Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno siglato, nel febbraio 2018, l’accordo interconfederale definito “Patto per la fabbrica”. In teoria questa intesa avrebbe dovuto obbligare il governo ad aprire un confronto permanente con le parti sociali e sindacali.
L’accordo avvenne nell’alveo delle compatibilità previste dal Testo unico del 2014 che aveva stabilito come misurare la rappresentanza sindacale vincolando i sindacati alla sottoscrizione dell’intesa per presentare le liste Rsu nel settore privato. Alcuni sindacati di base sottoscrissero quell’accordo (Usb e Cobas) altre invece no come la Cub e il Sicobas.
La finalità delle organizzazioni rappresentative era conquistare un autentico monopolio della rappresentanza vincolando i sindacati a rispettare un insieme di norme che avrebbe avuto impatti negativi sulla conflittualità nei luoghi di lavoro. È bene ricordare che la misurazione della rappresentanza era solo piccola parte di questa intesa.
I sottoscrittori dell’accordo 2014 proclamarono che l’obiettivo era quello di limitare gli “accordi pirata” sottoscritti tra datori e "sindacati di comodo" che miravano a ridurre le tutele collettive e individuali abbassando il costo del lavoro. In realtà si andava occultando un’altra scomoda realtà, ossia che numerosi contratti siglati dalle associazioni sindacali rappresentative sono a loro volta sostanzialmente pirata nel senso che stabiliscono paghe orarie basse e una consistente riduzione delle tutele collettive.
Questa realtà, a lungo taciuta, è figlia dei 40 anni neoliberisti interessati da numerosi contratti nati dal nulla (al Cnel sono depositati quasi 1.000 contratti nazionali!) per avvalorare i processi di delocalizzazione ed esternalizzazione, tanto che in un luogo di lavoro possono coesistere diversi datori che applicano a loro volta differenti contratti.
La questione non potrà ridursi ai dati sulla rappresentatività sindacale perché contratti come il multiservizi e quello delle cooperative sociali, solo per menzionarne due tra i più diffusi, sono nati con le privatizzazioni dei servizi e per favorire la riduzione del costo del lavoro.
In questi anni la contrattazione nazionale (o settoriale come viene definita in linguaggio tecnico) è venuta meno all’impegno di salvaguardare il potere d’acquisto del salario perché sono nate decine di deroghe ai contratti nazionali stessi che permettono di rinviare al secondo livello contrattuale innumerevoli materie soprattutto di natura economica. E a livello aziendale (o territoriale) avviene lo scambio a perdere tra salario-produttività, aumentano i ritmi e i tempi di lavoro, e gli aumenti contrattuali, che dovrebbero servire per salvaguardare il potere di acquisto, diventano merce di scambio vincolati alla crescita del plusvalore e dello sfruttamento.
La contrattazione dovrebbe in teoria stabilire il trattamento economico minimo (Tem), ma qui subentra quel sistema di calcolo degli aumenti che si è dimostrato nel tempo assolutamente inadeguato a recuperare il potere di acquisto perduto. La contrattazione a livello aziendale, trattamento economico complessivo (Tec), include tutte le componenti salariali oltre al minimo e anche le forme di welfare. Qui avviene lo scambio diseguale tra aumenti salariali e servizi, con le organizzazioni sindacali rappresentative inclini ad accordi perdenti che favoriscono solo il welfare aziendale e il ricorso alla sanità e alla previdenza integrativa a mero discapito del potere di acquisto e contrattuale e, permetteteci, dello stesso welfare universale.
La soluzione al problema per le associazioni datoriali è sempre la stessa: manteniamo il doppio livello di contrattazione rendendo maggiormente flessibile il contratto nazionale e scaricando sul livello aziendale gli aumenti che dovrebbero invece essere decisi a livello nazionale senza soccombere alle suggestioni delle deroghe e delle gabbie salariali.
Da queste sommarie considerazioni si evince che:
- dietro alla logica della rappresentanza si cela un progressivo indebolimento della contrattazione nazionale, dinamiche salariali al ribasso e lo scambio diseguale tra aumenti per recuperare il potere di acquisto e logiche da welfare aziendali che si aggiungono alle continue richieste di incremento della produttività da parte delle associazioni datoriali, richieste di fatto imposte a livello territoriale;
- la rappresentanza è parte integrante di quella strategia padronale che mira direttamente a costruire sindacati che contrattino sulla base di regole penalizzanti per il sindacato stesso e tali da pregiudicare ogni azione conflittuale nei luoghi di lavoro;
- se i sindacati rappresentativi sono interessati alla previdenza integrativa e al welfare aziendale come potranno difendere il welfare universale e conquistare un sistema di calcolo dei contributi previdenziali e degli aumenti salariali che consenta di salvaguardare il potere di acquisto?