In morte del ‘68

Nonostante le drammatiche condizioni delle scuole e delle università, la gran parte delle studentesse e degli studenti stenta a mobilitarsi.


In morte del ‘68 Credits: https://publicdomainvectors.org/it/vettoriali-gratuiti/ClipArt-vettoriali-di-piccola-manifestazione-di-protesta/32993.html

Oggigiorno, tanti sono i movimenti o i gruppi che puntano ai giovani come target di riferimento, spingendoli periodicamente a fare alzare i pesanti sederi dai banchi scolastici per farli scendere in piazza contro il sistema scolastico che da anni li opprime; ma i numeri parlano chiaro: il seguito è poco e sempre meno. Le cifre non superano mai le poche centinaia per i cortei e per le conferenze l’interesse scema ulteriormente, e con la pandemia sicuramente le cifre sono precipitate. Com’è possibile tutto questo? Siamo stati e siamo tuttora tanto bravi a lamentarci della precarietà della nostra situazione ma non abbiamo intenzione di muovere un dito per cambiarla? È possibile che tanta rabbia e frustrazione siano sparite con il ritorno in presenza degli studenti? Io penso proprio di no.

I problemi della scuola e del suo sistema sono ancora presenti e il ritorno completo in presenza ce li ha resi ancora più palesi: la cosa è evidente parlando solo della precarietà delle strutture che giornalmente ci ospitano, della disorganizzazione dei mezzi e delle strutture stesse, della mancanza di professori e di dibattito tra gli studenti, considerati come macchine in grado solo di immagazzinare dati e date senza sviluppare né un pensiero né tanto meno uno spirito critico. Tutte cose che assistendo a poche ore di lezione sono assolutamente evidenti ma che in qualche modo vengono ignorate, tranne dai pochi tacciati di essere sovversivi e scansafatiche.

Ormai non colleghiamo più lo scontento a una soluzione, ma anzi tendiamo a ampliare in maniera vittimista la lamentela, chiudendoci in un nichilismo passivo controproducente al cambiamento. Viviamo la società come distaccata dalla nostra persona, come un mondo parallelo che non ci riguarda ma a cui indirizziamo la nostra indignazione quando più ci viene comodo.

È possibile che non ci sia più motivazione? Quell’ardore, la voglia di giustizia e di rivoluzione che tanto infiammava nel ‘68 gli animi dei giovani, sembra essersi spento nella gente della nostra età: forse il reale problema è che non percepiamo la scuola come limitante o come se ci avessero tolto qualcosa, ma piuttosto continuiamo a viverla in modo passivo, una quotidianità alienante che non ci farà evolvere ma riuscirà solo a renderci incerti e spaesati della vita che ci attende.

Come si può risollevare la nostra generazione da una tanto placida insicurezza?

Forse bisognerebbe iniziare ad informaci sulla realtà per creare una collettività attiva ed interessata che ci permetta poi di insorgere tutti insieme come un corpo unico per richiedere il rispetto che meritiamo.

27/11/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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