dello Stato, pardon della finanza, dovranno fare buon viso a cattivo gioco.
Il dato incontrovertibile è solo uno: in sei anni ogni dipendente pubblico ha perso in media 6500 euro, se pensiamo non solo al blocco dei contratti nazionali ma anche al blocco della contrattazione decentrata che tanto spazio ha nella Pa, e se calcoliamo gli effetti negativi del blocco salariale sulle future pensioni.
Ma allo stesso tempo è avvenuta una rapida involuzione della stessa contrattazione decentrata: in dieci anni i fondi destinati a pochi (siano titolari di posizioni organizzative o beneficiari di responsabilità) sono cresciuti notevolmente, insomma i soldi che prima erano di tutti oggi sono assegnati in buona parte ad una ristretta elite meritocratica.
Il salario accessorio era tale per la volontà dei sindacati confederali di assegnarne la erogazione alla contrattazione di ente e in questo modo mantenevano in piedi un vasto giro di clientele; con il tempo, con l'arrivo della cosiddetta performance, una parte dei soldi dati a tutti\e a pioggia sono stati erogati solo a pochi creando divisioni tra lavoratori e soprattutto indebolendo lo stesso potere di contrattazione. Del resto, la composizione dei fondi della produttività è una prerogativa aziendale.
Ma per quale ragione il Governo Renzi, o comunque settori ad esso vicini, siano essi di Confindustria o dell'Anci, dovrebbero essere interessati ad una campagna contro il pubblico o meglio ad una ristrutturazione dello stesso in termini aziendalisti?
Innanzitutto per fare cassa, avere sondaggi e opinione pubblica favorevoli quando il Governo Renzi andrà a tagliare servizi e salari, la riduzione della spesa pubblica per lavoratori e servizi è funzionale a liberare risorse per altri scopi elettorali, per esempio una qualche erogazione di salario minimo. Stesso ragionamento vale nel caso in cui dovesse passare una piccola revisione della Riforma Fornero, con forte contrazione delle pensioni e con penalizzazioni per chi volesse abbandonare anticipatamente il lavoro.
Ma torniamo a discutere dei salari pubblici. Secondo quanto riportato dal quotidiano Il Tempo del 31 agosto 2015 i salari del pubblico impiego sarebbero assai superiori a quelli del privato. Il messaggio è molto chiaro: “abbiamo bloccato da sei anni gli stipendi pubblici ma questi continuano ad essere piu' alti degli altri lavoratori, lavorano meno e guadagnano troppo, ben il 23,4% in piu'”.
Di conseguenza la nostra richiesta di rinnovare i contratti e di calcolare gli aumenti in base al reale costo della vita verrebbe a cadere, giustificata non solo dal pareggio di bilancio in Costituzione e dal fiscal compact, ma da ragioni pratiche e di opportunità, della serie: "invece di pagare i fannulloni aumentate le pensioni sociali”.
I dati del Tempo sono attinti dall'Aran [1]che parla di una media della retribuzione pubblica pari a 34.286 euro, quando nel privato la media è di 27.772 euro. I dati non sono taroccati ma non tengono comunque conto dello stipendio dei dirigenti che si portano a casa stipendi superiori di 10\15 volte a quelli di un livello medio, per non parlare poi dei bassi livelli degli enti locali che in un anno hanno un Cud di poco superiore a 23 mila euro, con qualche straordinario compreso, una cifra assai piu' bassa della media delle retribuzioni nel privato.
Dati alla mano [2] si scopre l'inganno, ossia che nel conteggio sono inclusi i quasi 7000 tra dirigenti e segretari comunali per non menzionare poi i titolari delle posizioni organizzative. La sperequazione salariale negli enti locali regna sovrana e viene alimentata da meccanismi contrattuali che hanno relegato la contrattazione stessa a materie insignificanti. Ci sono poi stipendi come quelli dei magistrati o dei diplomatici che superano anche 100 mila euro annui e riguardano migliaia di persone stravolgendo al rialzo le statistiche.
L'inganno è dunque servito mettendo in un unico calderone boiardi di stato, dirigenti, magistrati e docenti universitari insieme agli infermieri e agli impiegati, insomma regna una confusione pazzesca ma utile a confezionare l'operazione politica del Governo Renzi.
Sorvoliamo poi sulle domande che riguardano i cittadini come i tempi di attesa per alcuni servizi: file lunghe agli sportelli, burocrazia derivante dai mancati investimenti per digitalizzare pratiche e ricerche, costringendoci a passare da un ufficio all'altro. Anche questo provoca disaffezione verso i servizi pubblici ed induce a ritenerli inadeguati e certe volte inutili, come dimostrato dalle lunghe file di attesa per prestazioni sanitarie che ci costringono a ricorrere ai privati.
Ma i lavoratori e le lavoratrici pubblici non sono identificabili con dirigenti, diplomatici, magistrati o rettori universitari, basterebbe riportarlo per ripristinare qualche piccola verità, non sono loro i responsabili dei disservizi che pagano da anni con il blocco dei salari e delle assunzioni.
La stragrande maggioranza dei dipendenti enti locali ha uno stipendio che si aggira attorno a 25 mila euro, meno della media del privato, un insegnante in Italia è tra i meno pagati d'Europa, stesso discorso vale per un infermiere; queste sono le cifre che non possono essere smentite ma basta occultarle bene alimentando i luoghi comuni di una stampa asservita al potere politico dominante delle privatizzazioni.
Foto
"Anker Der Gemeindeschreiber" (il segretario comunale) di Albert Anker - "Von Anker bis Zünd, Die Kunst im jungen Bundesstaat 1848 - 1900", Kunsthaus Zürich.Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Anker_Der_Gemeindeschreiber.jpg#/media/File:Anker_Der_Gemeindeschreiber.jpg
Note
[1] http://www.aranagenzia.it/index.php/statistiche-e-pubblicazioni/dati-statistici