12 agosto 2009. Nella notte arrivava da Milano la notizia che gli operai della INNSE scendevano dal carroponte, sul quale erano saliti otto giorni prima: avevano raggiunto l'accordo, la fabbrica passava a un nuovo proprietario, l'attività produttiva ripartiva e i 49 lavoratori, licenziati l'anno prima, rientravano al lavoro.
In una nota stampa, la segretaria generale della FIOM di Milano esultava: “Questo risultato è importante, nell’immediato, per questi lavoratori ma, in prospettiva, anche per tutto il movimento sindacale. La Fiom, che in questi mesi è stata a fianco dei lavoratori dell’INNSE e che ha condotto con loro questa battaglia, trae da questa esperienza la conferma che, per affrontare la crisi, occorre battersi per mantenere aperte le imprese.”
Oggi quella lotta è ancora viva, non soltanto nel ricordo. Anche se a riflettori spenti, gli operai sono ancora mobilitati, con la stessa determinazione di otto anni fa, per la difesa dell'area industriale e dei posti di lavoro. Il contesto intorno però è cambiato, non poco. È cambiata l'economia del paese, è cambiata la città, è cambiata anche la FIOM che un tempo era al loro fianco.
Gli operai della INNSE sono ancora in lotta, perché in questi anni, il nuovo proprietario non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte allora. Nel 2009, dopo la lotta sul carroponte, Camozzi comprò il terreno su cui sorge la fabbrica per uno scambio di aree d’uso tra Comune di Milano e Aedes (società proprietaria dell’intera area) al prezzo simbolico di 1 euro. Un vero e proprio regalo, con l'unica chiara condizione che l’area, altrimenti riservata a verde e giardini pubblici, continuasse a essere destinata allo sviluppo industriale e consentisse la continuità della produzione dell’INNSE. Il piano industriale, che avrebbe dovuto fare da architrave a tutta l’operazione, non è mai stato presentato, tanto che oggi il capannone sembra un’area industriale dismessa, pronta a trasformarsi nell’ennesima speculazione urbanistica e edilizia della città. Il Comune di Milano ha fin qui fatto più o meno finta di niente, lasciando che l’accordo del 2009, di cui all’epoca fu promotore, venisse nei fatti svuotato.
Così, l'anno scorso, gli operai della INNSE hanno cercato di opporsi a una cassa integrazione che di fatto sanciva dopo anni il fallimento dell'accordo. Per mesi hanno “occupato” simbolicamente lo stabilimento, giorno dopo giorno in assemblea, impedendo così che la proprietà avesse modo e agio di svuotare il capannone e spostare beni e macchinari.
Nel frattempo, un accordo al Ministero dello Sviluppo Economico ha peggiorato la vicenda, allontanando la FIOM dai lavoratori della INNSE. Al MISE, la FIOM di Milano insieme a quella nazionale firmano un verbale che ripropone promesse future in cambio di licenziamenti immediati. L’azienda si impegna, infatti, da un lato a estendere di 5 anni le garanzie occupazionali nello stabilimento di via Rubattino (sino a tutto il 2030), definendo futuri investimenti produttivi e persino assunzioni; dall’altro, ottiene l’immediato licenziamento di parte degli operai attualmente in forza, quelli più combattivi e protagonisti della lotta del carroponte. I lavoratori in assemblea bocciano all'unanimità l'intesa del MISE, non credendo più alla promesse sulla carta di una proprietà che, da quando ha acquisito la INNSE, non ha mai fatto un investimento, né sulle macchine né tanto meno sul capannone. L'unica certezza che avrebbero avuto i lavoratori oggi sarebbero stati i licenziamenti.
Con l'accordo bocciato, la FIOM si ritira dalla vertenza. Scrive a casa degli operai per dire che non intende proseguire una lotta che non condivide più e, nonostante i lavoratori siano tutti suoi iscritti, lesina persino l'assistenza sindacale e legale che nel frattempo si rende necessaria. L'azienda infatti va avanti con lettere di contestazione sempre più arroganti e minacciose, fino al licenziamento di quattro lavoratori, tra i principali sostenitori della lotta.
Da allora, con 11 giorni di sciopero alle spalle, i lavoratori sono in presidio ai cancelli.
Non è un caso che, pochi giorni fa, l'azienda abbia ritirato l'accusa con la quale mesi prima ha portato in tribunale i lavoratori che l'anno scorso entravano in azienda per l'assemblea sindacale nonostante fossero in cassa integrazione.
La vertenza è ancora tutta aperta, però. Nell'immediato, i lavoratori chiedono il ritiro del licenziamento dei quattro lavoratori. Più in prospettiva, chiedono che la proprietà e il Comune di Milano garantiscano il rispetto dell'accordo del 2009 e affrontino finalmente il tema del rilancio della fabbrica e dell'attività produttiva, ad oggi pressoché ferma.
Al presidio si raccoglie ancora, come otto anni fa, quel che resta della Milano resistente e solidale, sempre più stanca e fiaccata dalla crisi ma ancora accanto agli operai della INNSE.
Chi manca finora è la FIOM. O meglio, i vertici della FIOM milanese, lombarda e nazionale. Sono ancora molti, invece, i delegati e le delegate della FIOM, di importanti fabbriche metalmeccaniche di tutta Italia, che ancora continuano a sostenere questa lotta, appoggiando incondizionatamente il presidio. Oltre cento hanno firmato per i loro colleghi della INNSE un appello di solidarietà e un invito al gruppo dirigente milanese e nazionale a condividere la lotta e appoggiare il presidio ai cancelli (link all’appello).
È un segnale positivo, che dà anche risposta a quanti al presidio chiedono dove sia la FIOM. Padrone, istituzioni e forze dell'ordine comprese. La FIOM è lì. Sono gli operai che pagano la tessera da trent’anni, i loro delegati e quelli delle tante fabbriche che li sostengono. Io stessa ai quei cancelli ho portato, con la mia presenza, il Comitato Centrale della FIOM, in attesa che vi prendano parte anche altri, che oggi invece lo disertano.
Un’organizzazione sindacale non è mai proprietà esclusiva di chi ne detiene la maggioranza. Gli operai della INNSE, ostinatamente in lotta, ai cancelli della loro fabbrica, sono la FIOM non meno di quanto lo siano i suoi segretari.