Guerra in Ucraina e riassetto internazionale
Nella pancia dell’attuale guerra in Ucraina si cela l’aspirazione a un nuovo ordine internazionale. Ma cos’è l’ordine internazionale se non la proiezione politica della divisione internazionale del lavoro? Se così è, all’interno dell’involucro sanguinoso della guerra c’è anche l’adeguamento delle relazioni tra gli Stati allo stato dell’arte dell’economia.
Il debito pubblico statunitense ha raggiunto a fine 2021 la cifra record di 28.900 miliardi di dollari e il rapporto debito/Pil ha superato il 100%. Si può legittimamente sospettare che vi sia una relazione tra la condizione sempre più precaria dei conti pubblici di Washington, le crescenti difficoltà del suo apparato produttivo e le tensioni tra Ucraina e Russia? C’è chi lo ha fatto egregiamente su questo giornale alcune settimane fa e non staremo a ripeterlo.
Ma la novità del conflitto sorto dall’aggressione russa all’Ucraina non sta nel tentativo americano di prolungare il più possibile il conflitto in Europa, sostenendo con le armi il governo di Kiev. E tutto sommato non sta nemmeno nell’aver convinto i membri dell’Unione Europea a fare lo stesso e a promulgare un blocco economico contro la Russia che va obiettivamente contro gli interessi delle nazioni europee, e in particolare delle loro classi popolari, costringendole a pagare di più per avere del gas di qualità peggiore in termini di costi ambientali come quello liquefatto, procurato dagli stessi Usa: a prezzi di dicembre 2021 oltre 415,3 dollari contro i 273 di quello fornito da Gazprom [1].
No, la novità sta nel fatto che si palesa forse per la prima volta l’esistenza di un fronte ostile al bellicismo atlantista e alle sue sanzioni, insolitamente ampio e trasversale che include certamente la Cina, ma anche l’India e il Sudafrica e, cosa sotto molti aspetti inquietante dalle parti del Potomac, persino il Brasile, la Turchia e Israele. In pratica, i Brics non concordano con la scelta di imporre dure sanzioni alla Russia per la sua aggressione all’Ucraina e di sacrificare la loro economia all’egemonia sempre più militare e sempre meno economica degli Stati Uniti.
Confindustria ci informa, per esempio, nel suo rapporto del novembre 2021 La manifattura al tempo della pandemia. La ripresa e le sue incognite che: “Gli Stati Uniti – nonostante un orientamento protezionista – non hanno registrato alcun ridimensionamento del cospicuo deficit commerciale accumulato negli anni della globalizzazione galoppante; e – nonostante i molti proclami – appare tuttora minimo anche il rientro in patria delle produzioni trasferite altrove. Negli Usa (dato il ruolo del dollaro), l’equilibrio dei conti con l’estero non ha mai costituito un reale problema di politica economica (non ha cioè mai agito come un vincolo esterno alla crescita)”.
Per dirla con altre parole, il primato statunitense è sempre più sovrastrutturale, ovvero militare e culturale, e sempre meno economico-produttivo. Pertanto, in ultima analisi, è sempre più fragile.
Russia, Ucraina e Cina
L’aggressione della Russia all’Ucraina è una chiara ammissione di debolezza del regime putiniano. Mosca per frenare l’espansione verso est della Nato e scongiurare l’ingresso di un’Ucraina fortemente radicalizzata a destra e russofoba nell’alleanza atlantica non ha trovato nulla di meglio che un intervento militare a protezione dei suoi interessi, della sicurezza dei suoi confini e, in terza battuta, delle popolazioni russofone penalizzate dallo stato ucraino post-Maidan, egemonizzato dalla destra nazionalista e dagli Usa.
Non è possibile sapere al momento in quali condizioni uscirà dal conflitto la Russia, di sicuro i riflessi economici della guerra verranno pagati a caro prezzo dalle classi popolari di quel paese. Più facili le previsioni per l’Ucraina che sta pagando un costo pesante in termini di vite umane e distruzione di città e capacità produttive.
Sullo sfondo delle accuse reciproche di crimini di guerra (con ogni probabilità reciprocamente avvenuti come accade sempre in guerra) si staglia la ragionevole richiesta della Cina di condurre indagini indipendenti che tuttavia richiedono almeno un cessate il fuoco. La Cina, che nei sogni di Washington andrebbe isolata e contenuta, è divenuta invece il perno centrale di un’alleanza politica ed economica che includendo Cina, Russia, molti paesi africani e dell’America latina sembra rendere più realistica l’interpretazione che sia il patto atlantico a essersi isolato dal resto del mondo con conseguenze tutt’altro che felici.
Tuttavia, il conflitto tra Mosca e Kiev è ricco di incognite, a partire dal quesito sulla sorte dei paesi africani che dipendono per la loro sopravvivenza alimentare dalle capacità di raccolta ed esportazione di due tra i più grandi paesi produttori di cereali, appunto l’Ucraina e la Russia.
Pertanto, la possibilità che la guerra tra Russia e Ucraina inneschi ulteriori conflitti in altre zone del mondo è molto alta. Per questo motivo è necessario che la parola d’ordine del cessate il fuoco risuoni potentemente tra le masse popolari in tutto il globo: per quel che ci riguarda in primo luogo a Occidente.
Note:
[1] I dati sono ripresi dall’articolo di StartMag che a sua volta cita un articolo de “Il Sole 24 Ore”.