Il governo e i media hanno enfatizzato le previsioni di andamento positivo dell’economia italiana – in realtà solo un po’ meno stagnante rispetto alle precedenti previsioni – da parte dell’Istat e del Fondo Monetario Internazionale. Wow, la crescita sarà del 1,2% e contro l’1,1% delle stime precedenti! Sarà inferiore al dato del 2022 ma che importa? Il 2024 andrà anche peggio, ma che importa? L’Istat puntualizza che “lo scenario previsivo si fonda su ipotesi favorevoli sul percorso di riduzione dei prezzi nei prossimi mesi e sulla attuazione del piano di investimenti pubblici programmati nel biennio”, cioè che non è tanto sicura nemmeno di questo modestissimo risultato il quale dipende da circostanze aleatorie, ma che importa? Bisogna che la stampa embedded (cioè quasi tutta) stappi la bottiglia di champagne e soprattutto dica che è tutto merito di questo governo.
Un bagno di concretezza, che non viene dal “Quotidiano del popolo”, ma dal Centro Studi Confindustria, è utile per capire cosa sta davvero succedendo.
Il centro pubblica mensilmente un flash sulla congiuntura. L’ultimo è del 29 luglio. Già il sommario è eloquente: “Piatta la crescita dell’economia italiana, sorretta dai servizi, ma frenata dai tassi elevati. L’inflazione è meno alta, ma le Banche Centrali alzano i tassi ai massimi, e il credito è in ripiegamento perché troppo caro. In Italia i servizi sono trainati dal turismo, l’industria è debole, le costruzioni in calo. Gli investimenti sono frenati, i consumi incerti, mentre l’export di beni è in riduzione. La Germania è in recessione...”.
Confindustria registra che nel secondo trimestre del 2023 il prodotto interno lordo (Pil) è quasi fermo e non sono rosee le “attese” sul terzo trimestre. Oltretutto questo è il risultato di una media fra la netta flessione dell’industria e delle costruzioni (-2,4% da inizio anno la manifattura e -4,3% l’edilizia) e la crescita nei servizi, in particolare nel turismo (+13,2% a maggio) che, come ha rilevato Fineschi, ci pone “camerieri in casa nostra”, mentre il sistema produttivo va a catafascio, insieme ai servizi pubblici.
L’altra media, di cui Confindustria però non parla, si riferisce al famoso pollo di Trilussa. Accanto a un deterioramento delle condizioni dei lavoratori dipendenti vi è un aumento della quota del reddito che va ai profitti e alla rendita finanziaria.
Grazie ai servigi della Banca Centrale Europea (BCE) il costo del credito raggiunge il 4,81% ed è destinato ad aumentare ulteriormente, viste le intenzioni delle autorità monetarie dell’Ue che preannunciano nuovi aumenti. Ciò pone in difficoltà le imprese, specie le più indebitate e comunque le dissuade dal fare nuovi investimenti. Infatti il credito bancario si è ridotto del 2,9% sia per il costo eccessivo del denaro, sia anche per i criteri più restrittivi di concessione da parte delle banche per evitare i rischi di insolvenza che hanno già fatto crollare alcuni colossi finanziari in Usa e altrove. Il 6% delle imprese non ottiene credito e oltre la metà di esse vi rinuncia per le condizioni troppo onerose (costi accessori, scadenze, garanzie ecc., oltre ai tassi). In ragione di ciò gli investimenti crollano. È sintomatico nei primi 5 mesi del 2023 la vendita di beni strumentali è diminuita del 2,6%.
Nonostante la stretta monetaria, l’inflazione rallenta di poco e si mantiene alta al 6,4%, a conferma di quanto avevamo sostenuto circa l’inutilità di questa manovra, dato che l’inflazione non è da domanda, ma da costi e soprattutto da profitti. Infatti è aumentato sensibilmente l’importo dei profitti per unità di prodotto.
Anche il dato dell’inflazione è la media di Trilussa: il prezzo dei beni alimentari, la cui quota dei consumi complessivi è più elevata per le classi meno facoltose, sale del 10,7%, un livello a cui solo minimamente verranno adeguati i salari, visto il meccanismo di indicizzazione previsto [1].
Di conseguenza i consumi calano dello 0,6%, sempre secondo la famosa media, infatti è maggiore il calo dei prodotti alimentari. Se per alcuni anni la diminuzione dei consumi interni veniva compensata con le esportazioni, che fungevano da traino dell’economia italiana, anche questa locomotiva è ferma al deposito e non cresce più (-0,3%) con una retrocessione più netta verso i paesi europei (-1,7%). La ragione principale è che ha fatto marcia indietro un’altra locomotiva, quella tedesca che è in recessione tecnica. Una buona parte delle esportazioni italiane infatti consistevano in subforniture per l’apparato produttivo di quel paese. E, ciliegina sulla torta, Confindustria lamenta “prospettive negative per i prossimi mesi” per quanto riguarda “gli ordini esteri delle imprese manifatturiere, che a luglio hanno toccato il minimo da gennaio 2021 (-20,6% il saldo)”.
È vero che Confindustria segnala anche il rallentamento dell’economia cinese e le conseguenze negative che possono venirne a noi, ma rimane il fatto che quel paese viaggia comunque a ritmi impensabili dalle nostre parti, cioè intorno al 5%, mentre l’Istat per noi ha certificato un bel -0,3%.
Più ottimista è la stima dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio che, nonostante lamenti “rilevanti fattori d’incertezza” (evoluzione del Pnrr, costo delle materie prime e ciclo economico europeo) prevede la non esaltante crescita dello 0,1%.
Anche per l’inflazione, l’Ufficio, pur rilevandone rallentamento, afferma che “gli aumenti del «carrello della spesa» restano a due cifre” e, in particolare, "restano elevate le pressioni sui prezzi dei beni alimentari e di alcuni servizi legati al turismo".
Insomma la fragilità della nostra economia è evidente. Anni di privatizzazioni dei comparti industriali più promettenti, che avevano trainato il “miracolo economico”, di precarizzazione del lavoro, di tagli ai salari, alle pensioni e ai servizi pubblici, il tutto unito a sanzioni sucide alla Russia, non solo non hanno comportato il promesso sviluppo ma ci hanno condotto allo smantellamento pezzo per pezzo del nostro apparato produttivo, mentre l’adesione alle regole dell’Unione Europea ci ha privato di fondamentali strumenti di politica economica.
I fondi del PNRR andranno a sostenere prevalentemente gli affari di alcuni comparti, compreso quello militare, non proprio necessari al nostro rilancio e al miglioramento della qualità della vita, mentre la sanità diviene la cenerentola di questa spartizione.
Il governo di destra riesce perfino a fare peggio dei precedenti con una sorta di anticipazione della flat tax, premi agli evasori fiscali, concessioni clientelari, nuova spinta alla precarizzazione del lavoro, eliminazione dei reddito di cittadinanza (mentre si spende il triplo – 21 miliardi – per erogare contributi a fondo perduto alle imprese), rinvio dell’esame della proposta di salario minimo, abolizione dei contributi sociali agli inquilini delle case popolari indigenti e via libera agli sfratti per morosità incolpevole, investimenti che devastano l’ambiente. Per non parlare del ripristino dei vitalizi. Dietro lo slogan che “nessuno sarà rimasto indietro” si nasconde la difesa degli evasori e degli sfruttatori.
Mentre aumenta la povertà, perfino quella degli occupati, mentre numerose famiglie rischiano di perdere la casa perché non riescono a pagare le rate del mutuo che la scelta della Bce ha reso carissime, mentre l’Italia si distingue in Europa per il maggiore peggioramento dei salari, non trovano i soldi per i lavoratori e il provvedimento più significativo è l’aumento esponenziale delle spese militari.
Sarebbe quindi indispensabile che con la ripresa autunnale si costruisca un vasto movimento di opposizione sociale a questo governo e alle politiche economiche attuate negli ultimi decenni quale premessa per la ripresa di un ruolo dirigente della classe lavoratrice che rilanci l’impegno per un’alternativa al capitalismo.
Note:
[1] Si tratta di un adeguamento a posteriori, in sede di rinnovi contrattuali, utilizzando non l’indice dei prezzi al consumo, come avveniva trimestralmente con la scala mobile, ma il codice Ipca (indice dei prezzi al consumo armonizzato), elaborato a livello europeo per rendere confrontabili i parametri dei diversi paesi. Gli aumenti contrattuali dovrebbero attenersi a questo indice, depurato però dall’aumento del costo dei prodotti energetici! Evidentemente a suo tempo datori di lavoro e sindacati ebbero la sfera di cristallo per escludere una componente che ha inciso molto sull’inflazione.